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Due anni di pandemia: la solitudine e le vite spezzate dal primo caso a Codogno nel febbraio 2020

Due anni di pandemia: Codogno 2020 è solo più un lontano ricordo?

Sono già trascorsi due anni dall’inizio della pandemia in Italia, da quando a Codogno, quel 20 febbraio 2020, si scoprì il cosiddetto ‘Paziente 1’ in tutta Europa. Era il 38enne Mattia Maestri, il primo paziente ad aver contratto il Covid-19 (anche se allora dicevamo ancora Coronavirus) al di fuori della Cina.

Pochi giorni dopo, il 24 febbraio, il primo bollettino riportava già 221 positivi e 7 morti. Oggi, grazie ai vaccini, possiamo guardare al futuro con più serenità. Ma i numeri sono stati impietosi e si è realizzata una vera catastrofe. Il totale solo nel nostro Paese è di 12.427.773 contagi. Per non parlare dei decessi: 152.848.

La soluzione? Convivere con il virus.

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Due anni di pandemia: i primi casi a Codogno nel 2020

Ognuno li ha vissuti a proprio modo, con diverse sensazioni ed emozioni. Ma tutti abbiamo ben impressi nei ricordi quei primi giorni di paura e soprattutto di confusione di fronte alle notizie comunicate dai media.

Il 23 febbraio il governo Conte aveva istituito con un dpcm le prime zone rosse in dieci comuni del lodigiano e a Padova. E sappiamo benissimo come nel giro di poco tempo, con il rapido aumento dei contagi, siamo arrivati a conoscere la parola lockdown. Il 9 marzo l’Italia entrava ormai interamente in zona rossa.

Poi, quel 18 marzo: l’immagine simbolo del Covid nel nostro Paese. I mezzi militari che pieni di bare procedono in coda per le strade di Bergamo. Una situazione che in quel momento ci appariva surreale.

Ma che ad oggi consideriamo la nostra nuova normalità. Fatta di mascherine (chirurgiche, Ffp2, Ffp3 e chi più ne ha più ne metta), tamponi (molecolare, antigenico, salivare…), vaccini (Pfizer, Johnson&Johnson, Moderna…), guanti, tute, gel disinfettante, paura di uno starnuto o di un raffreddore, e soprattutto distanza.

La distanza tra esseri umani, che da animali sociali si sono trovati costretti in spazi chiusi e impediti della possibilità di uscire nel mondo. E quante famiglie si sono divise per la pandemia. Quante coppie, quanti amici, colleghi, compagni di banco. E soprattutto quante vite perse e spezzate. Quanta sofferenza, quanta solitudine.

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Codogno 2020, due anni fa l’inizio della pandemia: chi abbiamo trascurato?

È vero, la pandemia ci ha insegnato una bella lezione sull’importanza della flessibilità organizzativa e logistica negli ospedali. In Italia è stata messa in piedi un’enorme macchina di prevenzione contro il Covid-19. Da 1.600 tamponi al giorno siamo passati a 170mila, attivando Covid point e hub vaccinali.

Ma ci siamo accorti di chi abbiamo lasciato indietro? Di chi oggi paga il prezzo più alto di due anni di alti e bassi tra lockdown e riaperture? Una crisi di così ampia portata colpisce inevitabilmente i soggetti più deboli di una società. In questo caso, anziani e bambini.

In Italia, sono moltissimi gli anziani nelle Rsa che sono rimasti colpiti dal Covid-19. Chi direttamente, per aver contratto il virus, e chi indirettamente, a causa delle restrizioni che li hanno privati di ogni tipo di vicinanza e affetto. Vittime di un sistema sociale che troppo spesso si dimentica di chi ha fatto i sacrifici per noi. E di una sanità incapace nell’attivare un sostegno domiciliare per le persone non autosufficienti rinchiuse nelle proprie case.

E poi ci sono loro, il nostro futuro, i bambini. Per quelli nati nei primi mesi della pandemia, il silenzio totale delle strade e delle città è una normalità. E al primo rumore di una macchina o di una moto sono spaventati. Poi c’è anche una generazione di bimbi, entro i 10 anni, che hanno conosciuto il mondo prima del Covid-19. Che hanno accettato le costrizioni in casa, adattandosi a ogni misura ci venisse imposta. Ecco, un esempio per tutti noi di rispetto, pazienza e sopportazione.

 

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Editor: Susanna Bosio

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