fast fashion
Fashion,  Moda

Addio al fast fashion?

Che il fast fashion sia una delle principali fonti di inquinamento non è una novità: a ribadirlo è Federico Marchetti, fondatore di Yoox e da due anni presidente della Circular Bioeconomy Alliance, fondazione ambientalista fondata da re Carlo III.

Duranta la sua recente ospitata a Otto e Mezzo, infatti, l’imprenditore ha ricordato come, grazie al suo lavoro alla fondazione, abbia riunito importanti marchi del mondo della moda per modificare l’approccio produttivo nei confronti dei capi di abbigliamento, preferendo la longevità e la sostenibilità. Una sostenibilità che, però, rischia di essere appannaggio di pochi.

Ciò a cui Marchetti mira è un cambiamento culturale: a suo dire, deve essere considerato «figo» mantenere comportamenti ambientalisti, porre attenzione all’ambiente, riciclare i rifiuti ed evitare di utilizzare prodotti in plastica.

L’Apulia regenerative cotton project

Fra i risultati ottenuti durante la sua presidenza è da segnalare l’Apulia regenerative cotton project, lanciato da Giorgio Armani, con la collaborazione di re Carlo III, per riportare la produzione di cotone in Puglia – dopo oltre 50 anni – e sostituirlo al poliestere.

L’iniziativa, coordinata dall’Istituto Forestale Europeo, dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e per l’analisi dell’economia agraria e da Pretaterra, mira a stabilire un campo agricolo sperimentale, coltivato secondo i principi dell’agricoltura rigenerativa e che si prevede raggiunga un’estensione di 5 ettari entro il 2024.

La necessaria attenzione ai materiali usati nella moda, visto l’impatto ecologico che hanno, è stata ribadita anche da Giorgio Armani:

Nella moda tutto parte dalla materia. Il mio design nasce dalla scelta dei tessuti. Ed è stato attraverso la sperimentazione e l’uso di tessuti non tradizionali che ho rivoluzionato la moda. Ma l’industria tessile è anche una delle attività produttive di maggiore impatto sul pianeta: un problema che non può essere trascurato.

Il nostro impegno, insieme alla Sustainable markets initiative è quello di promuovere un cambiamento positivo: è un progetto audace e innovativo che ha un significato speciale per me e per la mia azienda. Partecipare attivamente allo sviluppo del cotone rigenerativo agroforestale, per di più sul territorio italiano, è un passo importante che avrà un impatto reale anche sulle comunità locali

La discarica di Kantamanto: emblema del fast fashion

L’innovazione – ricorda Marchetti – può essere motivo di creazione di nuovi posti di lavoro, come dimostra l’esperienza di Brunello Cucinelli in Himalaya, e, se supportata, può consentire una migrazione di competenze, a differenza di quanto troppo spesso temono i governi. In questo momento essere innovativi significa essere sostenibili.

É per questo che la Circular bioeconomy alliance, sotto la presidenza di Marchetti, ha sviluppato un passaporto digitale per i capi di abbigliamento, che fornirà ai loro utilizzatori tutte le informazioni utili per conoscerne la provenienza, ma anche per poterli riciclare, rivendere o riparare, in modo da assicurar loro una nuova vita e dimostrare maggiore rispetto sia nei confronti dell’ambiente sia nei confronti di una parte importante dei lavoratori del settore moda.

Proprio quest’ultimo punto è alla base della protesta dei commercianti ghanesi che hanno di recente raggiunto Bruxelles per protestare contro la «catastrofe ambientale» che sta interessando il loro paese: ogni settimana, infatti, presso le discariche di Accra e di altre città del Ghana arrivano circa 15 milioni di capi, scarti dell’industria della moda europea.

La maggior parte di questi proviene da magazzini in cui sono stati conservati per anni, invenduti, o dai cassonetti che dovrebbero assicurarne la donazione in beneficenza, dove spesso invece giacciono inutilizzati.

Dei 15 milioni registrati in arrivo, solo 6 milioni vengono rivenduti o riciclati, con la conseguenza che, nell’ultimo decennio, oltre 10 discariche legali sono state costrette a chiudere perché avevano raggiunto il limite di capienza consentito. Il resto dei capi viene abbandonato in fossati, scarichi e spiagge, andando a costituire enormi discariche abusive a cielo aperto, pericolose per l’ecosistema locale.

I lavoratori di Kantamoto, uno dei più grandi mercati di abbigliamento di seconda mano nel mondo, denunciano inoltre le precarie condizioni di sicurezza in cui sono costretti a lavorare – come dimostra l’incendio scoppiato nel 2020 -, ottenendo, peraltro, solamente 0,06 € per articolo trattato. La richiesta fatta all’UE è di imporre ai produttori di abbigliamento un pagamento di almeno 0,50 € per articolo.

Conclusioni: le decisioni dell’Europa

Sebbene l’Europa produca soltanto il 9 % delle emissioni relative alla produzione di abbigliamento mondiale, ben al di sotto di giganti come la Cina e l’India, la situazione del Ghana è drammatica e richiede provvedimenti urgenti.

É per questo che la Commissione Europea ha intenzione di stabilire già a breve delle norme più severe contro il consumo eccessivo di prodotti tessili: in particolare, vorrebbe incentivare l’uso di prodotto più durevoli e più facili da riparare e riciclare, fabbricati in modo equo e sostenibile, obbligando le aziende a mitigare o prevenire l’impatto negativo che la loro attività potrebbe avere e ad agire nel rispetto dell’economia circolare.

Leggi anche:

Cnmi e il nuovo consorzio per il riciclo tessile

Kering. Ridurre emissioni per essere sostenibili

Defezioni dal Fashion Pact

Enciclopedia della moda 2023: da oggi disponibile la nuova edizione

Editor: Leonardo Santarelli

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!