Sara Ricciardi 5VIE
Design,  Milano

L’intervista a Sara Ricciardi, designer di casa alle 5VIE

Sara Ricciardi si racconta a MAM-e: “Il viaggio più incredibile è quello nel quotidiano, quello con sé e con gli altri”.

SARA RICCIARDI

Sin da subito si intuisce la sua vocazione per il racconto, per le profonde e infinite vie della narrazione. Sara Ricciardi, beneventana, ma milanese di adozione e d’azione, è ad oggi una tra le designer più affermate nel panorama italiano. Progetta performance, installazioni e pezzi unici per gallerie con un forte approccio narrativo. Ogni estetica nasce a partire da una precisa storia: Sara Ricciardi lo racconta con una leggerezza raffinata, sintomo di profondità.

Nell’attesa della Design Week di settembre 2021, abbiamo chiesto a Sara di rivelarci qualcosa in più su di sè e sul rapporto con 5VIE, il distretto culturale nato per rilanciare il centro storico di Milano per mezzo del design.

Le sue origini

 

Casa tua, Benevento, cosa ti porti dietro di quel luogo oggi?

[Sono grata] a Benevento per avermi dato entusiasmo caratteriale e avermi fatto apprezzare le frequenze basse, quelle sottili e intime. E’ una città dormiente, un po’ magica, un po’ mistica, quindi quei connotati sono giustamente arrivati nel lavoro, perché poi ogni persona porta con sé un bagaglio zeppo delle proprie origini.

Storie di streghe, mi ha incuriosito a cosa ti riferisci?

Veniamo da una città che è stata tenuta per molto tempo dai Longobardi che imperavano a Pavia e Benevento; popolo che aveva molti culti legati alla natura e agli alberi. Noi viviamo in un contesto che ha del cupo:  l’Irpinia è cupa, il Sannio ha un bel cinghiale nel suo stemma. E intorno agli alberi dove le persone si riunivano per fare culti propiziatori alla natura, che poi in epoca cattolica sarebbero stati stati banditi. Come in molte comunità dell’entroterra le donne detenevano il sapere delle erbe, della medicina, per cui abbiamo manoscritti in cui il papa ordina di sradicare un albero in particolare, il noce di Benevento! Sai, è come se gli antenati li avessi sempre lì che mi sussurrano le loro storie – ci racconta Sara Ricciardi.

Ti definisci “camparda”: come mai?

Dopo 13 anni di Milano acquisisci un po’ di ‘svizzeritudine’. In Campania è tutto sempre dettato dal fatalismo, che è straordinario, io lo amo a livelli infiniti, però restare sempre nel fatalismo è come accompagnarsi alle sabbie mobili. La Lombardia, cioè Milano, invece, ha determinato una struttura più combattiva nei confronti delle cose che accadono, perché non tutto va ricevuto come pioggia. È importante ad un certo punto definire queste due parti: sono lieta di che ci siano queste due entità forti in me, di due regioni per me importantissime – afferma Sara Ricciardi.

Quando ti chiedevano cosa volevi fare da grande cosa rispondevi?

Se hai tempo cinque ore, ho tutta una lista perché cambiavo idea ogni tre per due a seconda degli hobby del momento chiaramente. La veterinaria però è stato a lungo gettonato. Poche persone me lo chiedevano in realtà, non era una domanda così frequente, c’è sempre stata grande libertà. Chiaramente nel sud d’Italia all’epoca erano tre le facoltà possibili: medicina, economia e commercio e giurisprudenza, non c’era nient’altro che tu avessi potuto fare, nell’immaginario collettivo,  per conquistare un lavoro.

Quindi la reazione alla parola artista non era delle migliori…

In realtà anche la mia reazione alla parola artista è un po’ così (ride).

È un epiteto che non si acquista, scaturisce nel gorgoglio della ricerca personale di ognuno.

 

Sara Ricciardi 5VIE

Sara Ricciardi e la sua istallazione Arcadia, realizzata in occasione del Salone del Mobile 2018

….il suo modo di intendere “il viaggio”, gli oggetti e gli incontri

Dei tuoi viaggi e delle tue esperienze quali ti ha fatto maggiormente crescere, quali ricordi con più affetto? Sono capitati momenti di crisi in cui hai pensato di non poter proseguire su questa strada?

I momenti di crisi sono continui, anche oggi vivo momenti di crisi e menomale! È la cosa più preziosa che io possa avere, per ricostituire il racconto di me come donna, come designer, come studio. Senza momenti di crisi direi che ci si ritrova in una comfort-zone stagnante che non ti consente di formulare nuovi racconti. La crisi è doverosa e continua e mi tiene in esercizio, spero di non perdere l’entusiasmo per vederla così fino alla fine dei miei giorni.

Per quanto riguarda i viaggi, per me il più importante è quello proprio del quotidiano, con sé con gli altri. Non smanio per viaggiare, non ho quella dinamica per cui ne sento la necessità assoluta. Partire per trovare l’ispirazione lo definirei un palliativo. Il viaggio più incredibile è il quotidiano, il giornaliero che hai con te, con gli altri: ogni persona è un viaggio. Certamente vedere Tokyo ci servirà moltissimo, ma per me il sistema di apertura più potente è il viaggio intimo della persona: infatti, il viaggio astrale, il viaggio trascendentale è un viaggio che tu fai con te stesso per scoprire universi.

Ho letto sul tuo sito che sei una fanatica collezionista di oggetti bizzarri, ad esempio?

Secondo me in un’altra vita possedevo una wunderkammern: colleziono la qualunque, mi piacciono le pietre, le piume, le conchiglie, cado preda di fascinazioni materiche continue. Mi piace tutto. Qualunque oggetto ha la sua storia: l’ho preso in un posto, mi è stato dato in un modo…ogni cosa ha una storia, sta a te attribuirgliela. Un Animismo fai da te insomma. Io ho questo taccuino che abbiamo comprato con un amico in un viaggio verso la Francia, abbiamo scelto di trascriverci sopra solo le reciproche aspirazioni e diventare così dei guardiani dei desideri l’uno dell’altro: in realtà è solo un taccuino, che però diventa un luogo incredibile se gli infondi della magia del significato.

Delle tue collaborazioni, ce n’è stata una particolarmente motivante?

Ogni progetto è propedeutico a una scoperta. È come chiedere: “Quale scegli tra i tuoi figli?”. Però mi verrebbe da citare il periodo che sto attraversando, in cui sto capendo come strutturare il progetto del Pataspazio, che è lo studio in cui siamo: è un momento di grande svolta. Sei uno studio, sei un gruppo, devi orientare con il timone verso determinati obiettivi. La progettazione del proprio spazio coma una proiezione di un’ideologia è straordinaria: come si strutturano gli interni, gli spazi, in una maniera narrativa. Come dialogano insieme  funzione e ossessione? Logistica e visione? – amo progettare in queste tensioni.

L’altro momento di svolta è stato quando all’università ho iniziato ad andare in strada a creare con un banchetto mobile che avevo costruito. Sono sempre stata affascinata dai lavori di strada e volevo che tornassimo alla città con i nostri voli onirici, il colore, il folklore i suoni. Creai così HappyCarretto, una macchina per fare altalene: più camminavi, più il carretto filava un tessuto che sarebbe diventato un’altalena dopo circa 10 km di cammino.

 

Sara Ricciardi 5VIE

Sara Ricciardi, passionale come Frida Kahlo

Sara Ricciardi e 5VIE

Come è nato il rapporto con 5VIE? Da dove nasce la figura del “venditore ambulante”?

5VIE è un sodalizio da anni, c’è proprio un volersi bene, si è creato un rapporto di famiglia: questa è la maniera con cui vivo quel distretto, ne sono devota. Quando hanno chiesto: “Cosa facciamo per il salone?”, loro erano affezionati a certi oggetti che ho prodotto durante l’anno, ma non era interessante in questo momento storico restare sull’oggetto. Quindi l’intenzione era quella di ritornare a questa fascinazione che nasce dal vivere la strada, vivere gli spazi, dare la possibilità alle persone di andare con i propri immaginari a donarsi agli altri, a creare dei diversi modi di relazionarsi. È un’istallazione itinerante, una postazione che consente a vari artigiani, cittadini, studenti di vendere le proprie “mercanzie” –  ognuno potrà vendere il sé più onirico, c’è chi vende poesie, frecce di Cupido, il pane barocco…

Mi interessa molto la riappropriazione dello spazio pubblico, post pandemia mi piaceva strutturare un pensiero sul tema del lavoro.  Abbiamo preparato delle banconote 5VIE che autorizzano le persone a questo scambio di denaro.  Come se il comune avesse dato il consenso ai cittadini di scendere in strada e reinventarsi un lavoro.

“Tecct e damm” (“Ecco a te e dai a me”), una vendita di immaginari e passaggio di soldi.

Quando vivevo a Kadikoy in Turchia,una signora faceva il pane Semit a casa, poi lo appendeva su delle specie di antenne televisive e lo portava in giro per venderlo; a Napoli in Piazza Dante c’era un tipo che ti tagliava i capelli con una bacinella, mezzo rubinetto, le cose appese e cantando. Ognuno si reimpossessa così dell’urbano. C’è anche un progetto di Ugo La Pietra che si chiama ABITARE LA CITTÁ davvero molto interessante per riconquistare l’immaginario pubblico.

Con il progetto Urban Traders Revolution vorrei proporre esattamente questa suggestione.

Progetti futuri, desideri ambizioni che vuoi condividere

Un’ambizione è sicuramente avere più responsabilità sociale: mi piacerebbe molto prendere in mano progetti dal respiro politico e sociale più ampio, più strutturato.  E ovviamente continuare a studiare per essere persone sempre più consapevoli, indaganti, che non restano lì, sazie, ma in continua evoluzione di ricerca.

Sara Ricciardi e No Signal Zone, istallazione realizzata per Fuorisalone 2020

 

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!