Valeria Ferlini
Moda

Valeria Ferlini La moda in movimento , l’intervista di Mam-e.it 2021

Il successo di Valeria Ferlini: una vita alla ricerca della moda

Dietro una carriera trascorsa nel mondo della moda c’è una donna che ha cercato di trovare sempre il meglio dell’essere umano. Una vita passata a cercare il particolare nell’universale. A scovare il vero significato di che cosa significa fare moda. Ecco che Valeria Ferlini si racconta a Mam-e.it.

Valeria Ferlini
Valeria Ferlini

Com’è stato lavorare per i grandi della moda negli anni ’80?

<<Ho iniziato a lavorare per Valentino quando ero a Sao Paolo, in Brasile. Ferré mi adorava. Mi considerava una bellezza naturale, acqua e sapone. Ho ancora dei suoi capi che mi ha regalato negli anni ’80. Krizia era pazza, ma l’adoravo e adorava me>>. Continua però dicendo: <<Inizio in quel periodo a captare un mondo della moda del tutto particolare. Non è quello che voglio fare>>.

Come si lancia nel mondo della moda?

<<Dopo aver studiato filosofia inizio con una linea per bambini, ispirata ai miei figli. Apro uno spazio in Montenapoleone dove vendo le mie collezioni>>. Nasce così Paris Bebé nel 1986.

Ma è solo dopo che arriva l’idea del prodotto

<<Inizio ad approcciarmi al mondo della donna. Mi viene però per caso in mente di comprare un’ape a Forte dei Marmi pensando di utilizzarla come canale di vendita per i miei prodotti per bambini. Sempre alla ricerca dei tessuti, maniacale quasi. Leggendo un articolo di Sergio Cusani mi decido a portare il bello all’interno della “feccia dell’umanità”>>.

Così l’ha definito ironicamente il direttore Pagano parlando di San Vittore

<<Creo e produco dove la libertà è solo un eufemismo, e vendo nel modo più libero in assoluto, che invece è un’ape car. Producendo dentro per 8 anni, andando a San Vittore tre volte al giorno, e nei successivi 10 anni esporto il prodotto nel mio laboratorio>>.

Siamo nel 1999, e Valeria ha già chiara la sua filosofia di vita

<<Il lavoro nelle carceri parte per dare attraverso un bel prodotto un valore aggiunto al detenuto. Perché se io ti faccio lavorare cachemire io credo in te, tu credi nel tessuto che sto lavorando e nel prodotto, io silenziosamente la induco all’autostima>>.

Un percorso trasversale, che richiama metodi di psicologia inversa. Ma a cosa è dovuto?

<<Viene da una cosa personale. Non ho avuto un’adolescenza normale, ma ero sempre alla ricerca del particolare, del dettaglio in un mucchio di materia. Voglio e volevo andare al di là di vivere in determinati contesti borghesi. E il Brasile mi ha aiutato. Volevo bucare l’ambiente borghese per cercare l’inverosimile, che ti dà una realtà in cui ti confronti. Quando vivi con queste persone, ti rendi conto che il resto non conta. In Brasile sembra di stare nel paese più bello del mondo, ma quando vai nelle favelas trovi queste persone che vivono nella povertà più assoluta e sono solari, piene di energia. Niente conta più allora. Siamo tutte anime di passaggio>>.

La stessa energia l’ha applicata nelle carceri?

<<Si, io non l’ho fatto per loro, ma per me. Le detenute mi dicevano sempre “è quello che noi abbiamo dato a te, non quello che tu hai dato a noi che è importante”. E io stessa avevo creato un rapporto di fiducia con loro. Le dicevo io “fammi tu il prezzo”. Erano loro a scegliere il prezzo, perché il prodotto lo pagherei come in un laboratorio normale. Non esiste che visto che il capo è stato prodotto in carcere allora costa poco>>.

Come ha fatto ad instaurare questo rapporto?

<<Non giudicavo, non mi permettevo di esprimere giudizi, dato che non sono nessuno per farlo. Ho creato rispetto, e ho fatto si che il valore aggiunto dell’essere umano non fosse dismesso, ma valorizzato. Solo in questo modo le persone potranno dare il massimo. Sono loro che hanno insegnato a me>>.

Come sono i rapporti con le detenute ad oggi?

<<Ancora oggi due persone lavorano per me. Ma con tutte ho creato un legame di rispetto enorme. Quando ero sotto chemioterapia andavo in carcere. Loro hanno deciso di radersi a zero per me. La mia moda è come indossare una storia, che appartiene a tante donne che se la sono bruciata>>.

Come mai non ha mai rilasciato interviste al riguardo?

<<Nel 1999 non c’era una corsa al carcere. Quando Leonardo Mondadori voleva fare un articolo sul carcere, io gli ho detto assolutamente no. Non parlerò mai del detenuto, ma solo del prodotto. Non del detenuto che fa il vestito. Un domani si (come oggi), se il progetto va a buon fine>>.

A cosa è dovuto il successo dell’ape?

<<Sembra un paradosso. Io non ci sono, non c’è il mio nome sul marchio, che invece è Moving Shop. Eppure la gente viene, l’idea funziona. Ciò che vende è il prodotto, che racchiude una storia dietro. Un prodotto valido, con dei tessuti particolari. E dunque ciò che vende è una vendita di impulso. Ma alla successiva, i clienti si affezionano, amano il prodotto>>.

Valeria Ferlini
Ape Car di Valeria

Il processo creativo da dove parte?

<<Come tutti i creativi, io sono capace di camminare uscita di casa, andando anche per i cantieri, e un dettaglio ti fa venire in mente qualcosa. Inizi quindi ad elaborare dentro di te. Ti dissoci da qualsiasi cosa che ti circonda. Ed entri nel tuo mondo creativo. È come se la creatività si impossessasse di te, anche quando non vuoi. Ma sempre da sola. Sono molto solitaria, e mi perdo nei tessuti., che sono la mia fonte d’ispirazione, dove parte tutto>>.

È il dettaglio che sprigiona la creatività

<<Il dettaglio del pantalone mi può ispirare in mille modi. È l’esasperazione del creativo, che ruba il dettaglio da quell’abito esasperato e mi ispiro per un mio capo, che ricolloco in un abito del mio stile. Vivo sempre creando, non stancandomi mai>>.

C’è un prodotto più di tendenza?

<<Le nostre casacche. Non sono camicie, ma una via di mezzo tra camicia e golf>>.

E per i tessuti cosa preferiscono i clienti?

<<I tessuti di cachemire in inverno, in estate il lino. Mi piacciono tutti quei tessuti che li giri e hanno un colore da una parte e uno dall’altro. è come ritrovare te stesso, che dentro siamo in un modo e fuori in un altro>>.

Secondo lei, la moda negli anni è cambiata?

<<Il fast fashion ha sbiadito il discorso della qualità, che è un qualcosa in più. Ma sono dei geni, dato che hanno portato la moda alla gente che non può permetterselo>>.

E la pandemia? ha cambiato qualche dinamica nel sistema della moda?

<<Assolutamente sì. Si è associato un timore di entrare nello spazio e di compressione. Da un punto di vista creativo ho avuto un blocco. Ho bisogno di qualcosa che mi avvolga, che ti possa far star bene all’interno della tua abitazione a prescindere che stai bene o meno. E non potendo uscire e ispirarmi al mondo diventa tutto troppo introspettivo, ma senza stimoli>>.

Chi la ispira oggi?

<<Erica Cavallini mi diverte. Celine con Phoebe, con la donna destrutturata nella ristrutturazione, la donna degagé. E Jil Sander, con la sua finta severità che nasconda la vera fobia umana. L’essere impenetrabile, ma alla fine non è vero. Anche Hermès ha delle capsule di alto stile. Adoro gli stilisti giapponesi, con i loro tessuti e il loro modo di vestire la donna, che è coperta. Etro ha dei capi eccezionali>>.

Moving Shop è davvero l’idea di una concezione della moda che va oltre l’abito. <<I vestiti sono solo stracci, sei tu che gli dai vita. E lo puoi fare solo guardandoti intorno ininterrottamente, andando oltre all’essere umano in quanto tale>>. Valeria paragona l’uomo alla Venere di Milo con Cassetti di Dalì: l’uomo è pieno di cassetti da scoprire, e dobbiamo muoverci per rivelarli.

conclusione Valeria Ferlini La moda in movimento, ape car

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