Dizionario Opera

König Hirsch

Nei primi tempi del suo definitivo trasferimento in Italia (che coincide con quello della Bachmann, con la quale lavora al balletto L’idiota ), Henze comincia, nel 1952, la composizione di König Hirsch . Il soggetto è tratto dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi, della quale Henze sottolinea soprattutto gli aspetti coloristici e fiabeschi con tratteggi talvolta onirici, talvolta realisticamente ironici. Colpisce, in König Hirsch , che dopo la ‘prima’ berlinese venne ridotta in una versione dal titolo Re Cervo oder Die Irrfahrten der Wahrheit (1962), l’infinita gamma di sfumature espressive che sanno creativamente avvertire, e tradurre sul piano musicale, le pulsioni fantasiose del contesto originale rielaborato da von Cramer. L’opera, come tutte le altre di Henze, ha girato il mondo ottenendo un successo forse unico nel panorama dell’opera lirica del secondo Novecento. Henze pone infatti al centro della sua estetica il problema della comunicazione con il pubblico, rifiutando le più facili vie che la straordinaria, istintiva musicalità gli fornivano come naturale terreno, preferendo un percorso filosoficamente innovativo. Infatti, è nel recupero della corporeità , come sostanza primaria e fondamentale dell’uomo, che Henze riscopre il senso, la varietà e la molteplicità espressiva del gesto creativo. Le fonti originali dalle quali attinse lo stesso Gozzi (tra l’altro le Mille e una notte , il Pentamerone di Basile, La Posillecheata di Sarnelli, ma anche figure e atteggiamenti tipici del teatro spagnolo), sono già intrise di questa concreta, naturalistica cultura popolare, nella quale si fa largo un mondo fantastico popolato di uomini e animali. In questo senso, ciò che Henze distilla dall’universo gozziano è la necessità di concepire l’uomo e la storia come unitari. Insomma, spremendo dalla fantasia colorata di Gozzi il suo aspetto più ‘progressista’, Henze lo immette, come linfa vitale, nelle tensioni della musica del nostro tempo. E mentre gran parte del teatro novecentesco si apprestava, appena passata la boa del mezzo secolo, a intraprendere un necessario ma aspro cammino di sperimentalismo elitario, di astrazioni forse più concettuali e filosofiche che artistiche, di capovolgimento preconcetto nei confronti di un archetipo come la narrazione, Henze, attraverso le sue partiture operistiche compiva un grande balzo in avanti, insieme a un pubblico che si riscopriva partecipe ed entusiasta del rito teatrale. Cramer piega gli spunti comici del testo di Gozzi verso intenti di maggiore plasticità psicologica. Ciò, naturalmente, acquista grande forza espressiva grazie all’estrema duttilità della scrittura henziana, che si adatta al divenire narrativo, restituendolo con tutte le sfaccettature e la molteplicità di intenti che smentiscono l’aridità inventiva di certa parte del teatro del secondo Novecento.

La coincidenza della composizione di König Hirsch con l’inizio della sua ‘esperienza italiana’, ha avuto una forte influenza sull’opera, come più volte ha sottolineato lo stesso Henze. I costumi, le abitudini e i paesaggi italiani svelano la forza vitale custodita nel destino di ogni individuo; la natura si fa emblema di una forza morale insita nella bellezza.

Il re, che vive a lungo tra gli animali della foresta, impara a vivere secondo un equilibrio di altruismo e correttezza con il mondo e con chi gli è vicino. Quando decide di tornare e rivendicare il suo trono, viene ingannato dal luogotenente sulle presunte intenzioni dell’amata Costanza. Torna nella foresta, disperato, pensando che ella lo voglia uccidere; ma è in realtà il luogotenente che vorrebbe eliminarlo. Il musico Checco gli insegna però una formula magica per trasferire il suo spirito nel corpo di un cervo appena morto. Il luogotenente, che ha carpito la formula magica, la sfrutta a sua volta per entrare nel corpo del re, ma non riesce a ingannare Costanza. I cittadini, terrorizzati dalla sua ferocia, aspettano, secondo la profezia di un’antica leggenda, che un cervo venga a liberarli. Coltellino, al servizio del luogotenente, lo uccide inavvertitamente mirando al cervo. Lo spirito di Leandro può ritornare nel proprio corpo, riconquistare il regno e sposare Costanza.

La partitura, colorata e smagliante, tra spunti giocosi e atmosfere fantastiche, tratteggia un percorso ricco di inventiva. Etica ed estetica mirano a ricongiungersi: l’ ‘impegnato’ Henze, disposto a lottare sul piano delle idee e nella vita privata per le sue convinzioni politiche, non fa dell’arte una bandiera ideologica, ma le restituisce ambiguità e ricchezza. L’articolazione formale, ad esempio, sfrutta, stilizzandole, le forme operistiche tradizionali e si modella sulle mobili e ipersensibili esigenze drammaturgiche. Non prevale un progetto astratto, ma un evento che si evolve sulle connessioni interne e si esprime con l’opulenza lirica e timbrica della grande orchestra. Le suggestioni popolari fanno parte della scrittura in modo da non apparire mai come citazioni stranianti. Infatti, il principio unificatore è quello metamorfico: il ciclo vita-morte-rinascita costringe a uscire da una concezione dogmatica e aprioristica della storia. E gli uomini, gli animali, gli ambienti e le situazioni si aprono a interventi che consitono, innanzittutto, in un recupero del corpo e della bellezza, in senso panteistico e quasi pagano: nulla nasce come gesto dall’alto (la trascendenza, ‘l’avanguardia’, il ‘nuovo’ o altro), ma tutto diviene e si trasforma sotto la spinta di una fantasia libertaria e liberatoria.

Type:

(Re cervo) Opera in tre atti

Author:

Hans Werner Henze (1926-)

Subject:

libretto di Heinz von Cramer

First:

Berlino, St&aulm;dtische Oper, 23 settembre 1956

Cast:

il re (T), la fanciulla (S), il luogotenente (B/Bar), Scollatella I, II, III, IV (S, soubrette, Ms, A), Checco (T), Coltellino (T), una dama in nero (A), il cervo (m), il pappagallo (m); clowns, statue, voci del bosco

Signature:

l.b.

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