Dizionario Opera

Kát’a Kabanová

Nel 1918 il dramma di Ostrovskij Grosa (Il temporale, 1859) era stato pubblicato in cèco, nella traduzione di Vincenc Cervinka. Il direttore del teatro di Brno, Václav Jirikovskij, lo propose, insieme a due altri soggetti, a Janácek. Grosa era già stato utilizzato nel 1867 da Vladimir Kašperov, che ne aveva tratto un libretto per il Teatro dell’Opera di Pietroburgo. Janácek conosceva il dramma fin dal 1902 e non ebbe dubbi sulla scelta del soggetto: era appassionato dalla cultura russa – aveva già affrontato Tolstoj per il Trio con pianoforte (1908-09, ispirato alla Sonata a Kreutzer ) e Gogol’ nella rapsodia per orchestra Taras Bulba (1918); pochi anni dopo sceglierà Dostoevskij per l’ultima sua opera ( Da una casa di morti ). In questo caso rimase affascinato da un soggetto che presenta una cupa storia d’amore romantico, vissuta come protesta nei confronti del mondo autoritario, chiuso e bigotto dei mercanti del Volga. Dalle lettere emerge anche una circostanza intima, che propiziò senza dubbio sia la scelta del soggetto sia l’impeto compositivo che sorresse Janácek nella stesura dell’opera: il legame con Kamila Stösslová, la musa ispiratrice dell’ultima stagione compositiva, che il compositore idealizzò e trasfigurò sul piano artistico nella figura di Kát’a. Nel ridurre a libretto il dramma di Ostrovskij, Janácek tagliò molte parti dell’originale ed eliminò alcuni personaggi, riuscendo così a comprimere gli originari cinque atti in un efficace impianto drammatico di tre, che scandisce i momenti cruciali del dramma: nel primo, la partenza del marito sullo sfondo dell’atmosfera opprimente di casa Kabanov; nel secondo, il tradimento del marito; nel terzo, la crisi conseguente al ritorno del consorte, la confessione e il suicidio. L’opera ebbe un successo immediato a Brno, a Praga e a Bratislava. Nel dicembre del 1922 fu rappresentata a Colonia sotto la direzione di Klemperer. Nel 1927 Janácek scrisse due brevi interludi per facilitare il cambio di scena tra il primo e il secondo atto e tra il secondo e il terzo; questi brani, a lungo dimenticati, vennero riscoperti nel 1961 da Charles Mackerras e integrati nelle successive edizioni dell’opera. Durante la guerra l’opera fu proibita per il soggetto russo e ritornò sulle scene a Praga nel 1947, addirittura in doppia versione: al Teatro Nazionale con una nuova orchestrazione curata da Vaclav Talich e al Teatro del Cinque maggio (poi Teatro Smetana), in quella originale. Le produzioni più importanti degli anni successivi furono l’edizione di Rafael Kubelik per la Sadler’s Wells Opera di Londra (1951), quella di Charles Mackerras (1961), quindi le edizioni per i festival di Edimburgo (1964) e di Glasgow (1979), seguite da molti nuovi allestimenti negli anni Settanta e Ottanta, fra cui quello di Volker Schlöndorff (1974).

Atto primo . Una cittadina sulle rive del Volga, attorno al 1860. Quadro primo . Nel parco sulla riva del fiume di fronte alla casa Kabanov, durante la passeggiata pomeridiana si incontrano Kudrjáš, che conversa con Gláša, e che si imbatte in Dikoj, che sta invece litigando con il nipote Boris. Quando lo zio si allontana, Boris ha modo di lamentarsi del proprio destino, segregato lontano da Mosca e in balìa di uno zio autoritario. Frattanto tornano dalla chiesa Kabanicha, Tichon, Varvara e Kát’a. La madre di Tichon manifesta la sua ostilità nei confronti della nuora, rimproverando al figlio di non amarla più dopo il matrimonio. Nonostante le assicurazioni di Kát’a e la difesa di Varvara, il battibecco tra madre e figlio continua. Le situazioni di Boris e di Kát’a, anime delicate costrette in un ambiente opprimente e meschino, e la debolezza di Tichon, rivelano evidenti parallelismi. Quadro secondo . L’animo sensibile ed eccitabile di Kát’a si schiude in un lungo monologo, in cui canta la nostalgia per l’infanzia e racconta i propri sogni. Da questo sfogo interiore e lirico, che a poco a poco si fa quasi allucinato, erompe l’ammissione di amare un altro uomo. Varvara, con il suo carattere positivo e spensierato, cerca di mitigare la dolorosa coscienza del peccato che opprime Kát’a. Sopraggiunge Tichon; la moglie lo implora di portarla con sé nel viaggio che deve intraprendere per ordine della madre, e lo minaccia rivelandogli i suoi oscuri presentimenti. Di fronte alla sua intransigenza, Kát’a, sentendo la propria disperazione e debolezza, supplica Tichon di imporle il giuramento di non pensare ad altri che a lui durante la sua assenza e di non parlare con nessuno. Nella scena di congedo che segue, Kát’a è sottoposta dalla suocera a un umiliante rituale di sottomissione agli antichi costumi, che prescrivono il comportamento che una donna deve tenere in assenza del marito.

Atto secondo . Quadro primo . Le rimostranze di Kabanicha nei confronti di Kát’a continuano; la nuora si difende opponendosi all’ipocrisia che le viene imposta. Nel frattempo Varvara sottrae la chiave del cancello d’ingresso a Kabanicha e la offre a Kát’a, perché possa incontrarsi con il suo amante. La donna esita, si rifugia nella preghiera, ma al ritorno della suocera nasconde la chiave. Pur oppressa dalla coscienza del peccato e dal presentimento di un destino infausto, si abbandona al desiderio d’amore. Dikoj, ubriaco, si presenta a Kabanicha, e dopo averle confessato le proprie debolezze cade in ginocchio ai suoi piedi; la vedova lo accoglie per la notte. Quadro secondo . Nella notte estiva si incontrano due coppie: Varvara e Kudrjaš, Boris e Kát’a. I primi due scompaiono verso il fiume e Kát’a, non senza tormento, si getta nelle braccia di Boris, abbandonata al suo slancio amoroso. Kudrjaš dà il segnale del ritorno: mentre Varvara entra in casa, si vede giungere Kát’a ormai vittima del suo destino.

Atto terzo . Quadro primo . Due settimane dopo. È un pomeriggio piovoso e i passanti cercano di mettersi al riparo sotto le arcate di un edificio in rovina. Il positivista Kudrjaš sostiene che i lampi sono un fenomeno elettrico, il bigotto Dikoj ribatte che si tratta di segni della collera divina. Il temporale che si sta scatenando suscita terrore in Kát’a, il cui animo si trova in un’assonanza misteriosa con la natura e non bastano le parole di conforto della calma ed equilibrata Varvara. Alla vista di Tichon e Kabanicha, scoppia la tempesta interiore: Katerina confessa la sua colpa e fugge sotto la pioggia battente. Quadro secondo . Mentre Varvara e Kudrjaš approfittano della situazione per progettare la fuga verso Mosca, inizia il monologo disperato di Kát’a. Per lei non c’è riscatto se non nella morte. La sua colpa si trasfigura in un atto di accusa verso un mondo a cui non appartiene e che l’ha spinta nelle braccia di un uomo che condivide la sua sofferenza, ma non ha né la forza né la volontà ribelle dell’amata. Katerina incontra per l’ultima volta Boris, che ha già accettato il suo destino, che lo conduce alla partenza per la Siberia con lo zio. Nel suo struggente congedo da Boris, Kát’a sente il rombo del Volga che scorre, intonato da un coro fuori scena, misterioso simbolo della natura che richiama a sé la sua creatura, e si getta nel fiume. Di fronte al corpo esanime della moglie, Tichon accusa gli astanti di essere i veri colpevoli della sua morte. L’opera si conclude con i gelidi ringraziamenti di Kabanicha a tutti coloro che hanno aiutato a recuperare la salma.

Un accorto impiego di melodie tratte dal linguaggio parlato e una profusione di temi affidati all’orchestra, che assumono talora il ruolo di motivi ricorrenti volti a caratterizzare atmosfere, stati d’animo, presentimenti, proiezioni e conferme di presagi, aprono squarci sulla verità interiore dei personaggi fino a trasformare la musica in una vera e propria radiografia degli eventi psichici, come accade nei due monologhi principali di Kát’a nel primo e nel terzo atto. La natura fisica e pulsionale, di cui la musica è cifra e simbolo, è il mistero intorno a cui ruota l’opera, che non si riduce al solo livello della protesta di una ‘Bovary russa’, ipersensibile e meteopatica. Temi diversi alludono alle due dimensioni principali del dramma, quello del conflitto sociale e quello della tragedia interiore: le terzine di timpani che si odono nell’introduzione e risuonano in tutti i momenti cruciali dell’opera, la figura della morte che precede e sottolinea la decisione finale di Kát’a, alludono al destino tragico della protagonista; il tema ad arco in si bemolle minore, esposto dai flauti all’inizio del secondo atto, che svolge un ruolo fondamentale in tutto il resto dell’opera, rivela invece la dimensione ossessiva della passione di Kát’a; è un sentimento che affonda le radici nel profondo della psiche e appare indecifrabile alla stessa protagonista, che si sente spinta da una forza misteriosa sia quando si getta tra le braccia di Boris, sia nel momento della confessione.

La caratterizzazione dei personaggi è affidata a diversi registri espressivi: un unico motivo è legato alla figura tranquillizzante di Varvara, l’impiego della ‘melodia parlante’, irregolare e stridula, dà voce al bigottismo isterico di Kabanicha, mentre arcate melodiche liriche e simmetriche sono riservate alla parte di Kát’a. In questo dramma, in fondo tutto femminile, agli uomini non competono temi orchestrali veri e propri; inoltre i loro recitativi sono sostenuti spesso dai motivi delle proprie compagne. Soltanto Varvara e Kudrjaš, protagonisti di un amore semplice e incontrastato, intonano un canto popolare di origine ucraina che fa da cornice all’incontro amoroso degli amanti e lo colloca al di fuori del tempo e dello spazio, in una dimensione estatica dalla quale non v’è ritorno né possibile fuga.

Type:

Opera in tre atti

Author:

Leoš Janácek (1854-1928)

Subject:

libretto proprio, dal dramma Grosa di Aleksandr Ostrovskij

First:

Brno, Teatro Nazionale, 23 novembre 1921

Cast:

Savël Dikoj, mercante (B); Boris Grigorjevic, suo nipote (T); Marfa Kabanová, detta Kabanicha, vedova di un ricco mercante (A); Tichon Kabanov, suo figlio (T); Katérina Kabanova, detta Kát’a, sua moglie (S); Vána Kudrj&aac

Signature:

m.g.

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