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Cina, cosa ci può dire il XX Congresso Nazionale del Partito Comunista del futuro di Xi Jinping?

A tre giorni dal XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese, che dovrebbe consegnare a Xi Jinping il terzo mandato, a Pechino, cuore politico della Cina, c’è stata una delle pochissime proteste contro la cosiddetta “politica Zero Covid” e contro Xi stesso.
Sul ponte Sitong (四通桥) nel quartiere Haidian (海淀区), dove sono presenti le università più importanti della città e della Cina, Peking University (北大) e Qinghua University (清华大学), il 13 ottobre sono apparsi degli striscioni accusatori verso il Partito, proprio quando la propaganda ufficiale e le forze dell’ordine dicevano che a Pechino non c’erano proteste e tutti erano contenti dell’operato del governo. Da come si legge dagli striscioni la verità è un po’ diversa: “不要核酸要吃饭,不要封控要自由,不要谎言要尊严,不要文革要改革,不要领袖要选票,不做奴隶才做公民” (Non vogliamo test Covid, vogliamo mangiare; non vogliamo i lockdown, vogliamo essere liberi; non vogliamo le menzogne, vogliamo dignità; non vogliamo la Rivoluzione culturale, vogliamo le riforme; non vogliamo dei leader, vogliamo votare; non vogliamo essere schiavi, vogliamo essere cittadini” e ancora “罢课罢工罢免独裁国贼习近平” (sciopero dalle scuole, sciopero dal lavoro, abbattiamo il dittatore traditore Xi Jinping).
Il 16 dunque si apre il XX Congresso che dovrà eleggere gli uomini nei più importati ruoli di potere e da come verranno assegnati si potrà capire se effettivamente Xi Jinping sia riuscito a consolidare il proprio potere o se sia dovuto scendere a patti con le altre componenti del Partito.

Il XX Congresso Nazionale

La lista contenente i nomi dei 2296 candidati è già stata pubblicata dal Dipartimento Centrale per l’Organizzazione, l’organo di partito incaricato di supervisionare la selezione, e ciascuno dei candidati ha già passato una selezione tecnica e di fede politica. Infatti, uno dei criteri fondamentali utilizzati per identificare i candidati “giusti”, che poi formeranno l’élite politica per i prossimi cinque anni, è la loro fedeltà al Partito, in particolare al “pensiero di Xi Jinping sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era”, la filosofia politica dell’attuale Segretario Generale che è stata incorporata nelle costituzioni del Partito stesso e dello stato.

Tra questi ci saranno gli uomini che diverranno i prossimi membri (a oggi sette ma niente vieta che siano di più) del Comitato Permanente del Politburo (PSC), l’organo decisionale del Partito. E la sua futura composizione ci dirà, post hoc, se Xi sarà stato in grado di aumentare il suo potere o no. Se nel prossimo PSC ci saranno i suoi fedeli allora questo sarà il segnale che il suo controllo personale sul Partito sarà aumentato.

Il ruolo e l’esistenza stessa dei Congressi del Partito, e il Congresso Nazionale non fa eccezione, è allo stesso tempo estremamente importante per l’istituzionalizzione del Partito, cioè quel processo attraverso il quale il Partito da una parte legittima legalmente la propria supremazia politica e morale e dall’altra crea dei pesi e contrappesi interni per impedire un Mao bis, ed è praticamente inutile perché la volontà della vera élite non è mai stata messa in discussione in queste sedi. Ciononostante, questo apparente paradosso è cruciale per cercare di capire come il Partito si sia organizzato per controllare, governare e mantenere il potere. È dunque necessario e interessante analizzare la struttura e il procedimento formale dei Congressi per poi analizzarne l’outcome e capire come i pochi appartenenti alla vera élite, dominante o meno, li utilizzino per validare le loro decisioni che sono state prese al di fuori in sedi informali.

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Credits: Reuters

 

Quindi la composizione del prossimo Politburo (di 25 membri di cui più della metà cambieranno) e soprattutto del Comitato Permanente del Politburo ci potranno fornire un indizio per capire se Xi Jinping è riuscito a estendere la propria influenza e dunque diventare il leader cinese più potente dai tempi di Mao Zedong. Per fare ciò tutti gli analisti dicono che Xi dovrà interrompere una serie di norme costruite dai suoi predecessori proprio per impedire un accentramento di potere nelle mani di un solo uomo. La domanda da porsi è:. La domanda da porsi è: avrà la forza politica sufficiente a rompere col passato e a emarginare le correnti avversarie del Partito alla luce dell’ultimo anno disastroso dal lato economico e del recente malcontento trapelato?

Negli ultimi anni Xi ha certamente aumentato l’accentramento di potere su di sé eliminando nel 2018, tra le altre cose, la regola dei due mandati. Ora ci si attende che rimuoverà anche la cosiddetta norma dei “sette su, otto giù” (七上八下), cioè i quadri dai 67 anni in giù potranno essere nominati a nuove posizioni mentre quelli dai 68 anni in su devono ritirarsi dalla vita politica. Xi Jinping ha 69 anni ed è quindi evidente che per lui questa regola non si applica più ma per gli altri non si sa ancora. La rottura di questa regola è fondamentale per eliminare o purgare i suoi avversari.

Ecco gli attuali sette membri del PSC: Xi Jinping, 69 anni, Li Keqiang, 67, Wang Yang, 67, Wang Huning, 67, Zhao Leji, 65, in teoria dovrebbero rimane, mentre Li Zhanshu (72) e Han Zheng (68) dovrebbero ritirarsi. Se Xi dovesse attenersi alle norme attuali ci sarebbero dunque solo due posti vacanti da occupare.

I candidati più probabili, per via del loro alto ranking nel Politburo, sono Hu Chunhua, 59 anni, ex stella nascente e possibile successore di Xi prima che quest’ultimo decidesse di sfidare l’istituzionalizzazione del Partito e di decidersi per il terzo mandato e il fido Chen Ming’er, 62 anni. Per il momento l’unica cosa certa che si sa è che l’attuale premier del Consiglio di Stato (seconda carica), Li Keqiang, non servirà un altro mandato e, forse, diverrà il nuovo presidente del Congresso Nazionale del Popolo (terza carica). Li fa parte della “Fazione” della Lega della Gioventù Comunista (Tuanpai, 团派) che è avversaria di Xi e quindi potrebbe accettare un declassamento pur di rimanere nel PSC. Contemporaneamente, Xi vorrebbe come premier un suo alleato e non un membro di una fazione avversa, in particolare dei Tuanpai, ma nessuno dei membri del PSC fedeli a Xi ha i requisiti di anzianità necessari, come sottolineato dall’analista politico Dan Macklin. Il prossimo premier potrebbe essere, a regola, o Wang Yang o Hu Chunhua, entrambi Tuanpai ma con Hu in svantaggio per questioni di anzianità ed esperienza. Se tutto dovesse andare secondo le norme di anzianità, con gli over 68 via e dentro solo due nuovi membri (uno alleato e uno meno), significherebbe che Xi si è attenuto alle regole del Partito e che ha rispettato la norma di indicare, in genere di una decina di anni più giovane, il futuro Segretario Generale e il futuro premier, rispettivamente Chen e Hu, per il quinquennio 2027-2032.

Si è parlato anche del segretario del Partito di Shanghai, Li Qiang, 63, come possibile premier ma dopo la figuraccia fatta ritardando i lockdown nella città la sua candidatura appare assai irrealistica. Non sono da escludere anche il direttore dell’ufficio del Segretario quindi molto vicino a Xi, Ding Xuexiang, 60, il capo della propaganda, Huang Kunming, 65, i segretari di Pechino, Tianjin e Guangdong Cai Qi, Li Hongzhong e Li Xi.

Quindi se nel prossimo PSC ci saranno Xi Jinping, Wang Yang, Li Keqiang, Wang Huning, Zhao Leji, Chen Ming’er e Hu Chunhua vorrà dire che il bilanciamento di poteri tra il non onnipotente Xi e il Partito è stato rispettato perché solo Zhao e Chen sono suoi stretti alleati. Xi dunque si troverebbe in minoranza con solo due stretti alleati su cinque perché Wang Huning, l’ideologo che ha servito sotto tre segretari generali è più una figura trasversale che però è sempre più potente perché ha contribuito a plasmare la visione che la Cina ha di sé e del suo ruolo nel mondo negli ultimi vent’anni.

Ma c’è un caso opposto: Xi è diventato così potente da spazzare via tutta la concorrenza (via gli avversari diretti cioè Li Keqiang e Wang Huning.), da rimuovere il limite di età e dunque è riscito a promuovere nel PSC solo i suoi alleati più stretti. Addirittura, è riuscito a impedire la promozione dell’asso dei Tuanpai, Hu Chunhua. L’unico non alleato rimanente potrebbe essere Wang Yang che però non diverrebbe premier a favore del 68enne Han Zheng. Ovviamente, la presenza nel PSC di Zhao Leji, Chen Ming’er, Ding Xuexiang e Huang Kunming a questo punto è data per scontata. Molti osservatori dicono che Xi potrebbe addirittura rispolverare la carica di Chariman del Partito che fu di Mao e abolita nel 1982 per sancire simbolicamente la sua superiorità rispetto ai predecessori. Potrebbe anche aumentare i membri del PSC, creando nuove cariche concesse ai sui alleati, per consentirgli di un maggiore controllo del Partito Centrale.

Le conseguenze di questa formattazione del Comitato Permanente del Politburo sono la possibile continuazione della politica Zero-Covid, un controllo sempre maggiore della società che condurrebbe, dicono molti analisti, a una vera repressione che però potrebbe portare a un vero malcontento generalizzato. Dal punto di vista economico, poi, la differenza tra questi due esiti, di molti perché nessuno può davvero prevedere cosa succede dietro le quinte, è netta. Se con il predecessore di Xi Hu Jintao (Tuanpai) la Cina aveva continuato il processo d’apertura e riforme verso una sorta di “liberalizzazione” controllata e verso un’economia di mercato, negli ultimi cinque anni, con un Li Keqiang, ex pupillo di Hu, sempre meno importante, con Xi al potere, invece, si è visto una maggior controllo del Partito sull’economia e una serie di crackdown sulle grandi aziende, soprattutto hi-tech. Quindi, si può prevedere che questo trend continui con effetti sul medio-lungo termine non proprio propizi.

Infine, dal punto di vista interno del Partito, la rottura del limite d’età significa che l’unico vincolo, seppur informale, utile per consentire il turnover al vertice del potere è venuto meno e quindi, come sottolinea Macklin, c’è il rischio che si ritorni alla gerontocrazia di epoca maoista che andrebbe a scontrarsi con l’ideale di Xi stesso del ringiovanimento della Cina andando a danneggiare l’immagine ed eredità politica di Xi Jinping e, in ultima istanza, la Cina stessa.

 

Foto di copertina: The Diplomat

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Writer: Lorenzo Bossola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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