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Interviste

Intervista a Carlo Capasa, Presidente della Camera della Moda Italiana CNMI

Alessandro Dalai intervista a CARLO CAPASA, Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana. carlo capasa

A pochi giorni dalla conclusione della Milano Fashion Week dedicata all’uomo (17 – 21 giugno) il direttore Alessandro Dalai intervista il Presidente della Camera della Moda Italiana (CNMI), Carlo Capasa. Nato a Lecce nel 1958, si trasferisce a Milano per gli studi e ben presto capisce che il suo futuro è legato al mondo della moda. La carriera è costellata di successi ricoprendo ruoli chiave in svariate aziende del settore: nel 2010 viene nominato consigliere della Camera Nazionale della Moda e nel 2015 viene eletto Presidente. Sotto la sua guida, la Camera della Moda diventa un punto di riferimento internazionale per quanto riguarda la sostenibilità dando vita al “International Roundtable on Sustainability”. carlo capasa

Durante l’intervista si è discusso su diversi temi di attualità, sulla fashion week, sul Covid-19, sulla guerra tra Russia e Ucraina e sul golden share.

 

Carlo Capasa (CC):

Oggi mi sono preso la giornata libera per l’intervista con Alessandro Dalai, ho avuto il covid e subito dopo c’è stata la fashion week. Ora mi trovo al mare.

CC:

La settimana della moda maschile è andata benissimo, è stato bello vedere che la gente ha voglia di incontrarsi e di vedersi. La nostra, come anche la settimana del mobile.

Esclusa la Cina, Russia e Ucraina, sono arrivate persone da tutto il mondo, tantissimi compratori e tantissima stampa. 

Anche le sfilate erano popolate benissimo. Abbiamo anche assistito all’ingresso di tanti nuovi brand che vogliono sfilare a Milano, e questo per noi è un messaggio molto forte dalla città di Milano e la sua gente.

Alessandro Dalai (AD):

Tra Milano e Parigi come ce la caviamo?

CC:

Io direi che noi siamo i rappresentati della moda di alta qualità, con tutta la concorrenza che ci può essere tra noi, la collaborazione è sempre al massimo.

In Francia sono alla seconda o alla terza generazione di imprenditori, mentre in Italia siamo alla prima, ma l’heritage più importante è il nostro, considerando che comunque i grandi marchi sono in mani italiane e spesso diretti da italiani. In valutazione finale, Milano e Parigi viaggiano nella stessa direzione, e sono le uniche due realtà in effetti… perché Londra e New York non hanno la stessa influenza.

 

 

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I termini di compratori e acquisti?

CC:

La stagione è partita benissimo, i segni sono tutti verso il “più”.

Nonostante la crisi in Cina e la guerra, noi abbiamo proiezioni che il fatturato del 2022 sarà più alto di quello del 2019, cioè dell’era pre covid, del 2,5%.

Secondo me questo è un dato importante, se non ci fosse stata la guerra io credo che saremmo addirittura cresciuti a doppia cifra rispetto all’era pre covid.

L’aumento del costo dell’energia sta pesando moltissimo sulle filiere e sulle aziende.

Parlo di tessuti e materie prime, se prima valeva il 10% del prezzo del prodotto, ora vale il 30%. Questo comporterà sicuramente un ritocco dei prezzi di produzione…

Ti faccio un esempio: se prima un tessuto valeva 20 euro al metro, l’energia incideva a 2 euro, adesso vale 6 quindi quel tessuto da 20 andrà a costare 24, che moltiplicato ovviamente va ad incidere in maniera sensibile.

CC:

Se la Russia vale 1 miliardo e 800 milioni di Euro sui 92 miliardi che equivale al 2% circa, la Cina quanto vale? La Cina è vicina ai 30. Non di esportazioni, perché la Cina è un paese che si riprende facendo il retail online, che da loro è molto sviluppato, quindi il 30 per cento dei 92 mld della moda italiana sono in Cina e non sono a rischio. 

Il modo di vendere i prodotti italiani nella repubblica popolare cinese è principalmente attraverso negozi monomarca, ma anche attraverso un importante e- commerce.

Ma sulle esportazioni noi esportiamo un 10/12 %. Per le nostre esportazioni vale 12, ma per i brand valgono di più. 

Dei 92 mld che girano intorno alla moda in Italia, noi non abbiamo più rischio rispetto alla Cina, ma sicuramente la situazione è più difficile e rallentata a causa covid.

Comunque sia, in Cina la stanno gestendo bene. Da loro funziona molto l’e-commerce quindi, nonostante i lockdown, continuano a fatturare.

Per sapere in futuro come evolverà il rapporto tra la Cina e il resto mondo, però, dovremo vedere cosa succederà nelle elezioni d’ottobre. 

Spero che finirà bene, perché personalmente sono preoccupato alla riproposizione dei blocchi; i blocchi, soprattutto uno importante come quello con la Cina, non farebbero bene a nessuno… Il mondo in blocchi per me è un “no”.

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I rapporti vostri con la Cina?

CC:

Ottimi rapporti, abbiamo anche una piccola filiale lì. I cinesi con cui parliamo noi sono molto legati all’occidente. Ci dicono che non ci sarà una vera chiusura totale verso i prodotti italiani comunque modo finiscano le elezioni d’ottobre, ma quali saranno le leggi che modificheranno l’import-export ancora non possiamo saperlo.

AD:

Draghi si sta comportando in maniera adeguata per sostenere la filiera?

Carlo Capasa:

Il messaggio che Draghi ha mandato è stato: “diamo valore alle industrie positive, a quelle industrie che danno valore al paese”.

Noi siamo la seconda industria italiana, perciò Draghi ci supporta. Anche i Ministri che si occupano di moda nel governo hanno percepito questo tipo di approccio, e ci sostengono.

Per noi alla fine la moda non è tanto chiedere supporto, ma mantenere attiva l’industria in tutta la sua concorrenza. Infatti gli aiuti sono intervenuti nella meccanizzazione dei laboratori, o nell’acquisto di macchinari adeguati e non certo nel sostentamento della filiera.

Noi vogliamo che i lavoratori di fascia più bassa che guadagnano meno abbiamo incrementi salariali, e soprattutto chiediamo questi aumenti siano al netto delle tasse.

Stiamo proponendo progetti per adeguare gli stipendi più bassi in questo periodo di rincari e difficoltà, e almeno per un periodo tassare non l’aumento, per consentire alla fascia più debole della moda un aiuto.

La moda supporta anche l’equilibrio sociale, cerchiamo di far funzionare il sistema, noi stiamo a proporre delle misure che servono anche per la pace sociale.

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Milano e la moda, come risponde la città?

CC:

Risponde molto bene, c’è molta attenzione. Il Sindaco Sala – tu lo sai – è uno molto attento al movimento prodotto dalla moda. Con la città andiamo d’accordissimo, condividiamo progetti, spazi e luoghi e credo che Milano sia diventata la città della moda anche grazie a questo forte dialogo.

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La moda italiana va bene, ma non riesce a fare gruppo come la moda francese che va meglio di quella italiana perché detengono più senso della contemporaneità. Lei diceva che la Francia è già alla terza generazione di imprenditori della moda mentre noi siamo solo alla prima, come questo può influenzare il mercato?

CC:

Allora se guardi alla proprietà di brand, noi siamo di prima generazione. Ora guardiamo 2 modelli temporali diversi, i gruppi francesi comprano i gruppi italiani, ma i gruppi italiani sono di prima generazione e devono modernizzarsi, ad esempio  con la quotazioni in borsa etc. Noi non dobbiamo farci ingannare dalle proprietà, alla fine o vieni acquisito come è successo a Loro Piana, Gucci, Bottega Veneta, Fendi, … Oppure fai operazioni più intelligenti, come quelli che si sono quotati in Borsa e hanno preso in Borsa i soldi per la crescita.

Il gruppo Kering , proprietario di Bottega Veneta e Fendi,  ha puntato sull’Italia, crescendo di 10 volte una volta arrivati da noi.

La proprietà vale fino ad un certo punto, è anche questione di cultura.

I gruppi stranieri con culture imprenditoriali meno forti o molto diverse da quella italiana sono rimasti depauperati con l’acquisto di nostre aziende. Quando invece i gruppi hanno un modo di fare business simile al nostro, come può essere la Francia, e aumentano le vendite a me fa anche piacere.

gruppo kering

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Secondo lei, Carlo Capasa, potrebbe funzionare una golden share sulla moda? (l’1% che può bloccare la cessione delle aziende)

CC:

Potrebbe essere, io non sono contrario.

Fatta la premessa che gli interlocutori che vogliono comprare dimostrino dei requisiti di professionalità, di heritage, di esperienza, tali da dire: “certo gente che ci sa fare”. Se questo non succede come nel caso di Ferrè o ci sono perplessità come nel caso di Valentino, allora il caso della golden share deve essere rivalutato meglio. Al contrario, se si dimostra di possedere i valori descritti sopra, la golden share è un concetto che vale la pena di essere considerato.

La prima garanzia che il gruppo ha è quello di continuare con l’heritage. Insomma per poter fare una tale cosa devi dimostrare che puoi farlo, con il tuo track record. Io la penso così. 

In generale, non fare lotta di religione sulla proprietà, ma sulla qualità della proprietà.

 

Venerdì 24 Giugno 2022

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