FRANCESCA LIBERATORE SS 19, ENSOR SAY
Nel luogo della creazione di Francesca Liberatore, nel nome di James Ensor
Vi porto nel mondo magico di Francesca Liberatore, quello intimo: il suo laboratorio.
Ha poco più di trentacinque anni ma ha già una creatività sicura. Non tentenna, Francesca, nemmeno di fronte ad una sala plaudente durante la sua ultima presentazione primavera/estate 2019.
Spesso, e anche con molta superficialità, noi cronisti di moda raccontiamo solo quello che è evidente ai nostri occhi commentando, dunque, attraverso un freddo e anonimo press kit mancando, così, di sentimento.
Sono convinta, dunque, che la moda vada raccontata dal suo principio. Dalla tazza di caffè che cade sui bozzetti e da quel cestino sotto il tavolo che si riempie di carta stropicciata.
Il laboratorio di Francesca è un caos ma da esso vengono fuori delle collezioni superbe.
Il tavolo di lavoro è chiuso da due manichini: uno serve per posizionare il cartamodello e il capo imbastito e l’altro, invece, per la prova finale.
A me piace quel disordine perché è viscerale e diventa grembo di progetti sempre più intelligenti.
“Dunque, fu prima il Chaos”, si racconta nella Tiogonia di Esiodo. E da quel caos voglio partire per commentare la collezione presentata nella sala dello Scalone Arengario.
Francesca è una donna dolce e nutre sempre il bisogno di non deludere le aspettative degli altri. Questo è ciò che trapela nel backstage quando, di tutta corsa, andiamo a salutarla al termine della sfilata.
“Come ti è sembrata? Ti è piaciuta?” mi domanda spesso. Io le rispondo sorridendole. Mi mancano le parole.
Il suo studio è la perfetta incarnazione del suo essere. È la Francesca privata che generosamente, se ancora qualcuno non lo avesse capito, trapela nelle sue collezioni.
Un minimalista tavolino bianco, forse acquistato da Ikea, accoglie uno stereo con mangianastri. Nulla di iper tecnologico.
Il suo tavolo di lavoro.
“Sono nel mio atelier e sono avvinto da un magnetismo… Un tubo di colore è per terra e mi attira, è necessario che lo apra, che cominci non importa che cosa. Avviene tutto da solo. Sono nella mia grotta.” J. Mirò.
Forbici, evidenziatori, perline e nastri. E ancora: fogli bianchi, biro, raccoglitori e caramelle. Di fronte a lei, scatti di show passati e bozzetti, i suoi.
Lo sgabello girevole è, per antonomasia, l’accessorio culto dei laboratori. Chi si è seduto almeno una volta in vita sua, là sopra, conosce bene i suoi poteri. Diventa quasi uno scaccia pensieri perché ci ruoti, fosse anche per 180°, ma ti libera dallo stress.
Quante volte, la Liberatore, si è lasciata andare nello sconforto totale per la mancanza di ispirazione? Quante notti insonni ha trascorso durante tutta la fase progettuale con la paura di non essere altezza? Succede a tutti i grandi artisti. Lei è una grande stilista.
La collezione.
Fluidità è la parola chiave della collezione. Gli abiti volteggiano nell’aria creando pirouettes gradevoli. Abbondano le balze e le ampiezze totali. Tutto è realizzato con tessuti di alto pregio.
Le maschere.
È James Ensor a ispirare Francesca Liberatore.
Ensor, un nobile barone belga nonché pittore post-impressionista, raccoglie i fasti di un progetto creativo inebriante.
Le sue maschere demoniache sono state rielaborate su seta su abiti couture che sprigionano tutta la sensibilità della stilista.
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La voce Francesca Liberatore è consultabile sul Dizionario della Moda di MAM-e.it
“Nasce a Roma nel 1983. Dopo la laurea in Fashion Womanswear al Central Saint Martins di Londra, lavora negli uffici stile di famose maison. Tra queste: Viktor & Rolf ad Amsterdam, Jean Paul Gaultier a Parigi e Brioni Donna di ritorno in Italia.”
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