Aperto a Parigi il Museo Saint Laurent
Moda

INAUGURATO A PARIGI IL MUSEO YVES SAINT LAURENT

“Ho trascorso tutta la mia vita ad aiutare Yves Saint Laurent a costruire la sua opera, e voglio che duri” diceva Bergé, morto anche lui, l’8 settembre scorso. Da tempo stava riorganizzando la disposizione del palazzo nel quale sono conservati circa cinquantamila abiti firmati Saint Laurent, e trentamila accessori.

All’ingresso del museo si è accolti dal volto di Saint Laurent eleborato da Andy Warhol.

Dopo una nascita algerina, a Orano, dopo pochi studi di moda e due anni trascorsi prima come assistente di Christian Dior, poi, alla morte di Dior nel ’57, come direttore artistico della maison, Saint Laurent incontra Bergé.

Gli sarà compagno e amico; sarà complice, mentore e stratega. Attorno al fragilissimo sistema nervoso dello stilista, Bergé costruirà un impero di moda e una impressionante collezione d’arte, dispersa all’asta nel  2009 per 206 milioni di euro e giudicata “la vendita all’asta del secolo”.

Saint Laurent doveva solo creare: quelle linee maschili – nel primo salone del museo – con le sahariane, le tute, i trench, fino allo smoking (il primo, leggendario, del 1966) alle quali le borghesi parigine avrebbero dovuto adattarsi; quegli abiti androgini, ma così miracolosamente femminili. Lo stilista creava, Bergé diffondeva il messaggio e lo vendeva.

La visita al museo è un viaggio attraverso luoghi ed epoche: abiti ispirati all’Africa, alla Spagna, all’Asia.  Le esplorazioni virtuali di Saint Laurent erano incessanti, frenetiche.

“I miei viaggi più belli li ho fatti con i libri, sul mio divano, nel mio salone” amava ripetere. Poi le incursioni nelle epoche – nel medioevo, nella fine dell’800, o negli anni ’30 – poi nel teatro  – in mostra il primo modello di Alta Moda, quello con l’etichetta 0001, un abito nero da sera ispirato a un costume di scena creato per Zizi Jeanmaire – e nell’arte: da Picasso a Mondrian, passando per le meravigliose gonne Matisse o per il corpetto ricamato con i girasoli di Van Gogh e indossato da una giovane Naomi Campbell.

Tutti gli abiti sui manichini rivivono su piccoli schermi in filmati delle sfilate dell’epoca. Nella sala delle collezioni ispirate ai pittori c’è, in video, il discorso con il quale nel 2002 Yves Saint Laurent diceva addio per sempre alla sua maison, agli impiegati e alla sua arte, “sapendo che i più bei paradisi sono quelli che abbiamo perduto”.

“Per quindici giorni due volte l’anno Saint Laurent si ritirava a Marrakech, a disegnare le nuove collezioni” racconta Pierre Bergé nel documentario dal titolo “Un’aquila a due teste” che nel museo ha diritto a una piccola sala di proiezione. C’è la stanza dei bijoux, una parete di gioielli, ognuno racchiuso in una piccola teca. Ci sono gli accessori, i disegni di Saint Laurent e, in video, ci sono le testimonianze degli impiegati che per decenni hanno lavorato con lui in quelle stanze.

“Non sarà mai un museo immobile” dice la conservatrice Aurélie Samuel, nominata da Bergé direttrice delle collezioni della Fondation Pierre Bergé-Yves Saint Laurent. “Nell’ottobre del 2018 questo stesso spazio ospiterà la mostra “L’Asie rêvée d’Yves Saint Laurent”, con le collezioni ispirate all’Asia. Per poi ritornare, alla fine della mostra, di nuovo un museo, ma completamente rinnovato, con abiti e accessori diversi da quelli di quest’anno”.

 

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!