Dizionario Opera

Africaine, L’

Rappresentata postuma, L’Africaine impegnò in modo intermittente il suo autore per circa trent’anni. Nel 1837 Meyerbeer, che per amore di Rossini aveva già italianizzato il nome di battesimo e con i suoi grands-opéras era diventato l’idolo della borghesia parigina di Luigi Filippo, aveva firmato un contratto per la realizzazione dell’opera con Eugène Scribe, che del grand-opéra era librettista di elezione. Ma dubbi sulla vitalità del soggetto, debitore di un esotismo caro alla politica coloniale francese, e sulla cantante cui affidare il ruolo della protagonista, indussero il compositore ad abbandonare il progetto per dedicarsi alla lavorazione del Prophète . Ripreso alla fine del 1841, l’abbozzo fu ripetutamente elaborato fino al 1845 e poi archiviato come ‘vecchia Africaine ’. Meyerbeer vi ritornò con decisione negli ultimi anni di vita, immergendosi nelle estenuanti prove teatrali attraverso cui i suoi lavori trovavano veste definitiva: nel 1863 l’orchestrazione era ultimata ed erano stati definiti gli accordi per una produzione con il soprano Marie Sasse. Quando nel 1864 Meyerbeer morì, l’opera fu completata dal musicologo e compositore belga François-Joseph Fétis e l’anno successivo andò in scena all’Opéra, culla di quel melodramma sontuoso e spettacolare che Meyerbeer aveva portato al successo.

Atto primo . L’aula consiliare del re del Portogallo nella Lisbona d’inizio Cinquecento. In attesa di una seduta che si preannuncia importante, Inés, la figlia dell’ammiraglio Don Diego, confida ad Anna, amica prediletta, le sue pene per Vasco de Gama, partito con Bartolomeo Diaz alla volta del Capo delle Tempeste e mai più ritornato. Non può dimenticare le parole con cui il giovane, salutandola, le ha dichiarato amore eterno, e continua a sperare che un giorno lo rivedrà. Ma quando il padre le comunica che il re l’ha destinata in moglie al potente Don Pédro, Inés si decide a informarsi sulla sorte della spedizione e scopre che è fallita in un naufragio. Nell’aula, intanto, sono entrati i consiglieri: Don Pédro siede sul seggio presidenziale, Don Diego lo affianca; alla loro destra il grande Inquisitore, a sinistra Don Alvaro. Dopo la preghiera rituale dei vescovi, Don Pédro ribadisce che il re vuole conquistare nuove terre sulle rotte aperte da Colombo, ma non tutti concordano sull’opportunità dell’impresa. Don Alvaro propone allora che si ascolti l’unico superstite della spedizione di Bartolomeo Diaz, Vasco de Gama, appena rientrato a Lisbona. Il navigatore, che appare tra lo stupore dei presenti e soprattutto di Inés, si dice convinto che la conquista di altri lidi è ormai vicina e, per provarlo, presenta ai consiglieri una coppia di schiavi, Sélika e Nélusko, catturati oltremare. La sua audacia si scontra però con la diffidenza dell’Inquisitore e con la gelosia di Don Pédro: alla fine il Consiglio non soltanto nega a Vasco i mezzi per una seconda spedizione ma, giudicandolo un mentitore, lo fa imprigionare con i due schiavi.

Atto secondo . Un carcere dell’Inquisizione. In fondo, un banco; al centro un pilastro massiccio su cui è appesa una carta geografica. Vasco dorme e sogna grandi imprese, sotto gli occhi vigili di Sélika che, segretamente innamorata di lui, cerca di proteggerlo dall’ira di Nélusko. A sua volta innamorato di Sélika, lo schiavo medita di uccidere l’uomo che ha preso il cuore della sua regina, tanto da indurla a dimenticare i doveri di sovrana (“Fille des rois”). Per compiacere il navigatore, la donna arriva persino a rivelargli la via per raggiungere la propria terra natale, «un’isola immensa, un suol diletto al ciel». Grato e lusingato, Vasco le promette quell’amore eterno già dichiarato a un’altra. Ma quando Inés si presenta in cella con l’ordine di scarcerazione, non esita a ritrattare e a cedere alla sua liberatrice la schiava africana. Nuovi affanni si preparano però per de Gama. Impossessatosi dei suoi appunti di viaggio, Don Pédro è pronto a salpare per il Capo delle Tempeste, guidato da Nélusko, che cerca vendetta, e accompagnato da Inés, che ha accettato di diventare sua moglie.

Atto terzo . Un bastimento in navigazione. Sopra coperta, Nélusko e un gruppo di marinai risvegliati dai primi raggi del sole; sotto coperta, Inés, circondata dalle donne del seguito, tra cui Sélika, e Don Pédro, seduto a un tavolo cosparso di mappe, bussole e strumenti marinari. La nave sta per doppiare il Capo delle Tempeste e la ciurma si unisce alla preghiera. Nélusko invece invoca il dio del mare (“Adamastor, roi des vagues profondes”), perché scagli su di loro la burrasca, costringendoli a deviare la rotta. Don Alvaro diffida dello schiavo che li guida, ma Don Pédro non sente ragioni: vuole l’onore di avere compiuto per primo il periplo dell’Africa. Speranza vana. Su un bianco veliero Vasco, che lo ha preceduto, viene a offrire aiuto ed esperienza. L’incontro è drammatico: Don Pédro ordina ai marinai di uccidere il navigatore; Sélika, per difenderlo, minaccia Inés con un pugnale; Vasco viene risparmiato, ma Sélika condannata a morte. In quel momento un’orda di indiani assalta il bastimento, i portoghesi muoiono o sono messi in fuga; in coperta Nélusko e Sélika assistono immobili alla strage. Quando la battaglia si placa, gli assalitori riconoscono nella schiava la loro regina.

Atto quarto . Una spiaggia assolata, monumenti sontuosi, l’ingresso di un tempio indiano. Alla testa di un corteo di sacerdoti, il gran Bramino rende omaggio a Sélika: la popolazione danza esultante, la regina giura «per Brahma, per Vishnu e per Shiva» che nessuno straniero calpesterà mai la loro terra. Ma, mentre gli officianti stanno per entrare nel tempio, un sacerdote informa Nélusko che un portoghese è sopravvissuto: Vasco de Gama, naturalmente, in estasi davanti alla bellezza del luogo (“Beau paradis”). La felicità del navigatore è però breve: un gruppo di soldati lo raggiunge con l’ordine di giustiziarlo. Nuovamente Sélika viene in suo soccorso e, sfidando gli dèi, dice che Vasco è il suo sposo. Nélusko, chiamato a testimoniare il falso, con il cuore spezzato si piega alla volontà della regina, ma piange la propria sorte (“L’avoir tant adorée”). L’abnegazione di Sélika, le nozze celebrate tra «leggiadri fiori e aure olezzanti», il richiamo esaltante dell’ignoto inebriano Vasco, che dichiara il suo amore all’africana. Ma in lontananza si sente la voce di Inés: sogno, realtà o incubo persecutorio?

Atto quinto . I giardini del palazzo reale, lussureggianti di alberi, fiori e frutti tropicali; Sélika e Inés sole in un drammatico colloquio che vedrà la portoghese vincitrice. L’epilogo è malinconico. La regina capisce che niente potrà legare a lei un uomo innamorato di un’altra donna, nemmeno i sogni di gloria, nemmeno il piacere dell’avventura. Così ordina che i due amanti siano imbarcati su una nave, perché possano fare ritorno in patria. Poi si allontana verso un promontorio per vedere Vasco un’ultima volta, come Didone il suo Enea. Lo perdona (“La raison m’abandonne”), coglie i fiori velenosi del manzanillo, l’albero minaccioso che domina il promontorio, li respira voluttuosamente e aspetta che le forze l’abbandonino. Muore tra le braccia di Nélusko, fedele sino alla fine.

Opera non del tutto risolta, L’Africaine ha risentito negativamente dei lunghi anni della sua gestazione. Quando Scribe morì, nel 1861, prima che l’opera avesse trovato una forma compiuta, alla definizione del libretto si avvicendarono diversi autori, da Charlotte Birch-Pfeiffer a Camille Du Locle, senza peraltro eliminare quelle incongruenze che lungo il percorso si erano accumulate. Il soggetto originario prevedeva che l’azione si aprisse nella Spagna di Filippo III e che l’esploratore fosse un oscuro Fernando partito alla volta del Messico e gettato da una tempesta sulle coste africane, nel regno di Sélika. Una revisione aveva poi sostituito la Spagna con il Portogallo e l’oscuro esploratore con Vasco de Gama, conquistatore delle Indie, di cui l’opera aveva preso il nome. Fétis aveva in seguito ripristinato il titolo iniziale, giudicandolo più adatto a evidenziare il ruolo centrale di Sélika, ma non si era curato di dirimere le confusioni negli sfondi ambientali, con il risultato che l’‘africana’, giunta in patria, regna su una popolazione di indiani, adoratori di Brahma, Vishnu e Shiva. Con L’Africaine Meyerbeer sarebbe dovuto giungere a una svolta compositiva, resa obbligatoria dalle innovazioni introdotte dal Faust di Gounod e dalle crescenti preferenze del pubblico per l’ opéra-lyrique a scapito del grand-opéra . Ma gli esiti sono parziali. L’opera alterna momenti epici, come la scena del Consiglio nel primo atto e quella delle nozze nel quarto, a episodi intimistici, come il sonno di Vasco nel secondo e la morte della protagonista nel finale, senza riuscire a fonderli in una sintesi coerente. La cura dei particolari armonico-timbrici e la pronta assimilazione di nuove tecniche vocali, a testimonianza della duttilità inventiva di Meyerbeer, sortiscono comunque pagine non prive di efficacia drammatica, quali l’invocazione ad Adamastor di Nélusko (il personaggio più complesso e più riuscito) e l’aria “Beau paradis”, la melodia più celebre dell’opera.

Type:

Grand-opéra in cinque atti

Author:

Giacomo Meyerbeer (1791-1864)

Subject:

libretto di Eugène Scribe

First:

Parigi, Opéra, 28 aprile 1865

Cast:

Don Pédro, presidente del Consiglio del re del Portogallo (B); Don Diego, ammiraglio (B); Inés, sua figlia (S); Vasco de Gama, ufficiale di marina (T); Don Alvaro, membro del Consiglio (T); Nélusko, schiavo (Bar); Sélika, schia

Signature:

l.bo.

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