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Da 30 anni l’Officina…

Festeggiato il teatro politico che fu fondato nel 1973 da Massimo De Vita. Un palcoscenico, quello alla periferia di Milano, che da sempre ha scelto di stare dalla parte degli altri, dei lavoratori, dei giovani, degli uomini semplici Il Teatro Officina compie trent’anni: una vita ragguardevole per qualsiasi teatro, ma ancora di più per un palcoscenico che si è posto come scelta radicale di stare dalla parte «degli altri» cioè di fare un teatro politico, evidente fin dalla scelta del logo, una stilizzata chiave inglese, simbolo di lavoro e di fatica, di difficoltà e di voglia di farcela, di amore infinito per la cultura anche da parte di quelli che ne erano (e ne sono) tenuti ai margini. Una scena alla portata di tutti con una preferenza, neanche tanto nascosta, per i lavoratori, i giovani, i semplici: una scena «proletaria» dove l’aggettivo non sta a diminuzione della sua valenza , semmai ne sottolinea la peculiarità e la specificità.
Sabato il Teatro Officina si è festeggiato ed è stato festeggiato dai suoi amici e dal suo pubblico al Teatro Grassi: per Massimo De Vita, in un certo senso, un ritorno alle origini. È infatti alla Scuola del Piccolo, allora al Palazzo delle Stelline di corso Magenta a Milano, che De Vita si è formato come attore avendo come maestro Giorgio Strehler che lo definì, in una valutazione scolastica, «infelicemente felice». E proprio sul palcoscenico di via Rovello De Vita, che è attore e regista, ha mosso i primi passi della sua carriera, prima di passare a condividere l’esperienza di Dario Fo, che aveva abbandonato i cosiddetti «teatri borghesi» per trovare il suo pubblico altrove, in spazi alternativi. Fedele a quella lezione di rigore per trent’anni De Vita ha portato avanti caparbiamente, coraggiosamente, spesso in solitudine quando non ignorato, una sua ricerca concreta sul modo di fare teatro non tanto secondo l’ideologia dominante quanto riportando alla luce i corsi d’acqua nascosti e dimenticati del sapere dei dialetti, il lavoro sulle culture regionali, la memoria di una società contadina, la spersonalizzazione del lavoro in fabbrica, spesso conosciuto palmo a palmo dentro le officine della limitrofa cittadina di Sesto San Giovanni insieme alle utopie operaie, i sogni, gli smarrimenti, le speranze e le delusioni di una classe intera considerata con affetto vero e senza retorica come il sale della terra.
È con questo spirito, che il Teatro Officina ha festeggiato se stesso, ripercorrendo la propria storia, con uno spettacolo pensato come una festa alla quale è stato dato il titolo di Quer pasticiaccio brutto de via san Erlembardo, citando il celeberrimo romanzo di Carlo Emilio Gadda e facendo riferimento al nome della via, una traversa di viale Monza, quartiere operaio e proletario, dove il Teatro Officina ha da tempo la sua casa. Un contenitore per i ricordi, le emozioni, i sogni e le delusioni di De Vita, teatrante milanese, di una coscienza critica di Milano così com’è diventata: una città abituata ad andare troppo di fretta, che sembra essersi lasciata alle spalle il senso della solidarietà e la ricerca della giustizia sociale di un tempo. (25 settembre 2002)
Nella foto, una scena dal palcoscenico del Teatro Officina

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