Wong Kar-wai
Interviste

Conversazione con Wong Kar-wai

Intervista al regista di In The Mood For Love Wong Kar-wai

Intervista al regista di In The Mood For Love Wong Kar-wai

Come è nata la collaborazione tra te e Mark Li Ping-ping, l’operatore di Hou Hsiao-hsien, dopo che Chris Doyle ha abbandonato il set? Sappiamo che sei un estimatore di Hou Hsiao-hsien: il suo lavoro ha in qualche modo influenzato In the Mood for Love?

Prima di tutto devo dire che Mark Li ha collaborato con noi ben prima di In the Mood for Love. Nella mia carriera ho lavorato con tre operatori: il primo è stato Andrew Lau, che in seguito è diventato un regista di successo (è l’autore della serie Young and Dangerous e di hit come The Storm Riders e A Man Called Hero, n.d.r.); il secondo è Chris Doyle, con il quale ho avuto un rapporto discontinuo, perché dovete sapere che lui è sempre impegnato, per molteplici ragioni…

magari perché ha appuntamento con una ragazza a Tokyo e deve sparire per un po’ di giorni, quindi spesso abbiamo dovuto cavarcela con la seconda unità; Mark, il terzo operatore, è in effetti con noi da diverso tempo, ci ha aiutato in Hong Kong Express e Angeli perduti.

Dato che la lavorazione di In the Mood for Love ci ha portato via più del tempo del previsto, Chris è dovuto andar via per collaborare a un’altra produzione, così Mark è subentrato e ha finito il film. Per quanto riguarda Hou Hsiao-hsien, di cui sono molto amico, penso che sia uno dei grandi maestri del cinema cinese: una delle ragioni che mi ha spinto a realizzare In the Mood for Love è stato il suo The Flowers of Shanghai.

Il film mi è piaciuto molto, ma la descrizione della gente di Shanghai, secondo me, non era del tutto corretta. È per questo che con In the Mood for Love ho voluto fare un vero film sugli «shanghainesi». Volevo fare un film sugli anni Sessanta, su quello spirito: un film sul «vicinato», che allora aveva un significato completamente diverso rispetto ad adesso. Oggigiorno, in effetti, non sappiamo nemmeno più chi vive nella porta accanto alla nostra…

In the Mood for Love non è tanto una storia d’amore, quanto una storia che tratta delle condizioni in cui una vicenda sentimentale può svilupparsi. I protagonisti passano gradualmente dalla posizione iniziale di vittime, entrambi traditi dai rispettivi coniugi, a quella opposta, a loro volta di amanti.

Non è quindi solo un film su una relazione extraconiugale, o sul matrimonio, bensì sulle condizioni che un amore si trova a vivere di momento in momento, con il passare del tempo. Non ho mostrato il volto dei coniugi per evitare un giudizio morale, altrimenti sarebbe diventata un’altra storia; a noi invece interessava esplorare le possibilità che ha l’amore di esistere e come per ogni individuo possano coesistere queste due posizioni rispetto all’amore, quella del tradito e quella di chi tradisce.

Tony Leung ha dichiarato a un giornalista che In the Mood for Love è iniziato come una commedia, o comunque qualcosa di completamente diverso da com’è adesso. Quanto conta per te l’improvvisazione?

No, non ho mai avuto l’intenzione di farne una commedia, anche se in qualche scena capita che il pubblico si metta a ridere.

Per quanto riguarda l’improvvisazione, mi succede molto spesso – come in questo caso – di iniziare a girare senza avere un copione completamente finito, di partire solo con una specie di scaletta e alcune idee. All’inizio, in realtà, ho in mente solo gli attori. Per In the Mood for Love sapevo solo che volevo lavorare con Maggie e Tony; i personaggi sono nati in seguito, attraverso il lavoro con i due interpreti.

Si può considerare In the Mood for Love come una sorta di conclusione ideale di Days of Being Wild? Quest’ultimo terminava con Tony Leung che si vestiva preparandosi a uscire di casa, mentre qui il film inizia con l’arrivo dello stesso Tony nell’appartamento… Inoltre durante In the Mood for Love ricorre molto spesso l’inquadratura di un enorme orologio da parete, che sembrerebbe un riferimento a quello quasi identico che campeggiava nella prima sequenza di Days of Being Wild.

Veramente, quando abbiamo iniziato a girare, eravamo convinti che questo film non avesse niente a che fare con Days of Being Wild, sebbene anch’esso sia ambientato negli anni Sessanta. Ma durante le riprese abbiamo cominciato a percepire la sensazione di un fantasma dal passato che stava lentamente ritornando.

Durante una discussione con Maggie a proposito del background del suo personaggio, io sostenni che effettivamente lei era lo stesso personaggio di Days of Being Wild con dieci anni in più. Maggie non era d’accordo, secondo lei non era lo stesso personaggio.

«Perché no?», dissi io, «Per via del nome? Posso darti lo stesso nome, se vuoi». Quindi, per rispondere alla domanda, sì, per me In the Mood for Love è Days of Being Wild invecchiato di dieci anni. Se avessi realizzato In the Mood for Love dieci anni fa sarebbe stato come Days of Being Wild, e viceversa.

Uno spettatore occidentale potrebbe avere l’impressione che nel tuo film ci sia qualcosa di François Truffaut, del suo stile struggente nel descrivere l’evolversi dei sentimenti…

No, nel realizzare In the Mood for Love non ho mai avuto in mente Truffaut. Ma ricordo un suo celebre libro, «Il cinema secondo Hitchcock», e in realtà ho voluto fare un film come lo avrebbe fatto Hitchcock. In effetti è molto differente dai miei film precedenti, perché ho cercato di considerarlo quasi come un thriller. Nei thriller di Hitchcock la maggior parte delle azioni non accadono di fronte alla macchina da presa, ma fuori-campo: le puoi immaginare, ma non le vedi realmente sullo schermo. Proprio come nel mio film.

I tuoi film sono tutti prodotti dalla Jet Tone, la compagnia che hai fondato con Jeff Lau. Come funzionava la collaborazione tra voi due? In particolar modo, vorrei che mi parlassi di Ashes of Time e di The Eagle Shooting Heroes, due film del ‘93 tratti dallo stesso romanzo di Jin Yong, ma realizzati con stili completamente differenti: il primo, diretto da te, è un film d’arti marziali molto serio, invece il secondo, diretto da Jeff, è in pratica la parodia del tuo.

Ho fondato la Jet Tone perché dopo il flop di Days of Being Wild era diventato completamente impossibile trovare un produttore che volesse finanziare i miei film, quindi ho deciso di produrli da solo. Con me ho voluto Jeff Lau, che era un regista di successo a Hong Kong. Io e lui siamo amici da molto tempo, dato che abbiamo iniziato a lavorare insieme come sceneggiatori, molto tempo prima di esordire alla regia.

Per quanto riguarda i due film… Ogni volta che terminavo un nuovo lavoro, subito dopo veniva fuori la parodia. È successo con Days of Being Wild, immediatamente preso in giro da Days of Being Dumb (di Blackie Ko, con Tony Leung Chiu-wai – protagonista di In the Mood for Love – in uno dei due ruoli principali, n.d.r.).

Così ho pensato che sarebbe stato interessante realizzare contemporaneamente Ashes of Time e la sua parodia. Ma il fatto è che io lavoro lentamente, mentre Jeff è velocissimo: quindi in effetti è successo che la parodia, ovvero The Eagle Shooting Heroes, è uscita nelle sale prima del film che doveva essere parodiato, cioè Ashes of Time.

È vero, come ci ha rivelato Stephen Chiau a Udine, che Jeff Lau intende ritirarsi?No, non mi risulta. Jeff si è trasferito in Canada e sta lavorando a un nuovo film.

Quale sarà, invece, il tuo prossimo progetto?
Sto preparando un film intitolato 2046, inizierò a girarlo molto presto. L’idea del film nasce dal fatto che nel 1997, al momento dell’handover, il governo cinese promise che per cinquant’anni a Hong Kong non sarebbe cambiato nulla. Il film, appunto, è ambientato nel corso dell’ultimo di quei cinquant’anni. È un film sulle promesse.

(a cura di andrea tagliacozzo)

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