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Spettacolo,  Teatro

Chiusura teatri: nessuna polemica, ma così muore la cultura

Il nuovo DPCM chiude al pubblico i teatri: la cultura così non può funzionare

Chiusura teatri:

il nuovo DPCM chiude al pubblico i teatri e destabilizza ulteriormente il mondo della cultura. Questo fragile ecosistema, questa specie di bolla che nel nostro Paese sembra sempre lontana dai dibattiti più caldi e importanti.

Nessuna polemica, in una situazione estremamente difficile, ma destabilizzare questo settore è estremamente pericoloso. Per la cultura, che nel nostro Paese non gode di buona salute, da ben prima della pandemia.

Per i lavoratori dello spettacolo, troppo spesso ignorati: per gli attori e gli artisti, certo, considerati troppo spesso come delle specie di saltimbanchi, e non degli uomini e delle donne che lavorano; e anche per tutti quegli occupati nei settori dello spettacolo, che sono anche fonici, tecnici, elettricisti, allestitori, artigiani, impiegati.

Secondo un’indagine dell’Istat, i lavoratori occupati nello spettacolo nel biennio 2017-18 erano complessivamente 142mila, tra professionisti del settore e altri lavoratori, che grazie a quel settore lavoravano.

Chiusura dei teatri: qualche riflessione

La pandemia è terribile e necessita di strategia. Così il Ministro Spadafora nella puntata di domenica scorsa a Che tempo che fa, chiarisce che le chiusure dei cinema, dei teatri, delle palestre, hanno a che fare con una strategia complessiva per portare le persone a muoversi di meno.

Tuttavia, non si può non notare, come evidenziato dalla lettera dell’Agis a Conte e Franceschini, come la chiusura dei teatri penalizzi in maniera ingiustificata un settore e dei luoghi, che in questi mesi si sono rivelati tra i più sicuri (leggi la lettera). Luoghi di aggregazione a distanza, di scambio di idee e opinioni, di inventiva, intrattenimento e cultura. Tra l’altro, non ci sembra ci sia la ressa per entrare a teatro in Italia. Purtroppo.

Questa chiusura si inserisce dunque nel contesto di un ecosistema sociale già di per sé fragile, ma fondamentale se crediamo che la cultura sia l’humus del miglioramento e del progresso. Lontani sono i giovani dal teatro, lontani i grandi investimenti, lontane le folle. Ora sarà lontano, almeno fino al 24 novembre, anche quel poco pubblico di cui il teatro godeva. Di nuovo.

Questo non farà bene a chi lavora, a chi progetta, a chi crea, a chi sostiene, ovviamente. E a noi? A noi farà bene? Questa precarizzazione infinita della cultura su tutti i fronti?

Ci lamentiamo spesso della scarsa qualità di ciò che vediamo, ascoltiamo, leggiamo. Quanto però siamo disposti a pagare, investire, credere per sostenere affinché qualcuno crei, reciti, scriva?

Speriamo almeno, detto sinceramente, che tutto questo serva a farci stare meglio. Già, perché un infelice Ministro qualche tempo fa disse che con la cultura non si mangia. Da allora, però, non abbiamo avuto altro che sempre più fame.

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