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Arte

La Parigi moderna di Edouard Manet

La mostra Manet e la Parigi moderna che apre i battenti oggi 8 marzo a Milano al piano nobile di Palazzo Reale – fino al 2 luglio – intende raccontare il percorso artistico del grande maestro.

Da Parigi a Milano il gesto di Manet che trascese in poesia la sclerosi dell’epoca moderna

Édouard Manet, iniziatore di una nuova pittura, scopre la “meravigliosa” modernità, in una Parigi in piena trasformazione, una città che soleva girare quotidianamente a piedi in lungo e in largo, da autentico pedone e osservatore appassionanto del suo tempo.

Sulla scia di Baudelaire, si afferma come un “pittore della vita moderna” e sceglie di affrontare temi nuovi che osserva per la strada, al Teatro dell’Opera, nei bar e nei “caffè-concerto”.

Le opere presenti in mostra arrivano dalla prestigiosa collezione del Musée d’Orsay di Pairigi: un centinaio di opere, tra cui 54 dipinti – di cui 16 capolavori di Manet e Gauguin, Monet, Berthe Morisot, Renoir, Signac, Tissot. Alle opere su tela si aggiugnono 11 disegni e acquarelli di Manet, una ventina di disegni degli altri artisti e sette tra maquettes e sculture.

Promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata da Guy Cogeval, storico presidente del Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi con le due curatrici del Museo Caroline Mathieu, curatore generale onorario e Isolde Pludermacher, capo-curatrice del dipartimento di pittura, l’esposizione intende celebrare il ruolo centrale di Manet nella pittura moderna, attraverso i vari generi cui l’artista si dedicò: il ritratto, la natura morta, il paesaggio, le donne, Parigi, sua città amatissima, rivoluzionata a metà Ottocento dal nuovo assetto urbanistico attuato dal barone Haussmann e caratterizzata da un nuovo modo di vivere nelle strade, nelle stazioni, nelle Esposizioni universali, nelle miriadi di nuovi edifici che ne cambiano il volto e l’anima.

«Un grande artista di tutti i tempi, protagonista di uno snodo fondamentale della rappresentazione pittorica quale è stata la Parigi di fine Ottocento, viene raccontato in questa mostra con un taglio nuovo e originale, quello che passa attraverso l’evoluzione vorticosa di una società in fermento e la crescita di una città in corsa verso la modernità – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno -. La fondamentale collaborazione con il Museo d’Orsay consentirà ai visitatori di ammirare capolavori assoluti di Manet, espressione di quella radicalità che ha rivoluzionato il linguaggio pittorico, e di alcuni suoi contemporanei come Monet, Gauguin e Cézanne, protagonisti dello stesso clima culturale e testimoni degli stessi epocali cambiamenti».

La mostra prevede dieci sezioni tematiche

  • Manet e la sua cerchia

Manet per tutta la vita coltiverà grandi rapporti d’amicizia e complicità con poeti e letterati come Charles Baudelaire, con cui sviluppa un profondo legame, Emile Zola, che prenderà da subito posizione difendendolo strenuamente dai rifiuti del Salon; Stephane Mallarmé, che frequenta il suo atelier discutendo animamente di pittura e poesia e in numerosi articoli lo elogia come caposciola e maestro dell'”atmosfera luminosa ed elegante”; la pittriche Berthe Morisot, che diventerà nel 1874 sua cognata sposando il fratello Eugène e sarà per molti anni sua intima amica, e altri celebri artisti come Degas, Monet, Renoir.

La mostra parte dunque da intensi ritratti di Zola, Mallarmé e Morisot, realizzati da Manet tra il 1868 e il 1876, esposti accanto a quelli di altri pittori come Edgar Degas con Ritratto degli incisiori Desboutin e Lepic (1876-1877), Giovanni Boldini con Henri Rockerfort (1882 ca), Charles Emile Auguste Durante detto Carolus-Duran che ritrae sia Manet (1880 ca) che Fantin-Latour e Oulevay (1861).

  • Parigi città moderna

Manet è il più parigino dei pittori e adora la sua città. Vivrà e lavorerà sempre nei pressi della Gare Saint-Lazare, nella “nuova Parigi” che si va costruendo giorno dopo giorno sotto i suoi occhi.

Per volere dell’imperatore Napoleone III con il prefetto della Senna, il barone Eugène Haussmann, vengono infatti realizzati interventi radicali che cambiano completamente il volto della città, rendendola la capitale europea per eccellenza.

In questa sezione figurano opere di Paul Gauiguin con La Senna al Ponte Iéna. Tempo nevoso (1875), eccezionale dipinto se si pensa che l’artista dipingeva da solo quattro anni, influenzato dalla lezione realista di Courbet; di Claude Monet con Le Tuileries (1875), dipinto dall’appartamento del collezionista Victor Choquet, dove sono raffigurati al tramonto i giardini di fronte a Rue de Rivoli e la vista dall’alto abbraccia un’ampia parte di città sino alla cupola dell’Hotel des Invalides;  di Paul Signac con Strada di Gennevilliers (1883), una veduta della periferia settentrionale di Parigi, dove il notevole spazio riservato alla strada, i cartelli stradali, i pochi alberti privi di foglie delineano un ambiente completamente modellato dall’attività umana.

A queste opere si affiancavano altre tela e numerosi disegni con progetti di edifici, chiese, stazioni che testimoniano l’efffervescenza costruttiva della città nell’ultimo ventennio dell’Ottocento.

  • Sulle rive

Le marine hanno un ruolo importante nella produzione di Manet, sono gli unici paesaggi che lo hanno affascinato, forse perchè conosce il mare che ha solcato fin da ragazzo in un lungo viaggio in Brasile e ha frequentato spesso le spiagge francesi.

Qui sono esposte cinque sue vedute marine, tra cui spiccano le due tele Chiaro di luna sul porto di Boulogne (1869) dove dimostra una eccellente padronanza nel raffigurare il mare in tutta la sua profondità così come la complessa struttura delle imbarcazioni e La fuga di Rochefort (1881), dedicata alla rocambolesca evasione del celebre giornalista Henri Rochefort, di cui è in mostra un ritratto di Boldini.

Si possono inoltre ammirare Pastorale (1870) di Paul Cézanne ispirato al celebre Le déjeuner sur l’herbe di Manet con una natura dai colori violenti, tutt’altro che idilliaca e Argenteuil (1872) di Claude Monet, che ritrae una delle mete preferite delle gite domenicale dei parigini, dove Monet soggioran tra il 1872 e il 1877 e vi riceve numerosi colleghi, tra cui lo stesso Manet.

Questo quadro, dove si colgono le mutevoli vibrazioni dell’atmosfera e gli effetti della luce rivela l’influenza della pittura di Constable e Turner, che Monet aveva visto a Londra.

  • “Natura inanimata”

In questa sezione sono esposti incantevoli dipinti floreali di Manet Ramo di peonie bianche e cesoie (1864), specie molto in voga nell’Europa ottocentesca che Manet coltivava nel suo giardino di Gennevilliers, qui dipinte nella fugacità del momento in cui il fiore passa dalla vita alla morte e Fiori in un vaso di cristallo (1882), tra gli ultimi quadri dipinti da Manet che, ormai malato, si dedica alla pittura di piccole tele con frutti e fiori di cui coglie con intensità lo splendore e la vitalità, cui si aggiunge L’asparago (1880), recapitato dallo stesso Manet al grande collezionista Charles Ephrussi come “aggiunta” ad un quadro con asparagi che era stato pagato troppo.

A queste opere sono affiancaate due splendide tele di Fantin-Latour e uno straordinario boquet di Renoir.

  • “L’heure espagnole”

Nel primo decennio della sua attività creatica, l’arte spagnola, insieme ai Tiziano e ai Rubens, esercita su Manet una forte influenza. Diffusa a Parigi sin dal 1830, ispira una voga che investe la letteratura, l’arte e il costume.

Manet si reca inoltre in Spagna nel 1865 e studia spesso i dipinti spagnoli al Louvre, in particolare Velázquez, che considera “il pittore dei pittori”.

Testimoniano questo ispanismo le vesti della balllerina Lola Melea nota come Lola di Valencia (1862), il cui fascino luminoso è paragonato da Baudelaire a quello di “un gioiello rosso e nero”; Il combattimento di tori (1865-1866), Angelina (1865), Il pifferaio (1866), immagine della mostra, rifiutato al Salon dello stesso anno per la radicalità del trattamento pittorico.

I colori stesi qui con naturalezza per campiture piatte come “grandi macchie” e soprattutto l’assenza di prospettiva, assimilano il dipinto a una carta da gioco, che secondo Zola, buca semplicemente il muro.

  • Il volto nascosto di Parigi

In questa sezione è di scena la Parigi dei caffè, delle strade, delle persone meno abbienti, che fa da comntraltare al lusso e all’opulenza della vita borghese, protagonista delle sezioni successive.

Spicca uno dei capolavori di Manet La cameriera della birreria (1878-1879), ritratto di una lavorante di brasserie che aveva colpito Manet per la sua bravura e quando l’aveva vista al Reichshoffen, un cabaret di boulevard de Clichy, convincendola poi a posare per lui.

Manet la rappresenta in una posa seducente, come una sorta di “escort” ante litteram con il suo “protettore”, l’uomo in maniche di camicia, che la accompagnava a posare nell’atelier del pittore. Oltre a due disegni di Manet di interni di caffè, sono qui esposte Ciò che si chiama vagabondaggio (1854) di Alfred Stevens, che, raffigurando una povera donna arrestata con i suoi figli al cospetto di un operaio e di un’elegante passante, rappresenta l’insieme dei diversi gruppi sociali coesistenti in città e punta il dito sulla sorte riservata agli esclusi dallo straordinario sviluppo economico e sociale del Secondo Impero.

L’attesa (1885 ca) di Jean Béraud dove un’elegante prostituta attende di adescare clandestinamente un cliente nel signorile quartiere dell’Étoile.

Appartengono invece all’atmosfera mondana dei teatri e dei balli la bella tela carica di rosso Scena di festa (1889 ca) di Giovanni Boldini, ritrattista della mondanità di Parigi, dove si stabilisce nel 1871, che qui rappresenta con pennellate vigorose e dinamiche le Folies Bergère, caffè-teatro di varietà attivo dal 1869 sui grandi boulevard.

  • L’Opéra

In questa sezione le opere sono dedicate al tempio dello spettacolo parigino: l’Opéra.

Di Edgar Degas è esposto Il foyer della danza al teatro dell’Opéra (1872), dove andavano in scena le opere e i balletti più importanti, distrutta da un incendio nel 1873.

È una delle tante tele che il pittore dipinse su questo tema, qui trattato con tonalità tenui e raffinate che si irradiano a partire dall’audace “vuoto” del primo piano.

Di Henri Gervex si ammira il bellissimo Il ballo dell’Opéra (1886), che mette in scena uno scintillante carnevale con una giovane donna mascherata, probabilmente una prostituta, in amabile conversazione con due gentiluomini, dove l’audace inquadratura taglia le figure in primo piano, rendendo la fugacità di un momento colto quasi per caso.

Accanto a queste tele, cui si aggiungono Le Muse e le Ore del giorno e della notte (1872) di Jules-Eugène Lenepveu e La scalinata dell’Opéra (1880 ca) di Victor Navlet, sono presentati vari disegni, acquerelli e piccole sculture in gesso o bronzo rappresentanti progetti per la nuova Opéra e figure mitologiche.

  • Parigi in festa

Qui sfilano quadri di artisti che frequentano le serate di gala nei teatri parigini: da Jacques Joseph (detto James Tissot) con l’elegante Il ballo (1878), straordinaria dimostrazione di virtuosismo a Jean Béraud con Una serata (1878), perfetta illustrazione di una affollata e mondanissima soirée che pare uscire dalla Ricerca del tempo perduto di Proust, da Eva Gonzales con Un palco al Théâtre des Italiens (1874 ca), dove abbondano i riferimenti a Manet – suo maestro – a Berthe Morisot con Giovane donna in tenuta da ballo (1879), tutto giocato con grande virtuosismo sulle variazioni del bianco in una figura femminile che fa pensare a Madame Bovary di Flaubert.

Completano la sezione alcuni disegni di progetti per nuovi teatri, testimoni dell’incessante trasformazione della Parigi dell’epoca.

  • L’universo femminile. In bianco…

Sono qui presentati alcuni capolavori incentrati sulla figura femminile rappresentata nei suoi momenti intimi. Di Manet è esposta la splendida tela La lettura (165-1873), dove l’artista ritrae la moglie Suzanne Leenhoff e Léon Édouard Koella-Leenhoff, figlio naturale della donna.

Il quadro è stato ripreso a una decina di anni di distanza dalla prima esecuzione e mostra sia un grande virtuosismo nella diversa resa dei tessuti, sia una intensa connotazione psicologica in entrambi i soggetti.

Sempre di Manet troviamo il celeberrimo Il balcone (1868-1869), che lascia perplessi pubblico e critica al Salon del 1869 anzitutto per la scelta dei colori accessi, ma soprattutto per la sconcertante assenza di un soggetto chiaramente definito.

Non si tratta infatti di un ritratto di gruppo, ma di una scena di genere senza però le dimensioni ridotte e la leggibilità del soggetto. I modelli sono tre amici che Manet fa posare a lungo nello studio: il pittore Antoine Guillemet, la violinista Fanny Claus e appoggiata alla ringhiera Bertge Morisot.

Manet decide di rappresentare qui un istante sospeso in cui ogni personaggio appare isolato nel proprio mondo interiore, offrendoci semplicemente i loro sguardi assenti.

Accompagnano queste due opere emblematiche due splendide tele di Alfred Stevens: La lettera di rottura (1867) e Il bagno (1873-1874), unico nudo dell’artista belga a Parigi dal 1844, opera la cui attenzione ai dettagli destò l’ammirazione di Manet e Le due sorelle (1863) di James Tissot, definita dal critico inglese Wentworth «Il paradigma dell’aristocraticità e dell’aleganza sobria».

  • …e nero. La passante e il suo mistero

La sezione conclusiva della mostra dedicata alle donne nelle strade parigine ospita due magnifiche opere di Manet: la tela Berthe Morisot con un mazzo di violette (1872), in cui l’artista riesce a trasmetterci, con grandissimo talento, la personalità magnetica della sua amica pittrice insieme alla loro profonda complicità artistica e un malinconico Ritratto di Nina de Callias (1874 ca), a cui si raffrontano due celebri figure femminili di Renoir Madame Darras (1868 ca) e Giovane donna con violetta (1875), dove il grande maestro rivela una straordinaria maestria nella resa del nero e nel catturare il fascino di una passante.

Una mostra affascinante dunque e ricca di opere indimenticabili che ci fa respirare l’astmosfera della Parigi di fine Ottocento, protagonista il grande Manet, attorniato dai celebri artisti che ne hanno condiviso il percorso artistico ed umano.

Il catalogo della mostra, edito da Skira contiene, oltre alle immagini delle opere esposte, i saggi dei curatori Guy Cogeval, Caroline Mathieu, Isolde Pludermacher, Leïla Jarbouai e di Akira Takahashi, Direttore del Mitsubishi Ichigokan Museum di Tokyo.

La mostra è inserita nel calendario di Artweek, che si terrà dal 27 marzo al 2 aprile in occasione di Miart 2017 e vedrà Milano fulcro dell’arte contemporanea con inaugurazioni, aperture straordinarie, visite guidate, contenuti speciali ed eventi, realizzati in collaborazione con tutte le istituzioni pubbliche e private che aderiscono all’iniziativa.

Per info su orari e tariffe clicca qui.

 

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