Daniele Amato borse made in italy di lusso
Moda

Daniele Amato: «raccolgo l’eredità artigianale di Leu Locati e mi ispiro a Saint Laurent»

Daniele Amato: «vi racconto come nasce una borsa di lusso Made in Italy»

Daniele Amato
Daniele Amato

Nel cuore di Milano, in Via Cosimo del Fante n.13, c’è uno speciale laboratorio artigianale dove nascono le borse di Daniele Amato. Una tradizione lunga più di cent’anni, che affonda le sue radici nella maestria di Leu Locati, artigiano milanese specializzato nelle decorazioni delle copertine di libri sacri e successivamente nella lavorazione di articoli in pelle.

L’antico telaio dell’800, le esclusive lavorazioni come il Mesh e il Petit Point e le pelli esotiche sono i tratti distintivi di una storia che oggi continua ad essere scritta e riscritta da Daniele Amato, esponente della settima generazione della famiglia.

Telaio dell'800 per la lavorazione in Mesh
Telaio dell’800 per la lavorazione in Mesh

Siamo stati nel luogo magico dove nascono le sue creazioni, la storica sede dell’azienda a pochi passi da Piazza Missori e abbiamo fatto due chiacchiere con lui.

Cosa è per te la moda?

Per me la moda è sicuramente impegno, dedizione, artigianato, bellezza e lusso. È tutto perché si infiltra in qualsiasi cosa, tocca l’abbigliamento, gli accessori, la personalità delle persone, la bellezza interiore ed esteriore. Interseca tutti gli argomenti. Ora si parla tanto di ambiente e la moda -non a caso- è in prima fila: la moda è un movimento sociale.

Come nasce una borsa Daniele Amato?

Una borsa o un accessorio Daniele Amato nasce dalle esigenze della clientela, io do molta importanza alla richiesta del cliente. Il cliente vuole essere coccolato. Nasce quindi da un’idea che è anche un’esigenza, da li si fa una ricerca nell’archivio: io amo reinterpretare, creare da qualcosa di già esistente, si tira fuori un modello che viene poi rivisitato e riproposto in maniera più attuale. Ci sono borse che hanno 70 anni e da questi modelli ne creo sempre di nuovi. Mio nonno, negli anni ’70, diceva che non si poteva più inventare niente.

La pandemia ha cambiato alcuni meccanismi della moda. Qual è il tuo parere a riguardo?

É stato fatto un passo indietro. Prima le collezioni erano due, non si rifaceva la collezione tutta da capo, e i modelli che andavano bene non venivano messi da parte. Occorre addestrare i giovani, le nuove generazioni, parlare un po’ meno di sostenibilità e più di concretezza. Io ritengo che noi siamo più sostenibili rispetto alle aziende che si definiscono tali per il solo motivo che non buttiamo gli avanzi di pelle, che andrebbero smaltite nell’inceneritore.

Come descriveresti le creazioni di Daniele Amato?

Vintage, cura dei dettagli e fatto a mano.

Hai mai pensato ad una linea in ecopelle?

No, non ci sarà mai. L’ecopelle non esiste, non la userò mai. È plastica, petrolio. Anche proprio per una questione di qualità, in poco tempo l’ecopelle si deteriora e si sbuccia. Una delle mie più grandi paure è che prima o poi ci vieteranno l’uso della pelle, secondo me tra trenta quarant’anni, il coccodrillo per me ha ancora dieci anni.

Ci sono dei designer che prendi come riferimento e che apprezzi particolarmente?

Sicuramente Saint Laurent, ma anche il direttore creativo attuale Anthony Vaccarello, che procede con un approccio molto simile al mio. Rivisita l’archivio, ripropone qualcosa che ha funzionato con forme e proporzioni nuove.

Hai mai pensato di prestare la tua creatività a servizio di altri brand?

Si lo faccio già, per tanti. Spesso offro consulenze ai marchi e designer ma non lo faccio con tutti, deve essere stimolante, se il brand mi dà uno stimolo io mi lancio volentieri a dare il mio know-how pur mantenendo l’identità di quel brand. Raccolgo le loro idee e le assemblo insieme per ottenere un prodotto unico.

La Cina è stato il mercato trainante anche durante la pandemia. Che progetti avete per  il mercato Orientale?

Per ora mantenere la posizione, a perdere meno punti vendita possibili, che in questo momento è un traguardo per il marchio Daniele Amato.

Hai pensato di aprire un monomarca?

Si, ma in Italia il mercato è ancora debole. È un passo che mi piacerebbe fare ma dovrebbero aprire le frontiere. Le clienti italiane si rivolgono ancora direttamente a me, vengono qui in azienda e insieme creiamo un prodotto unico che soddisfi tutte le richieste.

Cosa ti auguri per il futuro?

Di arrivarci (ride), di reggere il colpo, è stato un periodo duro, anche per la mancanza dei fornitori. È stato difficile perfino reperire le scatole per confezionare le borse in quest’ultimo periodo.

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