L’annuncio della morte di Gianni Minà è stato dato dalla famiglia sui social. Stava preparando un libro sulla boxe, aveva portato ai Festival il film della sua vita, ma a Bari c’era andata solo la moglie Loredana. Non si sentiva più nemmeno uomo Rai e aveva lanciato un crowdfunding per riprendersi l’archivio delle immagini.
Gianni Minà Ha seguito otto mondiali di calcio, sette olimpiadi e innumerevoli mondiali di pugilato. Vicino soprattutto a Muhammad Ali
L’agenda di Gianni Minà, uno scrigno segreto dove potevi trovare il numero di telefono di Fidel Castro e di Maradona, di Gabriel Garcia Marquez, di Vittorio Gassman, di Muhammad Alì e Rigoberta Menchù. Minà, morto a 84 anni, è stato uno dei più grandi giornalisti italiani. Uno che ha viaggiato il mondo, che ha intervistato tutti i grandi miti del ‘900, attraversando con spontanea naturalezza e una disinvolta verve intellettuale la scena politica, culturale e sportiva mondiale.
Ha vantato collaborazioni con tutti i più importanti quotidiani, da Repubblica all’Unità, passando per il Corriere e il Manifesto. Fondamentale la carriera avuta in Rai. Due i programmi più celebri: Blitz, antologia della televisione dal 1981 al 1984, il programma di intrattenimento della domenica pomeriggio su Rai2 che faceva concorrenza alla Domenica In di Pippo Baudo. Poi tra il ’96 e il ’98 Storie, un vis a vis con grandi figure internazionali. Minà sia a Blitz che a Storie diceva che i “grandi” ci andavano in “amicizia” perché si fidavano di lui.
Blitz
Blitz ad esempio era uno di quegli spazi scenici avvolti da un amalgama inesauribile di glamour disinvolto e giocoso. Si vedano le apparizioni di Benigni e Troisi, pura poesia dell’intrattenimento sempre immersi in un’atmosfera scherzosa, informale.
Minà conosceva tutti e li portava in tv: sereni, rilassati, sorridenti. Un’altra epoca per l’Italia e gli italiani. “Questo è il bello della diretta”, ripeteva in continuazione.
Casa sua era un misto fra Cinecittà e le Olimpiadi, fra Sanremo e un festival di musica latinoamericana. Passava Monica Bellucci in completo di pelle, e c’era Arbore che suonava, i cubani Moncada che facevano Guantanamera. O Massimo Troisi che portava Jennifer Beals, la ballerina di Flashdance. Ma poteva capitare di pranzare con Frei Betto, teologo della liberazione, che invitava tutti alla preghiera. Gianni Minà era un giornalista magnete e raccontava compiaciuto di quando aveva messo allo stesso tavolo del ristorante García Marquez, Sergio Leone, Muhammad Ali e Robert De Niro. La foto è storica.
Nell’ambiente era invidiato e lavorava da solo: prima dei Mondiali di Argentina ’78 fu l’unico giornalista a chiedere in conferenza stampa ai membri della giunta militare: “Qui si rincorrono voci su persone che spariscono”. “Non ci risulta” rispose dal tavolo l’ammiraglio torturatore, ma poi funzionari Rai gli consigliarono di ripartire subito.
Infine, oltre alla passione per il calcio, Minà era letteralmente travolto dal continente sudamericano. Qualcosa che va oltre le affinità elettive e il fermento politico. Un percorso di conoscenza, sentimento e intellettualità che si tramuterà in una storica rivista diretta dal giornalista torinese, Latinoamerica dove oltre agli storici amici di Gianni – Eduardo Galeano, Paco Ignacio Taibo II, Miguel Bonasso – si erano aggiunti nel tempo anche Noam Chomsky, Manuel Vazquez Montalban, Antonio Tabucchi e Pino Cacucci.
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Gianni Minà Ha seguito otto mondiali di calcio, sette olimpiadi e innumerevoli mondiali di pugilato. Vicino soprattutto a Muhammad Ali
L’agenda di Gianni Minà, uno scrigno segreto dove potevi trovare il numero di telefono di Fidel Castro e di Maradona, di Gabriel Garcia Marquez, di Vittorio Gassman, di Muhammad Alì e Rigoberta Menchù. Minà, morto a 84 anni, è stato uno dei più grandi giornalisti italiani. Uno che ha viaggiato il mondo, che ha intervistato tutti i grandi miti del ‘900, attraversando con spontanea naturalezza e una disinvolta verve intellettuale la scena politica, culturale e sportiva mondiale.
Ha vantato collaborazioni con tutti i più importanti quotidiani, da Repubblica all’Unità, passando per il Corriere e il Manifesto. Fondamentale la carriera avuta in Rai. Due i programmi più celebri: Blitz, antologia della televisione dal 1981 al 1984, il programma di intrattenimento della domenica pomeriggio su Rai2 che faceva concorrenza alla Domenica In di Pippo Baudo. Poi tra il ’96 e il ’98 Storie, un vis a vis con grandi figure internazionali. Minà sia a Blitz che a Storie diceva che i “grandi” ci andavano in “amicizia” perché si fidavano di lui.
Blitz
Blitz ad esempio era uno di quegli spazi scenici avvolti da un amalgama inesauribile di glamour disinvolto e giocoso. Si vedano le apparizioni di Benigni e Troisi, pura poesia dell’intrattenimento sempre immersi in un’atmosfera scherzosa, informale.
Da Blitz passarono Eduardo De Filippo, Fabrizio De André, Adriano Celentano, Gian Maria Volonté, Ugo Tognazzi, Carmelo Bene, Pino Daniele, Ornella Muti, Gigi Proietti, Enzo Jannacci, Vasco Rossi. Solo per citarne alcuni. Mentre la memorabilia eleva tre puntate irraggiungibili: Musica brasiliana dove sbuca Toquinho, Antonio Carlos Jobim, Joao Gilberto e Chico Buarque de Hollanda; un’altra dedicata alla moda italiana con Krizia, Gianfranco Ferrè, i Versace, Ottavio Missoni; e l’apoteosi cinema con Claudia Cardinale, Federico Fellini, Giulietta Masina, Sergio Leone, Ennio Morricone e Robert De Niro colti mentre girano gli ultimi loro film a Cinecittà.
Minà conosceva tutti e li portava in tv: sereni, rilassati, sorridenti. Un’altra epoca per l’Italia e gli italiani. “Questo è il bello della diretta”, ripeteva in continuazione.
Casa sua era un misto fra Cinecittà e le Olimpiadi, fra Sanremo e un festival di musica latinoamericana. Passava Monica Bellucci in completo di pelle, e c’era Arbore che suonava, i cubani Moncada che facevano Guantanamera. O Massimo Troisi che portava Jennifer Beals, la ballerina di Flashdance. Ma poteva capitare di pranzare con Frei Betto, teologo della liberazione, che invitava tutti alla preghiera. Gianni Minà era un giornalista magnete e raccontava compiaciuto di quando aveva messo allo stesso tavolo del ristorante García Marquez, Sergio Leone, Muhammad Ali e Robert De Niro. La foto è storica.
Storie
Poi c’era Storie altro celebre programma di Gianni Mina. Gli dicono di riprendere le sue celebri interviste documentario, come quella a Fidel Castro, a Enzo Ferrari o a Tommy Smith, e lui porta in uno studiolo silenzioso e crepuscolare il Dalai Lama e Martin Scorsese, Luis Sepulveda e Naomi Campbell, John Kennedy e Pietro Ingrao, Vittorio Gassman e Dacia Maraini.
Nell’ambiente era invidiato e lavorava da solo: prima dei Mondiali di Argentina ’78 fu l’unico giornalista a chiedere in conferenza stampa ai membri della giunta militare: “Qui si rincorrono voci su persone che spariscono”. “Non ci risulta” rispose dal tavolo l’ammiraglio torturatore, ma poi funzionari Rai gli consigliarono di ripartire subito.
Infine, oltre alla passione per il calcio, Minà era letteralmente travolto dal continente sudamericano. Qualcosa che va oltre le affinità elettive e il fermento politico. Un percorso di conoscenza, sentimento e intellettualità che si tramuterà in una storica rivista diretta dal giornalista torinese, Latinoamerica dove oltre agli storici amici di Gianni – Eduardo Galeano, Paco Ignacio Taibo II, Miguel Bonasso – si erano aggiunti nel tempo anche Noam Chomsky, Manuel Vazquez Montalban, Antonio Tabucchi e Pino Cacucci.
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