Dizionario Opera

Ifigenia in Tauride

L’incarico di maestro di cappella alla corte ducale di Parma, ricoperto tra il 1758 e il 1765, non impedì a Traetta di accettare varie commissioni da teatri italiani e stranieri. Fra di esse spiccano per importanza quelle provenienti da Vienna, dove il musicista fu presente due volte proprio negli anni decisivi della riforma teatrale promossa dall’intendente Durazzo: dapprima nel 1761 con Armida , quindi nel ’63 con Ifigenia in Tauride . Per quest’ultimo lavoro è stata proposta anche una datazione anteriore, al 1758 o ’59, peraltro non sostenuta da prove certe. Tramite fra l’ambiente parmigiano e quello viennese fu probabilmente Isabella di Parma, figlia del duca e prima moglie del futuro imperatore Giuseppe II. Ad attirare l’attenzione di Durazzo e del suo circolo, al di là delle relazioni tra le corti, fu comunque la fama di operista innovatore che Traetta si era guadagnato a Parma con Ippolito ed Aricia (1759) e con I Tindaridi (1760). La disponibilità ad assecondare i propositi riformistici delle élites intellettuali illuminate (a Parma, come a Vienna e a Mannheim) faceva infatti di Traetta uno dei maestri più in vista sulla scena operistica di quegli anni. Alla schiera degli innovatori appartenne anche quella singolare figura di intellettuale che fu Marco Coltellini, poeta ed editore (dalla sua stamperia livornese uscirono fra l’altro Dei delitti e delle pene di Beccaria, 1764, e la seconda edizione di uno fra i ‘testi sacri’ dei riformatori operistici settecenteschi, il Saggio sopra l’opera in musica di Algarotti, 1763). Era stato Ranieri de’ Calzabigi, anch’egli livornese, a fare il suo nome a Vienna e a procurargli la commissione per il libretto di Ifigenia . In seguito al felice esito dell’opera, in quello stesso 1763 Coltellini fu chiamato a Vienna e insignito del titolo di poeta di corte. Nella capitale asburgica rimase fino al 1771, scrivendo libretti inseriti nel solco della riforma calzabigiana per Gluck, Hasse, Salieri e altri maestri.

Dopo aver ucciso la madre, Oreste ha ricevuto da un oracolo l’ordine di recarsi in Tauride alla ricerca di un’immagine di Pallade custodita nel tempio per placare l’ira delle Furie. Il dramma prende avvio dallo sbarco di Oreste e dell’amico Pilade e si fonda sulle successive peripezie dei due eroi. Oreste viene fatto prigioniero dagli Sciti e destinato dal dispotico re Toante a essere immolato sull’altare della dea. Ridotto in catene, suscita la compassione della sacerdotessa Ifigenia che tenta di salvarlo, anche se solo alla fine riconosce in lui il fratello. L’unico vistoso scarto da Euripide risiede nell’epilogo, dove Coltellini sostituisce l’apparizione della dea Pallade con l’uccisione di Toante per mano di Ifigenia.

La scelta del tirannicidio mira scopertamente a fornire un exemplum politico, come dimostra la perorazione libertaria di Ifigenia e il successivo ammonimento del coro (“Tremino i tiranni”). Il tema della lotta contro la tirannia – mantenuto, beninteso, nell’ambito dell’assolutismo illuminato – percorre del resto tutto il dramma, nutrendosi di sentenze che rivelano il pensiero del primo editore di Beccaria. Si veda ad esempio, la replica sanguinaria di Toante a una Ifigenia che vorrebbe salvare la vita di Oreste: «(…) tutta di morte è degna / questa plebe mortal che il ciel condanna / e che vi cerca un reo raro s’inganna», e il successivo commento ‘illuminato’ di Dori: «Ecco come a sua voglia i rei mortali / si figurano i numi». Sul piano strutturale le tendenze innovatrici rispetto alla tradizione metastasiana si manifestano nella linearità della trama, nella riduzione al minimo dei personaggi (solo la confidente Dori, peraltro non inutile all’azione, ricorda i personaggi secondari di Metastasio) e soprattutto nel largo impiego del coro. L’integrazione tra coro e personaggi rappresenta, anche nella veste musicale, la novità più appariscente dell’opera. Traetta costruisce vasti archi scenici in cui gli episodi solistici e quelli corali risultano fusi fra loro senza stacchi. Accanto a questo elemento antitradizionale, nell’opera sopravvivono però ampie zone imperniate sulla consueta alternanza di recitativo (solo in piccola parte accompagnato) e pezzo chiuso; il virtuosismo vocale abbonda, anche in chiave puramente edonistica (con la sola eccezione della parte di Oreste, ove prevale lo stile ‘parlante’). Pure con Ifigenia si assiste dunque a una sospensione tra vecchio e nuovo in termini simili a quelli incontrati nelle opere di Parma ( Ippolito ed Aricia , I Tindaridi ). Sul versante più propriamente ‘riformato’ degli episodi corali, Traetta assume atteggiamenti stilistici diversi rispetto a quelli gluckiani. Tanto nelle scene di orrore, quanto in quelle di compianto, il trattamento del coro si allontana dalla veemenza e dalla compattezza dell’ Orfeo di Gluck (dato a Vienna l’anno prima) e si avvale invece di un segno più frammentato e miniaturistico, con largo ricorso ai procedimenti imitativi e un fatalistico pulsare dell’orchestra in figurazioni mutevoli (terzine, roulades , ritmi puntati, lumeggiature espressive dei legni). La grande scena dell’atto secondo, nella quale Oreste è tormentato dalle Furie (“Dormi, Oreste? Ti scuoti, ti desta”), rivela in misura particolare l’originalità della cifra stilistica di Traetta. Il pathos demoniaco che i viennesi avevano ravvisato l’anno prima nell’analoga scena infernale dell’ Orfeo cede ora il passo a un’espressività elegiaca, instaurata fin dal sommesso esordio del coro sottovoce e culminante nella supplichevole cavatina di Oreste (“Ah, per pietà placatevi”) con violoncello obbligato.

Type:

Dramma per musica in tre atti

Author:

Tommaso Traetta (1727-1779)

Subject:

libretto di Marco Coltellini, da Euripide

First:

Vienna, Schönbrunn, 4 ottobre 1763

Cast:

Oreste (A), Pilade (S), Ifigenia (S), Dori (S), Toante (T); vergini, sacerdotesse, soldati, popolo, Furie

Signature:

f.b.

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