Dizionario Opera

Elisabetta, regina d’Inghilterra

Per il debutto napoletano, il ventitreenne Rossini compone un’opera-centone: per quasi tutti i numeri della partitura riutilizza brani già scritti per lavori precedenti, secondo un procedimento che va dall’autoimprestito globale alla reminiscenza di spunti e tracce da sviluppare e inserire nel nuovo contesto. Ecco che l’ Elisabetta si apre sulla sinfonia dell’ Aureliano in Palmira , che verrà trasposta all’inizio del Barbiere di Siviglia , l’anno successivo. Altro esempio famoso: Elisabetta, al suo ingresso, canta una cabaletta che il pubblico milanese aveva ascoltato nell’ Aureliano , ma qui viene rielaborata e resa più efficace. Con altre modifiche, tali da agevolare lo scarto stilistico, passerà anch’essa nel Barbiere e diventerà “Ma se mi toccano” nella sortita di Rosina. Non deve stupire il ricorso esteso all’autoimprestito, né deve essere giustificato con la scusa che Rossini volesse proporre il meglio della sua mercanzia al nuovo pubblico. In quest’opera il travaso di materiale, operazione legittima presso tutti gli operisti prima, durante e dopo l’epoca rossiniana, diventa occasione per un approfondimento di strategie operative. Più livelli e dimensioni di autoimprestito si incrociano nella partitura, una delle più ‘pensate’ dal compositore, che ci lavorò per tre mesi (una situazione che non si verificherà più fino almeno a Semiramide , composta nella villa di Castenaso fra scampagnate e distrazioni varie). Gli autoimprestiti vanno dall’inserimento globale di una sezione, con lo stesso testo o con testo opportunamente ricalcato, alla citazione di un minimo frammmento tematico, che viene riutilizzato variando altre componenti (orchestrazione, ritmo, fraseggio, struttura, sviluppo): cambiano funzioni drammatiche, colori, tessiture, il numero delle parti. Questo lavoro di riscrittura, simile a quello delle ‘varianti d’autore’ che i critici studiano nelle creazioni letterarie, sembra una tecnica alla quale Rossini ricorre per analizzare le leggi del melodramma e i loro significati, a partire da quanto aveva prodotto per i teatri settentrionali: Ciro, Sigismondo, Aureliano, Il turco in Italia (oltre a un prestito dall’aria da concerto Alle voci della gloria e uno dalle musiche per l’ Edipo a Colono ). Rimangono escluse dall’autoimprestito quelle opere che il compositore intendeva riproporre a Napoli, in primo luogo Tancredi . Fresco dei successi milanesi e veneziani, Rossini venne chiamato al San Carlo dall’impresario Barbaja, «garzone di caffè che a furia di giocare, di tenere il mazzo a faraone e di mettere in scena degli spettacoli, s’era fatta una sostanza di molti milioni», precisa Stendhal nella sua Vie de Rossini . Barbaja fiutò che il giovane compositore era «l’uomo del giorno» e lo scritturò. A Napoli Rossini era atteso al varco: affrontava per la prima volta una città culturalmente molto vivace, un pubblico raffinato e colto, un teatro dotato di un’orchestra eccezionale e una compagnia di altissimo livello, con due tenori di spicco (Nozzari e Garcia) e una primadonna che al virtuosismo della scuola settecentesca univa doti di attrice drammatica improntate alla tragédie lyrique francese: Isabella Colbran. Il ‘Giornale delle Due Sicilie’ aveva scritto, con polemica ‘sprezzatura’, che era giunto in città «un tal sig. Rossini, maestro di cappella, che dicesi venuto per dare una sua Elisabetta, regina d’Inghilterra su quelle scene del Teatro San Carlo, che ancora risuonano dei melodiosi accenti della Medea e della Cora dell’illustre sig. Mayr». Decisamente non molto incoraggiante, se pensiamo che Napoli diventerà, a partire dall’ Elisabetta , la città nella quale Rossini proporrà le sue opere più innovative e sperimentali: Otello, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II e Zelmira . Di tutte, come della Semiramide scritta per Venezia, sarà interprete Isabella Colbran, futura moglie del compositore. A Napoli Rossini aveva trovato alcune regole drammaturgiche locali da rispettare, oltre che un gusto musicale reso smaliziato da una cauta attenzione alle novità straniere, ad esempio alle opere di Spontini: la Vestale costituì il successo maggiore della stagione precedente quella del debutto rossiniano (stagione che prevedeva tra l’altro la Medea in Corinto di Mayr e Le nozze di Figaro mozartiane, in cartellone solo per una sera); Fernando Cortez , sempre di Spontini, sarà diretto dallo stesso Rossini nel 1820. La compagnia prevedeva due tenori protagonisti e solo col tempo Rossini reintrodusse il contralto en travesti nella figura dell’eroe-amante (Malcom della Donna del lago ). Al San Carlo era obbligatorio scrivere tutti i recitativi accompagnati, ed è per questo che le opere napoletane del compositore abbandonano completamente quelli secchi, mentre le opere commissionate a Rossini dagli altri teatri li conservano ancora, a esclusione di Semiramide . Il soggetto si deve probabilmente a una precisa scelta di Barbaja. Troviamo già una regina Elisabetta protagonista di un’opera musicata da Pavesi (Torino 1810), ma il melodramma rossiniano può essere considerato a pieno titolo il più importante precedente delle future opere storico-romantiche, quali quelle del ‘ciclo inglese’ di Donizetti ( Roberto Devereux , ad esempio). Il libretto segue abbastanza fedelmente un dramma di Carlo Federici (1778-1848) rappresentato poco tempo prima al Teatro del Fondo di Napoli (nel 1813 e nel ’15) e forse ispirato al romanzo The Recess della scrittrice inglese Sophia Lee, che unisce alla sensibilità larmoyante alcuni spunti da romanzo gotico (descrizioni di paesaggi pittoreschi, antiche rovine, carceri). Giovanni Schmidt organizzò un numero di scene d’insieme maggiore rispetto a quelle che prevedevano esclusivamente interventi solistici, condensando la vicenda in soli dodici numeri chiusi (sette nel primo atto e cinque nel secondo) e abolendo le arie dei personaggi secondari: una sintesi sconosciuta alle precedenti opere serie rossiniane. L’articolazione interna dei numeri d’insieme offrì al compositore la possibilità di costruire alcuni blocchi drammatici che superano la tradizionale forma a tre o quattro movimenti (tempo d’attacco, con strofe alternativamente per ogni personaggio e dinamismo d’azione; tempo cantabile, statico; tempo di mezzo, di nuovo dinamico; cabaletta o stretta conclusiva, a carattere statico). Ad esempio, l’inizio del secondo atto prevede un ‘duo-terzetto’, un duetto che invece di concludere con la cabaletta sfocia in un altro numero, con l’entrata di un nuovo personaggio: dopo l’Allegro “Pensa che sol per poco”, tempo d’attacco del duetto fra Elisabetta e Matilde, e l’Andante “Non bastan quelle lagrime” (derivato da Ciro in Babilonia ), nel tempo di mezzo irrompe Leicester e il duetto sfocia in un altro tempo cantabile, il Largo “L’avverso mio destino”, seguito da un’elaborata cabaletta a tre.

Atto primo . La parte corale ha molta importanza nell’introduzione, nella quale i cortigiani si rallegrano per il ritorno del conte di Leicester, favorito della regina, mentre il duca di Norfolk si rode dall’invidia. Norfolk è un tenore acuto, ‘contraltino’, scritto per Giovanni David (come Giacomo della Donna del lago ), mentre Leicester è un tenore baritonale (la parte fu scritta per Andrea Nozzari, interprete di Otello). Il numero successivo è costituito dalla sortita di Elisabetta, che esprime la sua gioia per il ritorno dell’amato (“Quant’è grato all’alma mia”), il quale è premiato con un titolo cavalleresco. Reduce dalla campagna di Scozia, Leicester fa entrare gli ostaggi, fra i quali riconosce la moglie Matilde, in abiti maschili, e il cognato Enrico. Creduta di umili origini ma in realtà figlia di Maria Stuarda, nemica di Elisabetta, Matilde era stata sposata da Leicester all’insaputa di tutti. Rimasti soli, Leicester e Matilde si parlano in un duetto che inizia con un motivo concitato degli archi, sul quale la melodia vocale procede per ampi sbalzi (“Incauta, che festi”). La prima parte della successiva aria di Matilde è stata composta espressamente per l’ Elisabetta , mentre l’Allegro deriva dal Sigismondo . La perizia con la quale Rossini scriveva i recitativi accompagnati risalta nella drammatica scena in cui Norfolk rivela a Elisabetta il segreto matrimonio di Leicester, che questi gli aveva confidato, credendolo amico. Ancor più risalta il recitativo di Elisabetta sola, che medita di vendicarsi in quanto «regina e amante»: durante il suo declamato si presenta più volte una frase cantabile, divisa fra gli archi, che ricomparirà come tema-guida della scena successiva, nella quale la furiosa regina raduna la corte e comunica provocatoriamente, alla presenza degli ostaggi, di voler offrire la propria mano e la corona d’Inghilterra a Leicester. Accesa e virtuosistica è la prima strofa del tempo d’attacco del finale primo, affidata a Elisabetta (“Se mi serbasti il soglio”), che rielabora l’Allegro dal quartetto del secondo atto del Sigismondo . Interamente nuovo è invece il cantabile “Al colpo inaspettato”, introdotto dai corni e cantato a cappella dalle voci soliste per alcune battute, che poi si uniscono e alternano ai corni. Dopo aver causato lo sconcerto del condottiero, Elisabetta rivela a tutti il matrimonio di Leicester e lo fa arrestare per tradimento, insieme a Matilde e ad Enrico. Come nell’ Aureliano in Palmira , la stretta conclusiva riprende il tema più agitato della sinfonia.

Atto secondo . Elisabetta e Matilde si incontrano; quest’ultima propone alla regina uno scambio: la salvezza di tutti a patto che essa firmi la rinuncia a Leicester. Quando Matilde sta per cedere giunge Leicester, che dichiara di essere disposto ad affrontare la morte piuttosto che sopportare il baratto. Nella scena seguente, dopo un coro in cui viene deplorato il severo trattamento riservato a Leicester e a Matilde, un’aria di vendetta di Norfolk svela tutta la malvagità e la doppiezza del personaggio: offeso da Elisabetta, egli incita la folla alla rivolta, per liberare Leicester e incoronarlo «capo della plebe» (nel clima di Restaurazione che si respirava a Napoli questo è un cauto accenno alle trascorse vicissitudini nel segno di Murat). Nella cabaletta le vertiginose roulades vocali e le scintille dei fiati nell’accompagnamento traducono la nevrotica perfidia del ‘cattivo’. Nel carcere, Leicester è in preda a un sonno agitato. Nella sua scena, introdotta da uno dei numerosi squarci orchestrali drammatici di raffinata fattura che abbondano nell’ Elisabetta , il recitativo sfuma in arioso (“Sposa amata”, basato su un passo delle musiche di scena per l’ Edipo ). Dopo l’aria vera e propria del protagonista, composta espressamente per quest’opera, segue il duetto fra i due tenori, anch’esso di nuovo conio, durante il quale Norfolk cerca di coinvolgere Leicester nell’insurrezione popolare, ma questi rifiuta di collaborare. Elisabetta in persona offre al prigioniero la possibilità di evadere, Norfolk cerca di ucciderla ma è fermato da Matilde ed Enrico. La regina perdona i prigionieri e benedice l’unione di Leicester e Matilde. “Fellon, la pena avrai” è il tempo d’attacco del rondò finale della primadonna, il cui Andante “Bell’alme generose” – «dolce e tranquillo come la quiete dopo la tempesta», scrive Stendhal – prende spunto da un brano dell’aria per basso “Alle voci della gloria”.

Un malinteso storiografico ha segnalato in quest’opera l’inizio di una presunta riforma rossiniana della vocalità operistica, consistente nello scrivere per esteso le colorature ai cantanti. La melodia rossiniana nasce spesso già diminuita, cioè densa di tensione virtuosistica in funzione strutturale e non edonistica; la presenza di colorature si infittisce gradualmente dalle prime opere fino a Semiramide , coinvolgendo anche quelle buffe o semiserie, ma il processo non è sempre uniforme, ed è l’effetto di una maturazione stilistica, non di una reazione all’arbitrio dei cantanti. Il contributo degli interpreti, inteso come variazione, integrazione, riscrittura tagliata sulla propria dimensione vocale, rimane essenziale in tutte le opere di Rossini. In epoca moderna, l’opera è stata ripresa in forma di concerto nel 1953, all’Auditorium Rai di Milano (con Maria Vitale e Lina Pagliughi). Dopo una rappresentazione londinese del 1968, fu riproposta da Gianandrea Gavazzeni e Leyla Gencer a Palermo e a Edimburgo (1971-72). Più conformi alle conquiste filologiche della rinascita di studi ed esecuzioni rossiniane degli ultimi anni sono sembrate le recite torinesi del 1985, nelle quali cantavano Lella Cuberli, Daniela Dessì e Rockwell Blake.

Type:

Dramma per musica in due atti

Author:

Gioachino Rossini (1792-1868)

Subject:

libretto di Giovanni Schmidt, dal dramma Il paggio di Leicester di Carlo Federici

First:

Napoli, Teatro San Carlo, 4 ottobre 1815

Cast:

Elisabetta (S), Leicester (T), Matilde (S), Enrico (A), Norfolk (T), Guglielmo (T); cavalieri, dame, nobili scozzesi ostaggi di Elisabetta, ufficiali del seguito di Leicester, paggi, guardie reali, soldati, guastatori, popolo

Signature:

m.e.

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