
La Bohème: l’inganno dell’arte secondo Puccini
Un testo, una storia, un mito: un’opera che faceva piangere Andy Warhol, assunta ad archetipo dell’opera lirica. Ecco la Bohème.
La Bohème, la più celebre e amata opera di Giacomo Puccini
Quando si dai diritti d’autore il romanzo di Murger, apparso a puntate su ‘Le Corsaire’ dal 1845 al 1848, furono in due a pensare di trarne un’opera: Leoncavallo e Puccini. Fu polemica continua non solo fra i due, ma anche fra le rispettive case editrici, Sonzogno e Ricordi, e tra ‘Il Secolo’ e il ‘Corriere della Sera’.
Dal romanzo all’Opera
Dal romanzo francese, attivato anche secondo percezione scapigliata, Illica prevede un libretto in quattro atti e cinque scene, mentre nella stesura definitiva l’opera sarà in quattro quadri, con la soppressione della scena di festa ambientata nel cortile della casa di via Labruyère, che avrebbe dato largo spazio a Musetta e che sarà il secondo atto dell’opera di Leoncavallo.
Modifiche all’Opera
‘La soffitta’, prima scena del primo atto nel progetto di Illica, diventa primo quadro (con sostituzione dell’articolo con preposizione: ‘In soffitta’); ‘Il Quartiere Latino’, seconda scena, diventa secondo quadro (con sostituzione dell’articolo ‘Il’ con la preposizione ‘Al’); invece l’atto secondo, ‘La barriera d’Enfer’, diventa terzo quadro; inoltre l’atto terzo, quello del cortile, s’è detto, è soppresso; infine l’atto quarto, ‘La soffitta’ o ‘La morte di Mimì’ diventa quarto quadro, ‘In soffitta’, guadagnando così circolarità spaziale all’opera.
Struttura della Bohème
Nella forma generale, l’articolazione è quella preferita da Puccini: presentazione dell’ambiente e dei personaggi; duetto d’amore a ridosso dell’inizio (come sarà palese in Tosca e Madama Butterfly ); svolgimento drammatico, stavolta con una miscela inaudita tra la spensieratezza bohémienne e la tragedia che cova nel petto innocente della protagonista.
Le protagoniste femminili
Ma le protagoniste, benché con spazi di tanta diversa ampiezza testuale, stavolta sono due, perché Musetta, civettuola e leggera, è una Mimì più avanti nell’esperienza della vita, o meglio l’altro aspetto della femminilità di cui l’opera vuol rappresentare, secondo intenzione dei librettisti esposta in didascalia, citando da Murger, l’Ideale (così Mimì, che nel libretto fonde due diversi personaggi di Murger, Mimì appunto e Francine, è agnizione di sognato femminino per lo stupito Rodolfo, esclamante sull’inizio: «Alzandosi: una donna!», come di fronte a una rivelazione di generale femminilità che gli interpreti di Puccini hanno ben messo a fuoco).
Atto primo Bohème: la soffitta
Il freddo e Parigi sono il fondale di verità della Bohème . Il freddo, da reale, si assume presto a metafora dell’esistenza. Il dialogo iniziale tra Marcello e Rodolfo (“Nei cieli bigi”) sottintende tutto il consueto conflitto di arte e realtà, nella verifica del classico carmina non dant panem. In questo dialogo incombe il fondale: la città sotto la neve e fumante in mille comignoli, che Rodolfo guarda dall’alto della soffitta, mentre impreca contro il non funzionante, perché non alimentato né dalla sua né da altre arti, caminetto ( per simbolo la ricerca del quasi pascoliano nido di quiete).
Il cinismo di Marcello
Anche la stagione dell’amore, benché si sia in gioventù ( Bohème è una tragedia della giovinezza), è fredda in questa Parigi 1830, come Marcello dice: «Ho diacciate / le dita quasi ancora le tenessi immollate / giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta»; ma ci vuol più ad alimentare un cuore che un caminetto: «L’amore è un caminetto che sciupa troppo… e in fretta!». Il cinismo di Marcello perdurerà, quello di Rodolfo si scioglierà presto: intanto bruciano quel che trovano nell’esperienza loro (rapidamente l’orchestra accompagna la carta che si disfà in cenere in un «lieto baglior» breve breve, con l’orchestra che cade appresso dall’alto in basso. Il fuoco si riprende, con l’orchestra detta dai fiati, poi da un pizzicato d’archi, all’aggiunta di uno scartafaccio più consistente, presto consumato anche questo.
Visite alla soffitta
È la vigilia di Natale e questa gioventù che brucia ha molta fame. Ed ecco all’improvviso comparire legna, sigari e vino: Schaunard ha trovato modo di raccattare le monete mai viste nella povertà e i vettovagliamenti sognati. Parigi è il Quartiere Latino, dove si presume di mangiar bene e a poco, che è quel che tutti cercano. E non c’è affitto da pagare che tenga: al Mabil, l’altra sera, s’è fatto cogliere in peccato d’amore. Mentre Schaunard, Colline e Marcello vanno al Quartiere Latino, Rodolfo, che deve terminare l’articolo di fondo del ‘Castoro’, resta in casa.
Mimì
Bussano alla porta. È Mimì, la dirimpettaia, che non sa più come accendere il lume che le si è spento, e che, in aggiunta, subito sviene, suscitando le preoccupazioni di Rodolfo, che le offre un po’ di quel vino col quale ha da poco brindato con gli amici, facendo ben inciuccare Benoît. «Poco, poco» dice Mimì, che già si sente meglio, ma intanto ha perso la chiave di casa. Si mette a cercarla con Rodolfo, che la trova e la nasconde perché vuol stare con Mimì: un po’ per il buio, un po’ perché così gli piace, le struscia la mano e le dice com’è fredda, corteggiandola; anzi, visto che ci si trova, le racconta in breve la sua storia: di un poeta che vive con poco (“Che gelida manina”), in lieta povertà.
Lo sgelo del cuore
Mimì si mette sulla stessa corda e gli racconta di essere una che ricama, a cui piacciono i fiori, che prega ma non va sempre a messa: e dice di aspettare lo «sgelo», per inebriarsi del primo sole di aprile (“Sì, mi chiamano Mimì”). Insomma si innamorano sotto la sigla di questo ‘sgelo’ anticipato dal cuore, che è come il motore nascosto ma di cui si sente il rombo in Bohème (“O soave fanciulla”). Vanno anche loro al Quartiere Latino, al caffè Momus, benché Rodolfo abbia fatto capire, con sbrigativa e tuttavia galante esplicitezza, che sarebbe stato meglio restare nel caldo improvviso di quella soffitta, dovuto non solo e non proprio alle fascine procurate da Schaunard.
Atto secondo Bohème
C’è festa e c’è folla al Quartiere Latino, ci sono venditori e negozi; così, mentre per conto loro gli amici vanno alla ricerca di un posto dove mangiare, possibilmente un tavolino da Momus, Rodolfo regala a Mimì una cuffietta rosa, che le sta così bene visto com’è bruna. Intanto Musetta celebra le proprie lodi, che appaiono al cavalier servente Alcindoro un «canto scurrile». Dunque Musetta è cantante, canta proprio nella realtà della scena, non soltanto nella scena d’opera, e come una diva mette letteralmente ai suoi piedi Alcindoro.
Alcinodoro
Mentre Alcindoro va a procurare un altro paio di scarpe per far star comoda Musetta, Marcello, irresistibilmente riconquistato, se la porta via in braccio. Il consigliere di stato riappare con un cartoccio racchiudente le calzature, in una scena tenera e ironica, non per lui: addossandosi ruolo, costi quel che costi, di cagnolino pronto ai piedini vezzosi della sua padrona. E, alla presentazione del conto che gli è stato lasciato dall’allegra brigata, non sa più cosa dire.Terminato questo blocco di sostanziosa unità spazio-temporale, la narrazione di Bohème fa un salto.
Note all’atto secondo
Se alla ricchezza melodica s’era voluta spesso contrapporre una relativa parsimonia tematica, bisogna dire che l’oculatezza di Puccini nello sfoderare temi su temi ha una sua propria necessità di tessitura narrativa. Per il libretto strettamente inteso, ne va riconosciuta la notevole consistenza drammaturgica. In Bohème anche la discussa questione del nodo di naturalismo, verismo e decadentismo in Puccini è affare ingarbugliato. Si direbbe che questa musica ‘tiene’, in senso anche, se non esclusivamente, tecnico e retorico, a una dolcezza che diventa fatto orchestrale, in sé conchiuso. Come quest’arte somigli tanto a un artigianato e non lo sia, è tutto il mistero del genio Puccini.
Atto terzo Bohème .
«La voce di Mimì aveva una sonorità che penetrava nel cuore di Rodolfo come i rintocchi di un’agonia», aveva scritto Murger, e nel bel collage che all’inizio del terzo atto profila Mimì di petto a Musetta («possedeva il genio dell’eleganza […] non aveva che una regola, il capriccio»), s’annunciano due strade che, portando entrambe alla femminilità, ovunque s’incontrano e ovunque divergono. Qualche mese dopo, a febbraio, l’arte sembra essere sconfitta dalla vita alla barriera d’Enfer. Marcello rifà l’insegna di un cabaret: il quadro che dipingeva all’inizio ora (per le solite ragioni di lunario) ha cambiato titolo. Annunciata da colpi di tosse, arriva Mimì: ha litigato con Rodolfo e non sa ancora che a Parigi, dai tempi di Violetta, si muore di tisi. Nascostasi Mimì, ecco Rodolfo, che spiega a Marcello i motivi del litigio: Mimì è una civetta, dice, e poi, prestamente pentendosi: è tanto malata, questa è la verità, e lui sente e sa di non poterle offrire giusto ricovero. Mimì si scopre, ma ha già scoperto, dalle parole di Rodolfo, di dover morire. Decide di tornarsene al «solitario nido» da dove uscì per il richiamo d’amore. Prega Rodolfo di consegnare al portiere le poche cose che lascia: lui potrà tenersi la cuffietta rosa per ricordo; l’addio è senza rancore, anzi è rinviato alla stagione dei fiori, nel mese più crudele ma in cui sembra di non essere soli, ad aprile (“Donde lieta uscì… Addio dolce svegliare”). Musetta e Marcello stanno in un’altra puntata del loro amore litigarello: ed è quartetto.
Atto quarto Bohème .
Tempo dopo, nella soffitta dell’inizio, Rodolfo e Marcello stanno ancora a voler credere di fare arte. Pensano alle loro due civette (“In un coupé… O Mimì, tu più non torni”). Mimì e Musetta stanno lontane (Mimì, pare, amoreggia con un viscontino), restano oggetti coi quali ricordarle, come souvenir o surrogati dell’amore che fu: per Rodolfo, la cuffietta rosa. Arrivano Schaunard e Colline e si fa finta di banchettare col poco che c’è; poi si fa finta di divertirsi, con danze e danze: minuetto, pavanella, fandango, quadriglia, dove Puccini cita ironicamente il repertorio classico; ma, mentre cita e fa parodia, improvvisamente l’orchestra si impenna in un accordo tragico: «C’è Mimì che mi segue e che sta male», dice Musetta entrando. Accolgono la poveretta che è tanto malata e che, abbandonato il viscontino, la sua ripicca alla gelosia, torna per morire accanto al suo geloso Rodolfo.
Il gelo del cuore
Fa freddo: Musetta incarica Marcello di andare a vendere gli orecchini per comprare qualche cordiale e un manicotto contro il freddo, per chiamare un dottore. Mimì, atteggiando con la voce un’aria popolare dice di aver finto di dormire per restare sola col suo Rodolfo. Mimì s’era allora subito accorta di tutto, della chiave nascosta, per esempio, ed era stata al gioco. Tossisce. Tutti si accorgono di quel che sta per capitare, tranne Rodolfo, che non vuole cedere al destino.
Puccini e le sue donne
Sul manoscritto della partitura è il punto in cui Puccini, che sapeva quando far morire le donne fragili che creava, che sapeva come colpire i cuori per spillarne lacrime, ha disegnato il teschio con le due ossa incrociate sotto, come lo stendardo dei pirati, lui pirata del sentimento in musica. Sotto, provvisorio cinismo, Puccini ha scritto «Mimì». In una lettera, commentando a ridosso della fine della stesura (10 novembre 1895, l’inizio era stato nel gennaio del ‘93), cedendo per una volta ai meccanismi del sentimento, scrisse dell’ «effetto di avere visto morire una sua creatura».
Type:
Scene liriche in quattro quadri
Author:
Giacomo Puccini (1858-1924)
Subject:
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
First:
Torino, Teatro Regio, 1º febbraio 1896
Cast:
Mimì (S); Musetta (S); Rodolfo, poeta (T); Marcello, pittore (Bar); Schaunard, musicista (Bar); Colline, filosofo (B); Parpignol, venditore ambulante (T); Benoît, padrone di casa (B); Alcindoro, consigliere di stato (B); il sergente dei doganieri
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