Dizionario Opera

Fervaal

Fin dalla scelta di redigere autonomamente il testo poetico dell’opera, trapela in d’Indy la volontà di riallacciarsi al modello wagneriano, ancor meglio ribadita con la scelta di un soggetto a metà fra mito e redenzione.

Prologo . Imbattutosi nei saraceni, il giovane Fervaal ne ha fatto strage, riportando però una gravissima ferita; la principessa Guilhen, colpita dalla sua bellezza, lo porta con sé per curarlo.

Atto primo . Il vecchio druido Arfagard viene ben presto a richiamare Fervaal alla missione cui gli dèi l’hanno destinato: dovrà mantenersi puro dai turbamenti amorosi per condurre il popolo celta verso una nuova era di gloria. Fervaal tenta di staccarsi da Guilhen, ma è sopraffatto dal suo fascino, e già le si abbandona quando il richiamo lontano di Arfagard lo fa trasalire; respinta, Guilhen giura vendetta.

Atto secondo . A Cravann, Arfagard evoca la dea Kaito per conoscere da lei il futuro; il consiglio dei capi celti acclama in Fervaal il condottiero che li guiderà contro gli invasori saraceni.

Atto terzo . Fervaal, con Arfagard, l’unico superstite del massacro subito dai celti, prega il suo anziano mentore di sacrificarlo agli dèi, irati per il suo amore sacrilego. Ma quando Arfagard sta per vibrare il colpo, si sente la voce di Guilhen. In un moto di ribellione Fervaal abbatte il druido e si slancia verso Guilhen, che, sfinita dal freddo nordico, si spegne fra le sue braccia. Memore della profezia di Kaito («La nuova Vita nascerà dalla Morte»), Fervaal ascende lentamente la montagna in un trionfale inno d’amore, portando con sé il cadavere dell’amata.

D’Indy intendeva realizzare una sorta di dramma nazionale, capace di attingere alle radici mitiche del passato francese: Fervaal come l’eroe che inaugura l’età cristiana nella storia del popolo celtico, una sorta di Parsifal, sconfitto, da cui giunge comunque la salvezza morale. Il punto debole della vicenda sta nel carattere imperscrutabile della missione di Fervaal: la rinuncia votiva all’amore suona come comando immotivato e coercitivo, non come consapevole scelta di ascesi: il culto di Arfagard, poi, essendo un ibrido connubio di paganesimo e cristianesimo, appare una gratuita superstizione. Le sconnessioni e le ingenuità della trama non impediscono a d’Indy, che ne fu l’artefice, di costellare la partitura di spunti notevoli. L’interesse per il folclore trapela in una melodia popolare, sfruttata come richiamo di Arfagard: i due interventi del coro fuori scena, che accompagna l’apparizione di Kaito (novella Erda) e conclude arcanamente l’opera, testimoniano la ricerca di timbri inconsueti; in questa direzione va anche l’inserimento di quattro saxofoni nell’organico orchestrale. Le sezioni amorose, avviluppate in cromatismi voluttuosi, privilegiano ritmi evanescenti e mollemente intrisi di sincopi; l’armonia è complessa e raffinata ma rifugge da asprezze, sfumandole in un gioco di continue elusioni tonali. Il trionfalismo che appesantisce Fervaal (Ravel ironizzava soprattutto sul finale), rendendola opera più enfatica che passionale, verrà mitigato nel successivo lavoro di d’Indy, L’Étranger , che feconderà le sue intuizioni migliori liberandole da turgori eccessivi. L’ombra di Wagner, che aleggia su tutta la partitura ed è manifesta fin dalla trama, suggerisce in particolare a d’Indy l’adozione del Leitmotiv, impiegandolo peraltro con tecnica magistrale.

Type:

Dramma musicale in un prologo e tre atti

Author:

Vincent d’Indy (1851-1931)

Subject:

libretto proprio

First:

Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 24 marzo 1897

Cast:

Fervaal, capo dei celti (T); Arfagard, druido (Bar); Guilhen, saracena (S); Kaito (A); un pastore (T); saraceni, guerrieri celti

Signature:

e.f.

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