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Design,  Interviste

L’intervista a Martina Lamperti di Krill Design: tra eco-design e circular economy

Martina Lamperti racconta a MAM-e il percorso di Krill Design: “Il nostro obiettivo è quello di fare entrare il design sostenibile nelle case di tutti”

Martina Lamperti, esperta di stampa 3D, fonda un hub di manifattura digitale insieme con Yack H. Di Maio. Nel 2018  incontrano Ivan Calimani: nasce Krill Design.  I tre co-founder sono partiti da una considerazione relativamente semplice: e se si utilizzassero gli scarti organici di produzione quale materia prima seconda per creare oggetti di eco-design? Il processo brevettato da Krill Design, si basa infatti sul riutilizzo di sottoprodotti che vengono trasformati in biopolimeri naturali e compostabili, in grado di sostituire le plastiche di origine petrolchimica. Krill Design sarà presente alla Design Week di settembre 2021 grazie alla collaborazione con 5VIE.

Martina Lamperti racconta Krill Design

Martina raccontaci la genesi di Krill Design

La startup nasce a fine 2018 per un progetto di economia circolare. Ivan è il founder, Io mi occupo principalmente di gestire i progetti, sono project manager, e poi c’è Yack che è più parte R&D e produzione. Noi ci siamo incontrati a inizio 2018, in realtà, per un’idea di Ivan che ci ha contattato perché avevamo un app di stampa 3D: lui voleva sviluppare dei prodotti di design attraverso questa manifattura digitale e quindi stava ricercando delle persone che potessero stampare consapevolmente gli oggetti, nel senso di progettare per la stampa 3d. Si voleva poi replicare questo concetto in modo tale da poter utilizzare questa manifattura digitale in una manifattura digitale diffusa, ovvero avvicinare la produzione al consumatore finale. Questo è stato un po’ il primo concetto di sostenibilità che era legato alla sostenibilità in senso stretto, quindi non basato sul materiale. Inizialmente noi utilizziamo il classico PLA per realizzare i nostri progetti.

Infatti, se non sbaglio, il primo progetto realizzato da Krill Design è stato quello con Enel, il primo grande progetto con l’utilizzo della plastica, giusto?

Esatto era con la plastica riciclata. A partire da questo concetto, quello della manifattura digitale diffusa, abbiamo iniziando a sviluppare in parallelo con un polimero dalla patata, progetto rimasto in stand-by per l’instabilità del polimero.  Questa cosa poi ha iniziato a concretizzarsi alla fine del 2018, quando abbiamo fondato Krill. A partire dal 2019 sono partiti i primi contatti con le aziende: prima Enel e poi Autogrill. Con Autogrill c’è stato il primo vero progetto di economia circolare: con materiali ottenuti dagli scarti della spremitura delle arance abbiamo realizzato per loro delle coppe porta bustine da zucchero. La collaborazione con Autogrill sta andando avanti con il progetto WasOrange con PuroGusto, del gruppo Autogrill. Il 2019 è stato il primo anno e il primo polimero è stato quello ottenuto dalle arance di Autogrill. Il nostro modello di business si basa su progetti B2B, quindi con le aziende: questo approccio che ci ha offerto la possibilità sviluppare i polimeri, perché noi come start up non abbiamo le risorse per poter fare una parte di ricerca e sviluppo; quindi, realizzare questi progetti di economia circolare con le aziende permette di ottenere da loro i finanziamenti per la parte di ricerca e sviluppo del polimero.

Porta bustine di zucchero realizzati per Autogrill da Krill Design con scarti di arance

Ma quindi la richiesta del progetto viene direttamente dall’azienda o siete voi che andate dalle?

Allora fino adesso ci è andata bene, sono loro che ci hanno cercato. Però, soprattutto nell’ultimo anno, anche noi abbiamo cercato interesse. E abbiamo riscosso qualche interesse. Alla fine, i progetti che ad oggi si sono sviluppati sono quelli in cui loro hanno cercato noi.

Quindi notate un interesse da parte delle aziende di farsi promotrici dell’economia circolare? Una nuova consapevolezza?

Molte di quelle che abbiamo contattato anche noi sono interessate. Magari hanno incominciato a sviluppare progetti, ma poi o si sono arenate per questione Covid, o per altre priorità interne. Dato che i budget sono già stabiliti, ci risentiremo magari a settembre. Comunque, è un progetto impegnativo economicamente. Devono capire dove indirizzare il budget. Diciamo che la voglia da parte delle aziende c’è però a volte mancano le risorse.

 

Martina Lamperti Krill Design
Il ciclo di produzione di krill Design: dallo scarto al prodotto

Ho visto anche che avete fatto un progetto molto interessante con il Comune di Milano in cui invece utilizzavate gli scarti del caffè. Era volto a riqualificare i quartieri di Villapizzone, Dergano e Bovisa e per creare un distretto della sostenibilità, giusto?

Sì è un bando che abbiamo vinto nel 2019 e poi si è un po’arenato per questione Covid, quindi si è attuato nel 2020. Era il bando FabriQuarto 2019: innovazione di quartiere. Questo progetto vedeva coinvolti tre quartieri del Comune di Milano: Villapizzone, Dergano e Bovisa, all’interno dei quali abbiamo coinvolto bar e ristoranti, dai quali abbiamo ritirato i fondi di caffè. Abbiamo sviluppato questo biomateriale: quando si parla di biomateriale si parla di un mix, varia la percentuale dello scarto in base al tipo di scarto. Quello che io chiamo polimero di base si ottiene dalla fermentazione batterica degli scarti della palma.

Quindi per tutti questi prodotti che voi utilizzate ci sono degli studi di base che già esistono o sono tutte idee vostre? Avete visto le arance e avete pensato di provare a fare un biopolimero con quelle?

Sì è andata così. Cioè, già esistevano sul mercato dei biopolimeri arricchiti da, non so, legno o anche metallo. Noi invece volevamo usare gli scarti visto che si riproducono in grandi quantità fino ad arrivare ad essere un problema, seppur siano scarti organici. Comunque, anche lo smaltimento di questi comporta produzione di CO2 in quantità enorme. Soprattutto le aziende food & beverage hanno tantissimi di questi scarti, soprattutto quelle monotematiche, tipo produttori di salsa di pomodoro, le mele..

Quindi avete pensato di prendere questi scarti e farne un qualcosa di bello ma anche utile?

Sì, i biomateriali che ci sono ad oggi sul mercato e che le aziende utilizzano, sono tutti biomateriali ottenuti da materie vergini. Noi partiamo da un concetto diverso: il riutilizzo degli scarti. Anche il comune PLA, quello dei sacchetti dell’umido per intenderci, che adesso è super sdoganato, è fatto con l’amido di mais, quindi compostabile ma non biodegradabile.

Non siete mai passati alla produzione di grandi quantità: come mai avete scelto la strada del taylor made e della progettazione ad hoc? Per una questione di costi o per essere più vicini possibile al cliente?

Diciamo che è sempre una questione di costi e di specializzazione. Nella fase iniziale di sviluppo di un progetto, una stampa ad iniezione comporta un costo di stampo, cioè devi fare uno stampo per poi poter produrre. Se in una fase iniziale c’è bisogno di un numero limitato di pezzi – molto spesso le aziende magari ti chiedono una taratura limitata, 500 o 1.000 pezzi non 20.000 – non conviene assolutamente realizzarli con la stampa ad iniezione. In questo modo poi tutto può essere personalizzato. Possiamo realizzare uno stesso oggetto con una piccola variazione: se servono 1000 pezzi in un modo e 1000 pezzi con una piccola variazione, li possiamo realizzare allo stesso identico costo. E poi in questo modo possiamo produrre on demand, il che ci consente di non fare magazzino e quindi non avere degli scarti ulteriori. Ritornando alla tua domanda, nel momento in cui dovessimo andare su grossi quantitativi, l’obiettivo è sempre quello di riportare in auge quello di cui ti parlavo inizialmente ovvero la manifattura digitale diffusa, quindi appoggiarci a diversi hub di stampa 3D nelle diverse città, dove tu mandi il progetto finito, l’oggetto modellato, il materiale e poi basta inviare il file, cioè la stampa.

Krill Design e le arance: Martina Lamperti racconta la genesi del rapporto

La collaborazione con Seletti e Fratelli Branca per la San Pellegrino ha avuto risonanza sui social grazie agli influencer: com’è stato per voi, abituati al B2B, avere così tanta visibilità diretta da parte del grande pubblico?

Soprattutto nell’ultimo periodo abbiamo incominciato a pensare di fare questo passaggio verso il B2C, un po’ perché abbiamo notato da una parte dell’interesse per la sostenibilità nel design da parte del consumatore finale e un po’ per una questione di scalabilità, che non è propria del nostro modello di business. Quindi questo passaggio al B2C lo avevamo già immaginato; il progetto con San Pellegrino è stato un po’ lo shift, ci ha aiutati. In realtà l’impatto che stiamo avendo adesso non è da attribuire al progetto con San Pellegrino, che ha comunque influito, quanto a Ohmie, la lampada creata sempre con gli scarti delle arance.

I prodotti di Sicily’s (R)evolution: un progetto di Krill Design con San Pellegrino, in collaborazione con Seletti e F.lli Branca

Avete una passione particolare per le arance! Anche Ohmie è fatta con gli scarti delle arance. Come mai?

Probabilmente perché è stato il primo e perché ormai abbiamo perfezionato il polimero e quindi siamo arrivati ad una quadra, cosa che non è così semplice, anche se c’è sempre un margine di miglioramento. C’è sempre un lavoro di ricerca, ma adesso questo biopolimero con l’arancia lo sappiamo fare, lo perfezioniamo e siamo a cavallo. Per quanto riguarda Ohmie, diciamo che il nostro obiettivo, quello che ci siamo sempre prefissati, avviato con il progetto con San Pellegrino, è stato quello di fare entrare il design sostenibile all’interno delle case di tutti. Perché molto spesso la sostenibilità viene associata con qualcosa che non è propriamente bello. Fondamentalmente Ohmie è il nostro primo vero prodotto. Il 4 agosto è stato l’ultimo giorno su Kickstarter, e ha venduto parecchio, siamo molto contenti. A 9 giorni dalla chiusura di Kickstarter abbiamo raccolto 32.000€ (al 6 agosto si sono raggiunti i 39.478 €, ndr) Comunque, non è un prodotto a edizione limitata, quindi dal 5 agosto sarà sul nostro sito per poter essere comprata. Ora la potete trovare qua. Tra l’altro Ohmie non da l’impressione di essere fatta in plastica. Cioè al tatto sono piuttosto porosi, poi dipende appunto dal materiale di scarto, perché lo ricordano. E poi profumano un po’ del materiale di scarto con cui sono stati realizzati, anche se si sente di più con il caffè che con l’arancia. Quando vengono stampati, che il polimero è caldo si sente tantissimo. La superficie quasi porosa come la buccia d’arancia, in effetti, è sia dovuto al materiale che ad una scelta di design. Però il materiale comunque non è liscio, non è lucido come la plastica.

Ho visto che avete ricevuto tantissimi riconoscimenti sul vostro sito e volevo chiedervi, per caso ce n’è qualcuno o uno in particolare che vi ha un po’ sorpreso ricevere?

In realtà un po’ forse tutti. Quando fai un bando, quando partecipiamo a un concorso, bene o male poi ti trovi sempre tante storie, tante altre realtà che sono valide quanto te. Quindi ci si spera sempre, pensi che un bando sia facile che arrivi a vincerlo piuttosto che no, però non è certo. No, non ce n’è uno in particolare perché c’è sempre qualcuno che ti sorprende all’interno del concorso.

Mi hai detto che avete  progetti in cantiere  con varie aziende ma ce n’è qualcuno di cui puoi dirci qualcosa o sono tutti top secret? Magari progetti con nuovi materiali…

Sì allora stiamo lavorando a un biopolimero con il cacao, la mela e, come ti dicevo prima, c’è sempre la patata che è un progetto in corso da un po’. Poi siamo in contatto anche con un’azienda che fa vino, quindi stiamo cercando di capire se si può ottenere un biopolimero dalle vinacce, capire se è stabile.

Parteciperete alla design week che ci sarà a fine agosto. Come parteciperete? Con qualche installazione particolare o vi appoggerete ad altri progetti?

Noi non faremo nulla di nostro, ci appoggeremo probabilmente a diverse realtà in varie zone di Milano. Principalmente è una collaborazione con 5vie. Ad esempio, avremo Ohmie in esposizione in un negozio in corso Magenta.

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