Caso Durov: 12 reati e tanti sospetti intorno al fondatore di Telegram
Si arricchisce di sospetti e misteri il caso Durov. L’arresto del fondatore e CEO di Telegram ha infatti fatto notizia, e sta ancora facendo discutere. Sarebbero ben 12 i reati in qualche maniera riconducibili alla piattaforma social ideata nel 2013 dal magnate franco-russo.
A ciò si aggiunge la misteriosa figura di Yulia Vavilova, amica e accompagnatrice di Durov. La giovane donna sarebbe stata presente al momento dell’arresto, avvenuto nella serata di sabato 24 agosto presso Parigi. Dopo le manette ai polsi per il classe ’84 però della donna si sarebbero rapidamente perse le tracce. Ancora poco chiaro il ruolo che la stessa aveva rispetto alla figura di Durov.
A scuotere l’opinione pubblica francese ed internazionale è poi la sfumatura politica che tale arresto ha assunto. Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente francese Emmanuel Macron che ha ribadito come non si tratti di un arresto dalla matrice politica.
La vicenda di Pavel Durov sempre più nel vivo: enigmatica la figura di Yulia Vavilova
Pavel Durov è stato arrestato sabato 24 agosto in serata all’aeroporto di Bourget a Parigi. La vicenda però non pare perdere risonanza mediatica, dato che nelle ultime ore si sono susseguiti numerosi altri sviluppi direttamente connessi alla figura del franco-russo.
A cominciare da Yulia Vavilova. Si tratta della giovane donna che accompagnava Durov nel momento in cui gli sono state messe le manette ai polsi. Sarebbe una cittadina russa, di 24 anni, esperta dell’universo delle crypto valute e residente a Dubai.
L’accompagnatrice di Durov aveva seguito il quarantenne nei precedenti viaggi tra Kazakhistan, Uzbekistan e Azerbaigian. A darne conferma è stata di fatto lei stessa, attraverso una serie di post e stories pubblicate sui social, mezzo sul quale la giovane è particolarmente attiva.
O forse è meglio dire era particolarmente attiva, dato che proprio dopo l’arresto di Pavel Durov la Vavilova è di fatto sparita nel nulla. Ora vi è persino chi ritiene falso e costruito ad arte anche il nome della donna, ritenuta in qualche maniera direttamente coinvolta nell’arresto dell’inventore di Telegram. Intanto i familiari di Yulia non avrebbe più avuto modo di mettersi in contatto con la giovane proprio da sabato sera in poi.
Il caso Durov e l’ipotesi dell’arresto politico: Emmanuel Macron smentisce
Che la politica in qualche modo centri con il caso Durov sembra cosa piuttosto evidente. I contatti e i legami che il CEO di Telegram ha avuto con diversi governi è cosa assodata, così come concrete sono state le tensioni che la piattaforma digitale ha provocato in realtà quali ad esempio quella dell’isolata Russia.
Proprio con Vladimir Putin sarebbe persino dovuto avvenire un incontro (c’è chi ritiene sia in realtà avvenuto), probabilmente nella location di Baku in Azerbaigian. Il Cremlino nega, ma intanto attacca attraverso le dure parole di Dmitri Peskov, portavoce russo. Eccole:
Non sappiamo ancora di cosa sia accusato esattamente
A Baku peraltro Pavel Durov ci ha certamente fatto tappa, e a testimoniarlo è anche l’attività social dell’amica Yulia Vavilova. Un poligono di tiro in Azerbaigian compare sui social della giovane in data 21 agosto, e qualche ora più tardi a fare capolino è il ristorante Shore House Baku. Durov appare in entrambe le circostanze.
Il giallo politico però non si esaurisce e anzi prende ancora di più verve proprio in virtù delle voci che rimbalzano forti e chiare dalla Russia. Vyacheslav Volodin, numero uno della Duma sovietica, punta il dito contro gli Stati Uniti, palesemente indicati come responsabili dell’arresto di Durov.
Per Washington la sorveglianza sui social network, la loro totale censura e subordinazione, anche attraverso il ricatto con il pretesto di combattere vari tipi di minacce, è un metodo tradizionale di controllo politico e influenza esterna. Telegram è una delle poche e allo stesso tempo la più grande piattaforma Internet sulla quale gli Stati Uniti non hanno alcuna influenza. Allo stesso tempo, opera in molti Paesi che sono di loro interesse
Parole inequivocabili che sembrano sottolineare come oltre oceano vi sia interesse ad imbavagliare la realtà di Telegram. Lo stesso Volodin ha ricordato anche di come i rapporti tra Durov e la coppia Biden-Harris non siano stati idilliaci nei mesi scorsi.
Sull’affaire Durov è intervenuto anche il presidente francese Emmanuel Macron. Del resto oltre all’esecuzione dell’arresto, appunto avvenuto a Parigi, anche la cittadinanza del fondatore di Telegram è francese (oltre che russa).
Non è un arresto politico. È avvenuto nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria in corso
Queste le parole adoperate dal leader transalpino, che tenta di scolorare l’episodio dal forte alone politico che invece aveva assunto nelle ultime ore. Intanto proprio dalla Francia giungono le accuse definitive nei confronti di Pavel Durov.
Al numero uno di Telegram sono stati imputati ben 12 reati. L’intero castello inquisitorio peraltro sarebbe aperto sin dal mese di giugno e l’arresto avvenuto poche ore fa non avrebbe perciò i tratti dell’improvvisazione, ma sarebbe naturale atto conclusivo in un percorso giudiziario lungo e tortuoso.
Tra le 12 accuse mosse contro Durov compaiono anche quelle gravi di complicità nel possesso di immagini pedopornografiche, di partecipazione alla vendita di sostanze stupefacenti, e di connessione con reti responsabili di crimini informatici.
Il caso Durov apre un dibattito mondiale: il pericoloso e sottile rapporto tra social e politica
Che il legame tra il mondo oscuro ma bellissimo dei social, e quello altrettanto intricato e carico di ombre della politica, sia qualcosa di ampiamente controverso è ormai fatto appurato. I due universi viaggiano in parallelo ormai da diversi anni, ma a differenza di ciò che accade in geometria in questo caso si toccano ed intersecano più volte.
I social influenzano l’operato dei governi di tutto il mondo, e al contempo le voci politiche protagoniste sul globo sfruttano e usano i canali digitali per i propri tornaconto. Lo stretto rapporto tra queste due rette parallele ma estremamente vicine è perciò giocato su un connubio di vincoli e responsabilità difficilmente inquadrabili.
La vicenda di Pavel Durov in tal senso sembra gettare nuovamente uno sguardo collettivo sui legami tra social e politica. All’ideatore di Telegram infatti si imputa la mancanza di moderazione nei contenuti e la partecipazione più o meno diretta ad una serie di attività criminali. Questa almeno parrebbe essere la colpa prima che il Governo francese addossa al numero uno di Telegram.
D’altro canto però vi sono voci discordanti che sottolineano come l’universo dei social sia emblema di libertà di espressione e comunicazione, e non debba pertanto subire pressioni ed ingerenze governative. Viste le rimostranze piovute sull’esecutivo transalpino proprio dopo l’arresto di Durov anche lo stesso presidente Macron ha dovuto nuovamente sottolineare che:
La Francia ha più che mai a cuore la libertà di espressione e di comunicazione, l’innovazione e lo spirito d’impresa e rimarrà così
Il caso Durov comunque non riguarda soltanto la realtà francese, ma lancia di nuovo appunto un fascio di luce sul generale legame tra social e politica. Da una parte vi è l’esigenza di tutelare e proteggere Governi, istituzioni e di conseguenza cittadini da tutto ciò che può circolare attraverso tali canali, dall’altro però vi è pure il diritto degli utenti di usufruire dei propri account social in libertà.
Un gioco di responsabilità e di libertà che dunque si fa sempre più combattuto e complicato. Peraltro la vicenda di Pavel Durov assume in tal senso dei tratti epocali. Al netto delle controversie che avevano a loro tempo coinvolto Mark Zuckerberg ed Elon Musk, mai il leader di una delle principali piattaforme digitali mondiali era stato tratto in arresto pubblicamente.
Telegram peraltro sin dai suoi esordi risalenti al 2013 si è confermato uno dei social più libertini e liberi in circolazione. Desiderio più volte espresso dallo stesso Durov era infatti quello di garantire ai propri utenti una ferrea protezione dall’ingerenza governativa, di qualunque colore politico si trattasse. Ecco perché proprio tale piattaforma ha trovato ad esempio grande utilizzo e diffusione nelle aree di Ucraina e Russia, oggi in conflitto tra loro e soggette per versi opposti a limitazioni e bavagli mediatici.
Proprio in questa direzione però sembrerebbero muoversi le accuse rivolte a Pavel Durov. Al miliardario franco-russo si imputa di essere stato consapevole, e persino partecipe, di numerose attività criminali svolte attraverso i canali del suo Telegram.
Ecco dunque un secondo enorme elemento di novità. Al capo di un social viene riconosciuta (o meglio il processo francese dovrà riconoscere) la diretta responsabilità per quanto avviene sulla propria creatura digitale. Tra i 12 reati imputati a Durov vi è anche la complicità in una serie di atti criminali che si sono svolti grazie al supporto della piattaforma.
In questo senso i governi di buona parte del mondo sembrano spingere per una regolamentazione che possa garantire un maggiore e più capillare controllo sui social. Ciò accade negli Stati Uniti, ma pure in Europa, dove è entrato in vigore il Dsa, ovvero Digital Services Act.
La controversia social-politica tra Stati Uniti ed Unione Europea
Questione di diritti, e questione di responsabilità. Tutto sembra ruotare intorno a questi due punti chiave, che sono anche gli aspetti su cui girano i rapporti complessi tra mondo dei social e mondo della politica. Il caso Durov in questo senso non ha fatto altro che riacuire un sentimento imperante nel mondo ormai da diversi anni.
Negli Stati Uniti del resto i rapporti tra chi si trova a capo dei social e chi governa il Paese è sempre stato controverso negli ultimi tempi. Da ultimo ci ha pensato Marc Zuckerberg a sganciare una vera e propria “bomba digitale” ai danni del presidente americano Joe Biden e della sua vice, nonché candidata alla Casa Bianca, Kamala Harris.
Il numero uno di Meta infatti ha dichiarato di aver ricevuto pressioni da parte dell’amministrazione statunitense per cancellare ed oscurare alcuni contenuti presenti sulle proprie piattaforme. L’episodio sarebbe in particolar modo riferito al periodo della pandemia Covid (anno 2021 in special modo).
In quella circostanza, stando alle parole di Zuckerberg, diversi contenuti digitali, di carattere umoristico e satirico soprattutto, sarebbero stati censurati dietro forte pressione perfino della Casa Bianca. Il numero uno di Facebook scrive tutto ciò alla Commissione di giustizia della Camera dei rappresentanti, e sottolinea anche il proprio profondo rammarico per aver di fatto accettato, seppur dopo diverse rimostranze, una simile decisione.
Tornando al giorno d’oggi il caso Durov ha scatenato l’ostilità anche di figure quali quelle di Elon Musk e Edward Snowden. I due informatici hanno apertamente accusato la Francia e il suo presidente Emmanuel Macron di non aver rispettato la libertà di comunicazione ed espressione.
E in Europa del resto la regolamentazione digitale ha da qualche tempo assunto contorni nuovi e diversi. L’Unione Europea attraverso quello che è stato indicato come Digital Services Act (Dsa) ha voluto stabilire in modo incontrovertibile i limiti dei capi dei social.
Privacy, controllo dei contenuti e impostazioni volte alla limitazione di ciò che viene diffuso e pubblicato: in pratica queste sono le principali postille che tale atto europeo vuole sostenere e portare avanti. E così piattaforme social come TikTok, X, il gruppo Meta ma anche Google, si ritrovano soggette ad obblighi e regole che ne limitano i contenuti, e che impongono vincoli di censura su quanto gli utenti vanno quotidianamente a pubblicare e diffondere. In caso contrario ecco l’imposizione di multe salate dai tanti zeri, che andrebbero a ricadere proprio su coloro che gestiscono i social.
Dunque nell’intricato rapporto tra mondo digitale e politica la strada imboccata tanto negli Stati Uniti quanto nel Vecchio Continente parrebbe quella dell’abbandono del free speech, e dopo il caso Durov pure della perdita di immunità per i grandi numero uno dei principali colossi informatici mondiali.
Conclusione: si infiamma il caso Pavel Durov: 12 le imputazioni e tanti sospetti intorno al fondatore di Telegram. La vicenda riporta in auge il complicato rapporto tra mondo dei social e mondo della politica
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