Dizionario Opera

Guglielmo Ratcliff

Il Guglielmo Ratcliff occupa il quarto posto fra le opere di Mascagni ma, sebbene eseguito nel febbraio 1895, fu oggetto del suo interesse fin dall’aprile 1882, e dunque è il suo primo lavoro per il teatro: studente insieme a Puccini al Conservatorio di Milano, Mascagni – già autore di romanze, cantate, pezzi sinfonici – lesse la ‘ballata drammatica’ di Heine, risalente al 1822, resa in versi italiani «belli e armoniosi» da Andrea Maffei, l’intellettuale che con le sue traduzioni fece conoscere all’Italia risorgimentale e unitaria molti capolavori della letteratura europea. E se ne infiammò, tanto da assumere come libretto d’opera, senza rifacimenti, il testo di quella romantica tragedia piena di fantasmi, di sangue, di amori e vendette in un brumoso paesaggio scozzese: nascono subito alcuni pezzi, ma il lavoro s’interrompe, a seguito dell’abbandono del Conservatorio, a causa, pare, di una mancata esecuzione del ‘Sogno’ del Ratcliff ; riprende, e nel luglio 1885 l’Introduzione, l’Intermezzo e tutto il quarto atto sono compiuti; il 4 aprile 1886 il musicista parla della romanza di Guglielmo («120 versi sciolti») al secondo atto; in agosto lavora al lungo racconto di MacGregor al primo. Così, nel 1889, il Ratcliff viene eseguito privatamente; ma Mascagni, seguendo forse il consiglio di Puccini («il Guglielmo non potrà mai essere per te un primo lavoro»), lo ripone nel cassetto, si dirotta verso il rovente clima siciliano di Cavalleria rusticana , che ottiene un trionfale successo; e solo quando si sente forte della sua fama internazionale riprende il Ratcliff , dedicandosi fra il marzo 1893 e il gennaio 1894 alla elaborazione definitiva della partitura. Il Ratcliff , dunque, iniziato nell’atmosfera della Milano scapigliata, in un clima di infatuazione per la cultura nord-europea che tocca, dopo il Mefistofele di Boito, anche Catalani ( Elda-Loreley ) e il Puccini de Le Villi , convive accanto all’esplosione della maniera verista, e quando viene alla luce, dopo una faticosa gestazione, si presenta immediatamente come opera ‘altra’ rispetto al genere imperante, per la scelta di personaggi terribili, per la presenza di suggestioni fantastiche, per il clima livido, così lontani dalle piccole, ‘vere’ storie sentimentali dell’ Amico Fritz o della Bohème prossima a nascere. La vicenda, infatti, è incentrata sul destino di eroe maledetto del protagonista, che uccide tutti i pretendenti alla mano di Maria, che sta per andare sposa al conte Douglas. Questo antefatto occupa il primo atto, nel castello di MacGregor, alla presenza di Maria (sua figlia), della nutrice (la folle Margherita) e del promesso sposo. Guglielmo, al secondo atto, in una taverna di ladri, racconta all’amico Lesley di amare da tempo Maria e di essere indotto a quei delitti dalla visione spettrale di una coppia di infelici innamorati, nei quali egli ha identificato sé e Maria. Al ‘Negro sasso’, dove sono stati uccisi gli altri pretendenti, Guglielmo sfida a duello Douglas (terzo atto), ma viene da lui risparmiato. L’ultimo atto svela il misterioso legame tra Maria e Ratcliff: i loro genitori morti, non avendo potuto coronare il loro sogno d’amore, cercano vendetta attraverso i delitti di Guglielmo;. il quale, in un raptus di follia, uccide Maria e suo padre, e si suicida: i fantasmi possono così ricongiungersi, pacificati.

Una vicenda violenta e misteriosa che, anche per il tenebroso colore ambientale (il castello, la taverna, il ‘Nero sasso’), potrebbe apparire diametralmente opposta ai colori mediterranei e alle passioni esplosive di Cavalleria rusticana , e che invece denuncia già nel giovanissimo studente di Conservatorio una spiccata predilezione per gli accesi scontri drammatici, il rifiuto delle mezze tinte e dei sentimenti di modestia borghese, che sarà tratto tipico di molto suo teatro. Ma la singolarità di Ratcliff va ricercata non tanto in questo omaggio tardivo a un romanticismo di maniera, a un gusto goticizzante già fuori stagione nel 1895, quanto nelle coraggiose soluzioni formali e stilistiche che Mascagni vi realizza; è vero che, secondo il costume boitiano, l’elemento sinfonico ha modo di espandersi in più occasioni: nel preludio, su cui s’innesta la nenia della pazza Margherita (un po’ come la serenata di Turiddu in Cavalleria ), nell’Intermezzo – con il canto di nozze – prima del quarto atto, e soprattutto nel celebratissimo ‘Sogno’, una delle più maliose pagine orchestrali firmate da Mascagni, che ‘descrive’ la presenza dei fantasmi degli innamorati nella coscienza di Ratcliff, il suo delirante e appassionato identificarsi con loro. Ma l’opera si fa ammirare soprattutto per la rinuncia alla tradizionale articolazione fra recitativi e pezzi chiusi (solo due ne restano: la canzoncina di Margherita “Apri piccina” e il “Padre nostro” di Willie), nell’attuazione di una sorta di wagnerismo all’italiana: adozione di un canto che sta fra la declamazione e l’arioso, che non si organizza in periodi cantabili regolari o ricorrenti, una sorta di lettura intonata , sul sostegno di un’orchestra esuberante d’invenzioni ritmiche e timbriche e soprattutto di melodie di non comune bellezza e giovanile espansività. Così, in ogni atto si trovano larghe sezioni dedicate a veri e propri ‘racconti’: quelli di Douglas che descrive la vita di Londra (“È sempre il vecchio andazzo”) e di MacGregor (“Già corre il sesto anno”) che narra la morte dei pretendenti di Maria al primo atto; il grande assolo di Ratcliff dedicato al suo innamoramento (“Quando fanciullo ancora”) vertice del secondo, il cantabile di Margherita (“D’indole dolce”) al quarto, che svela a Maria il mistero degli infelici amanti Edvardo e Elisa. Sono episodi che sostituiscono la pausa lirica dell’aria, topos tradizionale nell’opera, in un progetto drammatico che Mascagni concepisce quando Verdi non ha ancora composto l’ Otello (e il maestro livornese vi troverà infatti «delle cose così somiglianti al mio Guglielmo Ratcliff che mi sono spaventato»). Questo studio sulla ‘parola intonata’ («quei poveri versi li ho mille volte declamati a voce alta, a voce bassa, ho dato loro mille intonazioni…») è l’aspetto più decisamente sperimentale dell’opera, forse motivo della sua faticosa genesi; ma da questo geniale esperimento Mascagni farà partire la sua ricerca su come piegare il recitativo alle esigenze di un moderno dramma musicale, fino a giungere alle raffinatezze della dannunziana Parisina . Talvolta la verbosità della tragedia di Heine, che è quasi la negazione di un libretto d’opera, costringe Mascagni a far procedere parallelamente testo poetico e invenzione musicale, dando priorità alle idee melodiche, che sembrano muoversi secondo una logica piuttosto strumentale che vocale: basterebbe ascoltare, come esempio, il racconto di Margherita al quarto atto che non è altro che il preludio, sul quale sono innestati, quasi a viva forza, i troppi versi di Heine-Maffei. In altri momenti, con una certa discontinuità stilistica, si assiste al recupero di modelli ottocenteschi, come nel ‘Duo d’amore’ in cui le voci s’intrecciano convenzionalmente, e nel canto di Maria, quasi in forma chiusa (e infatti è l’adattamento di una precedente ‘Romanzina francese’), ma si trovano tutti nell’ultimo atto, il primo a esser composto, ancora in un clima post-verdiano. Ma di fronte al lungo racconto di Ratcliff al secondo atto, si resta stupiti di come Mascagni abbia saputo affrontare la complessità della pagina, e articolarla in ampi episodi cantabili, ma non in forma regolare, intimamente saldati al dettato poetico grazie a un’inventiva folgorante e sapientemente differenziata: una scena in cui la sperimentazione attinge i vertici della bellezza e originalità assolute, una soluzione nuovissima per la quale Mascagni non aveva un modello a cui riferirsi, un tipo d’invenzione che neppure la successiva Cavalleria contiene. E non è un caso che questa particolare intesa tra testo poetico e creazione musicale si verifichi in questo episodio: in esso (con una coda nel ‘Sogno’ e nel finale del terzo atto) si disvela pienamente la natura straniata dell’infelice Guglielmo, la sua passionalità repressa, la sua aspirazione a un sogno d’amore irrealizzabile. Con l’impeto di una identificazione quasi autobiografica, il compositore inventa per il suo Guglielmo («l’unico vero protagonista mascagnano» secondo Luigi Baldacci) uno stile di canto tenorile del tutto inedito. Rispetto ai modelli dell’ opéra lyrique francese, ai tenori innamorati e teneri come Des Grieux, Faust o Nadir, che trapasseranno in certi personaggi di Puccini, la vocalità di Guglielmo, accesa e sfogata, con il suo periglioso insistere sulla zona di passaggio del tenore (fa-fa diesis-sol) e spingersi fino al si naturale, diviene lo strumento di espressione di un eroe dolorosamente predestinato, un dannato, un ‘vinto’ d’amore, delineando un tipo di umanità maschile pervasa da una insanabile «malinconia erotica», che sarà propria anche ad altri personaggi mascagnani come Turiddu, Osaka, Folco, Ugo: un affascinante caso nella tipologia tenorile del teatro italiano fra i due secoli.

Type:

Tragedia in quattro atti

Author:

Pietro Mascagni (1863-1945)

Subject:

testo di Heinrich Heine, nella traduzione di Andrea Maffei

First:

Milano, Teatro alla Scala, 16 febbraio 1895

Cast:

Guglielmo Ratcliff (T), Maria (S), il conte Douglas (Bar), Margherita (Ms), MacGregor (B), Lesley (T), Tom (B), Willie (A), Robin (B), Dick (T), Bell (Bar), John (B), Taddie (T), un servo (T)

Signature:

c.o.

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