Dizionario Opera

Iphigénie en Tauride

Il moto pendolare tra Vienna e Parigi intrapreso da Gluck fin dal 1773, all’epoca dei preparativi per Iphigénie en Tauride , ebbe la sua ultima fase nel biennio 1778-79. Il musicista aveva lasciato Parigi nel febbraio 1778 (subito dopo il fortunato esordio francese del suo rivale Piccinni, con Roland ), portando con sé due nuovi libretti da musicare, quelli di Echo et Narcisse e di Iphigénie en Tauride . A quest’ultimo soggetto Gluck stava pensando già da qualche anno, insieme all’amico Du Roullet, autore dei versi della prima Iphigénie . Du Roullet ebbe probabilmente parte nell’ideazione del nuovo libretto, la cui stesura va però attribuita a Guillard, giovane poeta destinato poi ad affermarsi come il più importante librettista tragico francese. Giunto a Vienna, Gluck si mise subito al lavoro e scrisse a Guillard per ottenere alcune modifiche al libretto. La sua permanenza nella capitale asburgica durò solo pochi mesi, per diversi motivi. Da un lato lo sollecitavano a partire le pressioni dell’imperatrice d’Austria, desiderosa che la figlia Maria Antonietta, in quel periodo in attesa di un figlio, trovasse qualche svago nella presenza del suo antico maestro di musica. Per altri versi, Gluck era preoccupato dal procedere troppo lento delle trattative con il sovrintendente dell’Opéra, De Vismes, e ritenne utile intervenire al più presto di persona. Tornò dunque a Parigi nel novembre di quello stesso 1778 e trovò la querelle tra gluckistes e piccinistes ancora rovente, alimentata com’era da dispute accademiche e speculazioni impresariali. In quello stesso periodo la direzione dell’Opéra aveva commissionato a Piccinni un’altra opera sul soggetto Ifigenia in Tauride (sebbene di un poeta diverso), in bella speranza di una clamorosa sfida tra i due maestri che aumentasse gli incassi del botteghino. Era lo stesso gioco tentato invano un paio d’anni prima con Roland . Quella volta Gluck non vi si era prestato, ma ora la stesura era troppo avanzata per tirarsi indietro. Si trattava dunque di riuscire a far rappresentare il proprio lavoro prima di quello di Piccinni. Così avvenne, a dispetto delle garanzie offerte dall’impresario al musicista italiano. L’opera ebbe un esito trionfale, non offuscato quattro mesi dopo dal fiasco dell’ultima opera gluckiana, Echo et Narcisse . Infuriato con il mutevole pubblico francese, convinto di aver subito un torto, Gluck lasciò definitivamente Parigi, ma nel frattempo Iphigénie en Tauride proseguiva il suo viaggio a gonfie vele, raggiungendo lo straordinario numero di 150 repliche in soli tre anni e rimanendo in repertorio a Parigi fino a Ottocento inoltrato, seconda, nella fortuna, solo alla prima Iphigénie .

La materia mitologica di cui si sostanzia l’argomento è ricavata da Euripide, ma filtrata attraverso la tragedia francese di Guimond de la Touche, risalente a circa vent’anni prima. L’antefatto (Agamennone è assassinato dalla moglie Clitennestra e vendicato dal figlio Oreste, che a sua volta uccide la madre) viene evocato nel corso del dramma, ma nulla si dice sul motivo che ha spinto Oreste in Tauride (l’odierna Crimea), vale a dire l’obbedienza all’oracolo che gli imponeva di trafugare dal tempio la statua della dea per placare in tal modo l’ira delle Furie. Anche le precedenti vicende di Ifigenia, già trattate da Gluck in Iphigénie en Aulide , sono taciute (salvo pochi rapidi accenni) e l’eroina viene immediatamente presentata nella sua veste di sacerdotessa di Diana, costretta a presidere ai sacrifici umani in uso presso il barbaro popolo degli sciti.

Atto primo . L’opera si apre con le suppliche di Ifigenia e delle altre sacerdotesse greche durante una tempesta (“Grands Dieux! Soyez-nous secourables”). Placatasi la furia degli elementi, Ifigenia racconta alle compagne il proprio sogno di quella notte: era nuovamente in patria, tornata all’affetto paterno, quando il palazzo reale andava in fiamme, il padre Agamennone le compariva sanguinante e la madre Clitennestra sotto forma di «spettro inumano»; vedendo poi il fratello Oreste, si sentiva trascinata a colpirlo da un ignoto potere. Consapevole della maledizione divina che incombe sulla propria stirpe, Ifigenia invoca quindi la dea Diana, già sua salvatrice in Aulide, perché le conceda la pace della morte (“O toi, qui prolongeas mes jours!”). Sopraggiunge Toante, re degli Sciti, sconvolto dall’oracolo che lo minaccia di morte se non immolerà tutti gli stranieri che capiteranno in Tauride (“De noirs pressentiments mon âme intimidée”). Informato della cattura di due giovani greci (Oreste e Pilade), il re invita il suo popolo a esultare e ringraziare gli dèi per avere fornito le vittime espiatorie.

Atto secondo . Oreste e Pilade sono in catene in una sala del tempio. Oreste si pente di aver trascinato nell’impresa l’amico, il quale si dichiara pronto a morire insieme a lui. Rimasto solo dopo che Pilade è stato condotto via, Oreste invoca la morte, quindi si calma e s’addormenta (“La calme rentre dans mon coeur”), ma viene tormentato in sogno dalle Furie e dallo spettro di Clitennestra. Giunge Ifigenia a interrogarlo sulla sua identità. Egli tace il proprio nome, ma dice di venire da Micene e la informa della rovina abbattutasi sulla casa di Agamennone. Ifigenia piange la morte dei genitori (“O malheureuse Iphigénie”), mentre il coro di sacerdotesse le fa eco nel lamento.

Atto terzo . Ifigenia decide di salvare uno dei due condannati affinché rechi un suo messaggio in Grecia. La sua scelta cade su Oreste, per il quale sente un’ignota tenerezza pur non sapendo che egli è suo fratello. Oreste non vuole però sopravvivere a Pilade e, minacciando di darsi la morte se sarà lasciato libero, riesce a capovolgere la decisione della sacerdotessa.

Atto quarto . Sebbene affranta, Ifigenia si appresta a sacrificare Oreste. Quando tutto è pronto e il pugnale già levato sulla vittima, Oreste esclama: «Così moristi in Aulide, Ifigenia, sorella mia», dando il via al reciproco riconoscimento. Furioso per la scoperta fuga di Pilade, Toante giunge ad accusare Ifigenia, e vorrebbe immolare anche lei insieme a Oreste, quando irrompe Pilade alla testa di un manipolo di Greci e lo uccide. La battaglia che ne segue viene sedata dall’intervento di Diana, che annuncia a Oreste il perdono divino e lo invita a insediarsi sul trono di Micene. Una «pace dolce e profonda» comincia a spirare su tutti gli elementi naturali e segna la fine delle sofferenze.

Con Iphigénie en Tauride si assiste all’irrompere nel teatro gluckiano dell’elemento oscuro e irrazionale: la protagonista è una donna travolta dagli eventi, priva di quella lucida volontà che guidava, nella sua opposizione ‘politica’ al tiranno Toante, il personaggio dell’ Ifigenia in Tauride di Traetta (opera nata sedici anni prima proprio in ambiente gluckiano). Lo stesso Toante, nel suo delirio sanguinario, appare in Gluck vittima di una volontà superiore alla quale egli non sa opporsi, mentre l’affiorare di terrori incontrollabili costituisce la cifra del personaggio di Oreste. Il nucleo tenebroso del dramma è visibile fin dal levarsi del sipario sulla tempesta, quando il grido di angoscia di Ifigenia si innalza sul tumulto orchestrale, dando vita a una fusione tra ouverture e introduzione vocale, in uno degli inizi più travolgenti del teatro musicale di ogni tempo. La tecnica tipicamente gluckiana del perpetuum mobile orchestrale sotteso al declamato vocale è largamente applicata nella partitura, a evocare l’idea della fatalità inesorabile. Emblematica in questo senso è la prima aria di Toante, dove il pulsare quasi ininterrotto del ritmo puntato rende con straordinaria efficacia il senso dei «noirs pressentiments» e delle «sinistres terreurs» che agitano il personaggio. Analogo è il potere evocativo dell’accompagnamento in quella sorta di ‘aria del sonno’ di Oreste che è “La calme rentre dans mon coeur”: qui il clima fatalistico instaurato dal continuum strumentale è tanto più sorprendente quanto più gli strumenti smentiscono le parole e «dipingono la voce sorda e minacciosa dei rimorsi», come acutamente notò un mese dopo la ‘prima’ il recensore del ‘Mercure de France’. Alla sfera del terrore appartengono gli interventi corali e danzati degli Sciti, nei quali il vigore del dettato ritmico e la strumentazione ‘esotica’ (piatti, triangolo, tamburo) servono all’illustrazione musicale della barbarie. Il coro delle Furie del secondo atto non possiede la massa d’urto di altri luoghi analoghi del teatro gluckiano e appare piuttosto insinuante, con agghiaccianti incisi a valori lunghi e in piano (“Il a tué sa mère”). La terza presenza corale è quella, più diffusa, delle sacerdotesse greche, che punteggiano il dramma con i loro lamenti in forma di corale liturgico, peraltro formalmente agili e profondamente inseriti nello sviluppo dell’azione. Nonostante l’importanza attribuita al coro, la partitura risulta incardinata sugli interventi solistici che, come nella prima Iphigénie , si fanno strumento d’introspezione. Peraltro, rispetto all’opera precedente essi manifestano una più chiara tendenza a travalicare i limiti dell’arioso e a definirsi come pezzi chiusi. La partitura è, fra quelle dell’ultimo Gluck, una delle più ricche di melos : dote di cui beneficia anche il personaggio di Pilade, la cui vocazione all’eroismo è permeata da un senso caldo degli affetti proprio grazie all’espansione melodica. Ma è soprattutto la parte di Ifigenia a contenere alcuni dei vertici melodici della produzione gluckiana: il caso più appariscente risiede nell’aria del terzo atto “O malheureuse Iphigénie” (rielaborazione di una brano della Clemenza di Tito musicata da Gluck nel 1752), nella quale le espressioni laceranti si placano in un disteso melodizzare sostenuto dall’oboe solo, paragonabile nel suo apollineo distacco al “Che farò senza Euridice” di Orfeo . Tornato a Vienna, Gluck si affrettò a realizzare un adattamento in tedesco dell’ Iphigénie en Tauride , servendosi della traduzione di Johann Baptiste von Alxinger, cui egli stesso collaborò. Divenuta Iphigenie auf Tauris , l’opera fu rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 23 ottobre 1781 e fu poi ampiamente esportata in Germania, anche durante l’Ottocento. Tappa fondamentale della sua circolazione fu il rimaneggiamento realizzato nel periodo 1889-90 a Weimar da Richard Strauss. Nella nuova versione, che si diffuse nei paesi tedeschi all’inizio del nostro secolo, la morte di Toante e lo scioglimento assumono maggiore evidenza. In Italia rimase memorabile l’allestimento del Teatro alla Scala del 1957, con la direzione di Nino Sanzogno, la regia di Luchino Visconti e Maria Callas nella parte della protagonista; di rilievo anche il recente allestimento scaligero (1992), con la direzione di Riccardo Muti e la regia di Giancarlo Cobelli.

Type:

Tragédie-Opéra in quattro atti

Author:

Christoph Willibald Gluck (1714-1778)

Subject:

libretto di Nicolas-François Guillard, dalla tragedia omonima di Claude Guimond de la Touche

First:

Parigi, Opéra (Académie royale de musique), 18 maggio 1779

Cast:

Iphigénie (S), Oreste (B), Pylade (Hc), Thoas (B), Diane (S), due sacerdotesse (S), una donna greca (S), uno scita (B), un ministro del santuario (B); sacerdotesse, Sciti, eumenidi, guardie, Greci

Signature:

f.b.

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