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I rapporti segreti che legano Trump alla Russia di Putin

Il New York Times svela i segreti tra la Russia di Putin e l’America di Trump

Un lungo e approfondito articolo apparso sul New York Times porta alla luce e collega i punti oscuri del rapporto tra la Russia di Putin, l’elezione di Trump nel 2016 e l’invasione dell’Ucraina. Per un certo periodo il filo che collega Washington a Mosca è stato molto, forse troppo, corto.

Russiagate e Ucraina: l’elezione di Trump era centrale per il piano di Putin

L’intreccio internazionale che collega in maniera diretta il Russiagate, lo scandalo politico di hackeraggi e fakenews atti a colpire Hillary Clinton per favorire l’elezione di Donald Trump, e la guerra in Ucraina inizia il 28 luglio 2016. Proprio quando Clinton accettava la candidatura presidenziale dei democratici, il direttore della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, riceveva un’email da un suo amico in affari, un cittadino russo nato nell’Ucraina sovietica di nome Konstantin Kilimnik; era il direttore dell’agenzia di consulenza internazionale di Manafort a Kyiv.

Il messaggio era breve, chiedeva con urgenza un incontro, ma conteneva parole in codice, come “caviar”, caviale, in ferimento a Viktor Yanukovych, il presidente ucraino deposto nel 2014 dopo le proteste di Maidan e scappato in Russia. L’incontro fu organizzato per cinque giorni dopo al Grand Havana Room al 666 sulla Fifth Avenue. Kilimnik non era solo un semplice collega di Manafort, ma era un agente della Russia di Putin.

Il New York Times ricostruisce che Kilimnik è atterrato a New York solo 77 minuti prima dell’incontro. Quel giorno Kilimnik ha svelato a Manafort un piano segreto, poi conosciuto come “Piano Mariupol“, che prevedeva la creazione di una repubblica autonoma nell’est dell’Ucraina con presidente Yanukovych. Putin sapeva benissimo che con Clinton presidente questo non sarebbe stato possibile e quindi ha spinto, a suon di rubli e disinformazione, per l’elezione di Trump. Il New York Times con questa ricostruzione afferma che questa incontro ha fatto da collante tra il Russiagate e l’invasione dell’Ucraina  che fino ad ora sono stati trattati come questioni solo indirettamente collegate.

Il “Piano Mariupol”

La creazione di una repubblica autonoma nell’est dell’Ucraina, cuore industriale del Paese, rappresenta l’interpretazione massimalista da parte di Putin degli accordi di Minsk del 2014-2015. Il patto siglato tra Ucraina e Russia, mediato dall’ex presidente francese Hollande e dall’ex cancelliera tedesca Merkel, quindi senza l’intromissione diretta degli USA, prevede il cessate il fuoco nel Donbass e la garanzia di uno “statuto speciale” alle repubbliche di Donetsk e Luhansk. Da parte di Kyiv, invece, tale patto è stato interpretato come un semplice ampliamento della “governance” locale.

Questo piano va inevitabilmente contro la pluridecennale politica di Washington per una libera e inviolabile Ucraina. Secondo il New York Times, Clinton avrebbe continuato questa politica, ma Trump dava già segnali che avrebbe in qualche modo rinegoziato lo status quo della regione.

Manafort – Giuliani – Biden

Il nome di Manafort esce già nel 2005 quando viene citato da un report dalla Commissione d’Intelligence del Senato. “Il gran maestro delle oscure arti della politica”, cosi il New York Times lo descrive, è entrato nella politica ucraina quando ha iniziato ad intrattenere rapporti con l’oligarca russo, magante dell’alluminio, Oleg Deripaska. Putin all’epoca aveva un problema “democratico” e anti sovietico a Kyiv. Manafort è stato fondamentale per l’elezione di Yanukovich e per “creare un porte tra occidente e Mosca”. Il piano fu un successo ma ben presto il presidente ucraino ha messo da parte i suoi intenti democratici, incarcerando gli avversari politici come Yulia Tymoshenko.

Dopo questo cambio di rotta, Manafort si è trasformato in un oscuro agente che svolge attività di lobbying tra Washington e Bruxelles. Putin, è evidente, ha fatto pressione affinché l’Ucraina promuovesse i rapporti con la Russia a scapito dell’occidente. La sua attività di lobbista è continuata fino all’incarcerazione, quando a passa la palla all’avvocato personale di Trump: Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York. Il suo compito, secondo le ricostruzioni, era quello di inventarsi la narrazione “è colpa dell’Ucraina”, in riferimento ai disastri successivi all’annessione della Crimea in Ucraina orientale, per fomentare una visione politicizzata degli eventi. Poco prima di lasciare la Casa Bianca Trump ha graziato Manafort, condannato per bancarotta fraudolenta e per aver mentito all’FBI.

Successivamente, nel marzo del 2021 dei documenti desecretati dell’intelligence USA affermano che Kilimnik e altri russi hanno usato degli americani, tra cui Giuliani, per screditare la candidatura di Joe Biden alle presidenziali del 2020. Questi documenti suggeriscono che l’elezione di Biden, e dunque la sconfitta di Trump, avrebbe ostacolato i piani di Putin e sarebbe stata “svantaggiosa per gli interessi russi”. Trump, in caso di guerra tra Russia e Ucraina, avrebbe solo parzialmente supportato la NATO e Kyiv, lasciando fare a Mosca.

Nonostante Biden e l’assenza di un presidente USA “amico”, Putin non si è scoraggiato e ha proseguito con il suo piano imperiale. Anche senza un filo diretto con cui manipolare la politica americana, tredici mesi dopo ha invaso l’Ucraina.

 

Foto di copertina: NYT/Anthony Gerace

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Editor: Lorenzo Bossola

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