strage di Via D'Amelio
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31 anni dalla strage di Via D’Amelio: la morte di Paolo Borsellino

La strage di Via D’Amelio, 31 anni dopo: l’assassionio del magistrato Paolo Borsellino

Sono passati 31 anni dalla strage di Via D’Amelio, da quel 19 luglio 1992 che ha segnato la morte del magistrato Paolo Borsellino per mano della mafia. È difficile riuscire a tenere il conto del numero di processi che sono seguiti. Nessun responsabile, di fatto, è mai stato individuato per quello che viene definito come il più grande depistaggio di Stato della storia.

Decine e decine di sentenze che hanno chiarito il ruolo della mafia in questa strage, ma che lasciano ancora molti interrogativi senza risposta. Dalle responsabilità esterne a Cosa Nostra a quelle degli autori del depistaggio delle indagini. Una terribile strage che ancora oggi rimase senza verità.

30 anni via d'amelio

La strage di Via D’Amelio 31 anni fa

La strage di Via D’Amelio fu uno dei più grossi attentati di stampo mafioso e terroristico avvenuto il 19 luglio 1992 a Palermo. Quella domenica, il magistrato Paolo Borsellino, dopo aver pranzato con moglie e figli, si recò insieme alla scorta in Via D’Amelio civico 21 a trovare la madre. Lì, una Fiat 126 caricata di 100 kg di esplosivo venne fatta esplodere al passaggio del giudice.

Persero la vita Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. L’unico a sopravvivere fu Antonino Vullo, che durante l’esplosione stava parcheggiando un’auto della scorta.

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31 anni dalla strage di Via D’Amelio: i processi per la morte di Paolo Borsellino

Il primo processo per la morte di Paolo Borsellino avvenne nel 1994. Alla sbarra vi erano i principali esecutori materiali dell’attentato: Vincenzo Scaratino, che si era autoaccusato della strage, il boss Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino e Pietro Scotto. Tutti condannati all’ergastolo, tranne Scaratino, che in qualità di pentito e accusatore, ottenne 18 anni.

Il processo bis, che ebbe come protagonisti gli uomini della Cupola e di Cosa Nostra, si è concluso nel 2004 con 13 ergastoli. Tra i tanti, anche quello di Totò Riina. Sono seguiti, poi, il Borsellino ter, concluso nel 2006, e il quater, diventato definitivo nel 2021.

Solo giovedì scorso è arrivato il verdetto del processo sul depistaggio, che sarebbe stato ordito attraverso la fabbricazione a tavolino dei falsi pentiti, primo tra tutti Scaratino. Alla sbarra sono finiti tre investigatori membri del pool che indagò sulla strage: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti accusati di calunnia aggravata dal favoreggiamento alla mafia. La sentenza ha deciso per la caduta dell’aggravante per Bo e Mattei, mentre Ribaudo è stato assolto. Dunque, anni di indagini e giudizi che ancora una volta sono rimasti senza verità. Si può dire un paradosso tutto italiano e sicuramente non nuovo alla magistratura del nostro Paese.

31 anni senza verità per la strage di Via D’Amelio: la morte di Paolo Borsellino poteva essere evitata

È incredibile pensare che la strage di Via D’Amelio sia avvenuta a soli 57 giorni di distanza da quella di Capaci, dove aveva perso la vita il collega di Borsellino, Giovanni Falcone. Lo stesso Borsellino aveva previsto un attentato nei suoi confronti, eppure nessuno ha mai fatto nulla. “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, perché la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”, diceva.

30 anni via d'amelio

Forse, se lo Stato avesse impiegato tutte le sue forze, Borsellino poteva essere salvato. E invece, questa è la conferma che omissioni, colpe e complicità sono da attribuire proprio anche allo Stato. Evidentemente, Borsellino, così come Falcone, stava per scoprire alcune verità sconvolgenti che andavano oltre la mafia. Questo avrebbe spinto la magistratura a mettere in atto il più grande depistaggio della storia italiana.

Ed è probabile che i dettagli delle sue ricerche fossero contenuti all’interno della famosa agenda rossa di Borsellino, andata perduta subito dopo la strage del 19 luglio. Lì forse erano annotati nomi, cognomi e fatti che sarebbero statti utili a ricostruire l’uccisione di Giovanni Falcone e, inconsapevolmente, lo stesso attentato di Via D’Amelio.

Ma come ha anche sottolineato il criminologo Vincenzo Musacchio, “Borsellino e Falcone sono stati mandati al macello perché isolati e abbandonati in primis da quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli ad ogni costo”.

Conclusione La strage di Via D’Amelio, 31 anni dopo: la tragica morte del magistrato Paolo Borsellino

 

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Editor: Susanna Bosio

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