Calo abbonati a Netflix: i motivi spiegati dal professor Jean Chalaby, l’intervista
Calo abbonati a Netflix: perché? Cosa succederà? E quale sarà il futuro della produzione di contenuti e il ruolo dei format nell’era dello streaming? Ne parliamo con Jean Chalaby, Professore di Comunicazione Internazionale presso la City University di Londra
La notizia è ormai nota: per la prima volta, il colosso dello streaming, Netflix, ha registrato un calo di abbonati: abbiamo approfondito la questione in un’intervista a Jean Chalaby, Professore di Comunicazione Internazionale alla City University di Londra, esperto di media globali e autore del libro “L’era dei format”.
Il calo di abbonati a Netflix: i motivi secondo il professor Chalaby
Il calo di abbonati a Netflix (pari allo 0.1% di share, lo ribadiamo), è stato recentemente spiegato dal professor Jean Chalaby, Professore di Comunicazione Internazionale alla City University di Londra ed esperto di format e mercati globali dei media. Chalaby mette in luce il fatto che molto spesso, anche per la tv tradizionale, si registra un calo di ascolti nel periodo dell’anno della primavera/estate.
Così, grazie alla possibilità di sottoscrivere abbonamenti mensili, per gli utenti risulta facile “disiscriversi” in quei periodi dell’anno in cui preferiscono uscire piuttosto che fruire di contenuti audiovisivi. Inoltre, il ritiro di Netflix dalla Russia e le ristrettezze economiche di molti utenti (anche a causa della guerra) possono aver portato gli utenti a riconsiderare l’opportunità di sottoscrivere abbonamenti alle piattaforme di streaming.
Infine, la guerra dello streaming, condotta dalla miriade di piattaforme streaming e providers, ha portato necessariamente gli utenti a scegliere dove destinare la loro spesa mensile in favore di un servizio di streaming rispetto a un altro.
Ma ecco la nostra intervista al Professor Chalaby, che ha approfondito con noi alcuni aspetti legati al calo di abbonati a Netflix. Inoltre, abbiamo chiesto al professore alcune considerazioni in merito al ruolo dei format nell’ampio scenario della produzione mediale nell’era dello streaming e quali sono le sfide della televisione del presente e del futuro.
1. Intervista a Jean Chalaby: Come sappiamo, per la prima volta Netflix ha registrato un calo di abbonati al servizio. Ma, come ha già sottolineato, si tratta di una perdita dello 0.1%. Cosa pensa che farà Netflix per farvi fronte? Opterà per un nuovo modello economico, ad esempio passando al modello “Freemium” (come Spotify), offrendo opzioni di visione in parte gratuite e in parte a pagamento?
È una bella domanda. Netflix farà diverse cose. Penso che non passerà al modello “freemium”, ma opterà per le seguenti soluzioni:
- Un costo leggermente minore verso la fine del 2022, con l’aggiunta di un po’ di pubblicità: non diventerà gratis, ma l’abbonamento sarà più economico.
- Ci sono milioni di utenti e famiglie che condividono le password di accesso agli account Netflix. Penso che potenzieranno la protezione dei dati di accesso agli account degli abbonati a Netflix.
In Asia c’è un grosso potenziale, dove Facebook Watch è molto diffuso. Penso che Netflix commissionerà più contenuti, provando a diventare più ambizioso verso l’Asia.
2. Dunque, pensa che questo lieve calo contribuirà a ridisegnare la geografia della produzione di contenuti?
Sì, in parte. Netflix proverà a spendere del denaro in alcuni mercati dove attualmente non è molto forte. Credo che il mercato asiatico abbia delle grandi potenzialità per Netflix.
3. Facendo seguito al tema della produzione di contenuti, quali sono gli hub produttivi in crescita al momento?
Penso che il mercato del Regno Unito sia grande, si sta investendo molto anche negli studi televisivi. La Corea è in crescita, come la Spagna e il Brasile. Netflix sa che deve fornire dei contenuti locali per le audience locali. Così, se sono fortunati come per il caso di Squid Game, potrebbero anche diventare delle hit globali. Ma servono contenuti locali per audience locali. Penso occorra investire nella produzione di contenuti locali.
4. Mi piacerebbe ora concentrarmi su un altro tema che prescinde da Netflix: la drammatica situazione contingente della guerra in Ucraina e il suo legame con i media. Il dibattito sul legame tra politica e mezzi di comunicazione (in Italia, in particolare) si è concentrato sul tema della propaganda, definendo questa guerra anche come una “guerra di informazione”. Le chiedo se la guerra avrà un impatto sulla produzione, sulla distribuzione e circolazione di contenuti audiovisivi? Rischiamo una polarizzazione e chiusura del mercato asiatico?
No, credo che riguarderà la Russia, piuttosto che il mercato asiatico in genere. Netflix ha lasciato la Russia, ma ci sono già alcune nazioni da escludere quando si parla di mercato globale. Il mercato dei media è sicuramente globale, ma quando parliamo di “globale” dobbiamo escludere dei mercati. La Cina, per esempio, ha la sue piattaforme e diverse restrizioni sui contenuti importabili. Se non sbaglio, la Cina permette la distribuzione di circa 36 film hollywoodiani all’anno: le regole sono molto stringenti lì. Anche la Corea del Nord, l’Iran e la Russia sono molto restrittive. La Russia lo era e adesso lo è diventata ancora di più. Ma Netflix non era fortemente operativo in Russia e ora l’ha lasciata. Dunque, credo che dobbiamo comunque escludere la Russia dal sistema televisivo globale. Ma, nonostante il calo di abbonati a Netflix, non credo che la guerra avrà un impatto sul mercato dell’Est Europa, come in Polonia, ad esempio.
5. Per quanto riguarda la distribuzione globale di contenuti, il tema dei format è molto importante. Può fornirci una breve definizione del format e illustrarci l’importanza del mercato globale dei format, anche per Netflix, rispetto alla prima fase prototipica, quando la circolazione dei format non era ancora regolata?
Il format è la struttura dello show, adattata per il pubblico locale: significa prendere la struttura dello show e trattenere i punti chiave di quello spettacolo, come per Love Island, Got Talent, Strictly Come Dancing [nel mercato italiano, questi format sono stati adattati con i nomi di Love Island, Italia’s Got Talent, Ballando con le stelle n.d.r]. Per quanto riguarda il mondo dello streaming, le piattaforme di streaming hanno alcuni unscripted format per la reality tv, ma non sono forti sulle piattaforme di streaming. Questo è il caso di Amazon prime Video, Apple TV, HBO Max e Netflix. Netflix ha alcuni reality show, ma non sono molti. Penso che le piattaforme di streaming abbiano spinto i broadcaster verso il mercato dei format: i broadcaster hanno bisogno di format per agganciare pubblici giovani.
Penso che, per via delle piattaforme di streaming, i format per la reality tv siano diventati sempre più importanti per i broadcaster locali. Certamente, quando si parla di format si parla comunemente di “unscripted format”, molto più presenti nelle tv. Poi esistono anche gli scripted format. Invece, le piattaforme di streaming si focalizzano sul genere drama, normalmente. In realtà, Amazon lancerà un grosso dating show e vedremo come andrà. Ma, al momento, la reality tv non è il contenuto principale delle piattaforme di streaming. Perciò, penso che i broadcaster vogliano davvero mantenere il controllo dei grandi brand di programma che le persone continuano a guardare, come “Got Talent”, le competizioni canore…
6. Anche il Grande Fratello continua ad essere molto visto in Italia, in effetti…
Sì, poi in Italia c’è anche il Cantante Mascherato, eccetera. E poi ci sono tanti format anche nel daytime, come le competizioni ambientate negli hotel. Penso che la reality tv sia diventata davvero importante per i broadcaster.
7. Una domanda più specifica sui format. L’economia dei media tende naturalmente a costruire delle economie di scala e di scopo. Rispetto ai contenuti ready-made, in che modo i format fanno i conti con questo elemento economico specifico del sistema dei media?
È una bella domanda. Sicuramente è più costoso produrre format, perché occorre vendere i diritti, avere un team di produzione locale a Milano o Roma, ad esempio: questo lo rende molto costoso. Ma l’effettivo guadagno procurato dal format arriva con la seconda, la terza o la quarta stagione. In questo senso il format è in grado di generare un’economia di scopo: quando hai una hit, come Masterchef, che viene prodotto ogni anno. Così, la troupe televisiva sa già cosa fare, i contratti sono già pronti, il set c’è già, ciascuno sa già cosa fare, i giudici sono ingaggiati… Penso che con il format, il guadagno è legato alle stagioni successive.
8. Il numero di scripted format è destinato a crescere su Netflix e Amazon? Sappiamo che, attualmente, il contenuto scripted è maggiormente presente sulle piattaforme di streaming rispetto all’unscripted.
La domanda è interessante, io direi di sì. Il motivo è che Netflix è un brand molto grande, per via della capitalizzazione del mercato: ha una capitalizzazione del mercato molto alta e il prezzo azionario è crollato. Dunque, questo è il momento di risparmiare denaro. Come tutti i broadcaster, deve guardare al concetto di rischio. Penso che se Netflix trova uno scripted format che gli piace, lo vorrà acquisire. Credo che Netflix vorrà assumere su di sé rischi minori prossimamente [anche dopo il recente, ma lieve calo di abbonati a Netflix, n.d.r.]. Probabilmente, avremo più scripted format. Il problema con Netflix è che chiedono i diritti globali e non tutti vogliono vendere globalmente i diritti sui propri format. E l’altro problema con Netflix è il fatto che è una piattaforma di streaming globale: quale versione di un format dovrebbero realizzare? Sa, la bellezza del format è che ognuno può avere la propria versione.
Questo è il caso della serie britannica Doc Martin; è la storia di un dottore di città che si trasferisce in campagna (nella versione britannica si sposta in Cornovaglia). In ogni Stato, si trasferisce in un luogo specifico, come è accaduto nella versione in Grecia, in Spagna ecc. Si potrebbe realizzare anche una versione italiana potenzialmente, un dottore che si trasferisce da Roma alla campagna, ad esempio. La bellezza del format è che il pubblico avrà un contenuto locale: auto italiane, cast di attori italiani… Il tema per le piattaforme di streaming è la loro natura globale: manca un contenuto locale che diventi una hit globale. In termini di acquisizione, penso che Netflix tenderà ad acquisire scripted format, come House of Cards e pochi altri, ma non penso che realizzerà versioni multiple: realizzerà un’unica grande versione e la venderà ai diversi mercati. Ed è vero che il mercato dei format non è ampio nel caso delle piattaforme di streaming.
9. Una domanda molto ampia e gettonata: quale sarà il futuro della tv tradizionale (lineare) e della pay tv? In un’intervista ha dichiarato che i contenuti necessitano di seguire gli utenti e gli utenti stanno sempre più sperimentando la convergenza dei media. Ci sono nuovi nuovi linguaggi e pratiche che, dal suo punto di vista, risulteranno vincenti in questo scenario, nei prossimi anni?
È vero che i provider devono seguire il pubblico, ma è altrettanto vero che gli utenti seguono i contenuti. Le faccio un esempio. Amazon Prime Video ha acquistato MGM (leggi: Scacco Matto per Jeff Bezos: Amazon compra la MGM). Della MGM, fa parte il franchise di James Bond. Adesso, nel Regno Unito (e attualmente anche in Italia) sono disponibili tutti i film di James Bond gratuitamente. I film di James Bond un tempo erano disponibili su ITV. Normalmente ne andava in onda uno o due a settimana: James Bond fa proprio parte della cultura britannica e il pubblico lo guarda e riguarda volentieri. Ma adesso, questo cambierà, perché James Bond approda su Amazon e il pubblico vorrà seguire quel contenuto. Quindi, il rischio per i broadcaster è di avere sempre meno contenuti.
Anche i diritti di sport sono passati dalle pay tv alle piattaforme di streaming. I broadcaster hanno sempre meno contenuti. Un tempo, riuscivano ad acquisire contenuti. Ad esempio, Disney continua a vendere contenuti, ma Disney sa che ha anche la sua piattaforma di streaming, che sta andando molto bene. Dunque, il problema per i broadcaster è avere contenuti interessanti ma non troppo costosi. Ad esempio, i diritti di messa in onda per lo sport sono molto costosi, le serie “premium” vanno in onda sulle piattaforme di streaming: i broadcaster continueranno a perdere pubblico, ma sopravvivranno perché continueranno a offrire contenuti che non sono disponibili in streaming, come le notizie locali, regionali e nazionali, varietà, eventi live, momenti nazionali importanti. Insomma, i broadcaster avranno un ruolo nel futuro ecosistema audiovisivo, ma certamente stanno subendo l’impatto dello streaming. Penso che le audience diminuiranno, perché i broadcaster avranno meno contenuti: al momento, per i broadcaster, è difficile trovare contenuti buoni. E quando il contenuto buono lascia il broadcaster, anche l’utente va altrove.
10. Tuttavia, gli investimenti pubblicitari sul mezzo televisivo sono ancora molto consistenti, al momento.
Sì, forse in futuro diminuiranno, ci sarà anche un’inflazione a causa della guerra in Ucraina, gli investitori avranno budget minori… Ad ogni modo, la maggior parte delle piattaforme di streaming sono di tipo SVoD [Subscription Video on Demand n.d.r.], solo alcune eccezioni seguono il modello AVoD [Advertisement Video on Demand, n.d.r.], come Twitch o YouTube. Tra l’altro, le entrate pubblicitarie di YouTube sono pari a circa 20 miliardi di dollari all’anno. Sicuramente i broadcaster sopravvivranno, ma il futuro non sarà certo roseo per loro. Comunque, i broadcaster godono di una certa stabilità di pubblico, elemento che piace agli investitori pubblicitari per le finalità connesse alla targhettizzazione dei pubblici.
11. Non è la “Golden Age” dei broadcaster, insomma.
Esatto. Ciò che possono fare gruppi come ITV, Mediaset è lanciare piattaforme di streaming, che funzionano bene a livello internazionale, perché si possono costruire economie di scala. Netflix ne ha una. In effetti, ha un piccolo team di ingegneri in tutto il mondo. Amazon ha il proprio cloud: Amazon Web Services. In questo modo, risparmiano molti soldi.
12. Il mondo della produzione e distribuzione mediale ha una certa rilevanza anche nei confronti del turismo. Pensa che le produzioni locali diventeranno sempre più centrali nella promozione del turismo? Penso al caso dell’Amica Geniale, una co-produzione fortemente rappresentativa di una realtà tutta italiana.
Sì. Penso che l’esempio più calzante in questo senso sia la Corea. La Corea sta investendo molto denaro nella produzione televisiva per attrarre turisti. L’Italia è una delle destinazioni turistiche più belle al mondo e la nazione più bella del mondo [ridiamo n.d.r.]. Quindi c’è già il turismo, ma i media, il cinema e la serialità hanno assolutamente un grossissimo impatto sul turismo, perché le location (come Roma, Milano, le coste) contribuiscono a dare significato ai luoghi. Pensiamo alla Sicilia: amiamo la Sicilia, con i suoi bellissimi paesaggi e il pubblico coglie il significato di quei luoghi. Penso che alcuni Stati siano molto intelligenti per averlo colto. Forse, l’Italia dovrebbe fare di più in questo senso e creare gruppi di lavoro locali: creerebbe lavoro, IPs, rappresentazione di sé e favorirebbe il turismo.
In conclusione, le ragioni del calo di abbonati a Netflix sono molteplici, ma emerge soprattutto che lo scenario mediale globale sta cambiando. I format avranno sicuramente un ruolo di primaria importanza per i broadcaster, mentre le piattaforme di streaming globali, nonostante il calo registrato da Netflix, continueranno a crescere. E hanno un’opportunità: diffondere la ricchezza artistica e culturale del Paese d’origine in tutto il mondo. Cogliamo l’occasione per ringraziare, nuovamente, il Professor Jean Chalaby per il prezioso contributo.
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Editor: Federica Crespi
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