Sostenibilità pelle
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La sostenibilità dell’ecopelle, o pelle vegana, è una menzogna?

Luci e ombre della sostenibilità nella moda: la questione della pelle

L’industria conciaria occupa un posto di assoluto rilievo nel nostro Paese, l’Italia è infatti il primo produttore mondiale per i pellami di lusso. Sono anni, ormai, che la pelle è messa sotto accusa da animalisti e dai promotori di una moda più sostenibile. Sia per la sua derivazione animale, sia per il suo impatto a livello ambientale. Studi recenti dimostrano come il settore moda contribuisca alle emissioni di gas serra tra il 2 e il 10% del totale globale. Percentuali che secondo il nuovo rapporto dell’Apparel Impact institute e del World Resources Institute sono destinate, se non controllate,  a crescere del 50%. sostenibilità pelle 

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Le borse Stella McCartney in Mylo

Con le 130 sostanze chimiche, tra cui cianuro e cromo, necessarie per la lavorazioni delle pelli, con l’impatto riconducibile all’uso del suolo e con le  emissioni associate all’agricoltura animale, l’industria conciaria si aggiudica il podio tra le industrie più inquinanti. Tuttavia, secondo la direttrice dell’UNIC (l’associazione delle conciarie italiane fondata nel 1946) Fulvia Bacchi, nessuna industria ha i livelli di certificazione come la concia italiana, che nata come filiera circolare, lavora gli scarti dell’industria alimentare, pellami che altrimenti andrebbero smaltiti nelle discariche.

La sostenibilità della pelle vegana

Secondo la piattaforma Lyst, nel 2020 le ricerche di pelle vegana sono aumentate del 69% su base annua, mentre quelle relative alla “pelle sintetica” rimangono costanti, a dimostrazione di quanto il termine “sintetico”, e quindi in qualche modo finto, susciti meno appeal rispetto all’espressione pelle vegana. Un mercato che secondo un nuovo rapporto di Grand View Research, è in continua crescita e raggiungerà una dimensione globale di 57,0 miliardi di dollari entro il 2028.

La percezione comune vede l’ecopelle come la soluzione più sostenibile, ignorando il fatto che spesso è costituita da diversi polimeri plastici, principalmente da poliuretano (PU) e cloruro di polivinile (PVC), e quindi a differenza dalla pelle vera, non è biodegradabile e può rappresentare una minaccia per le nostre acque e i nostri oceani.

Materiali sperimentali: Funghi, Ananas e cactus

Negli ultimi anni sono diverse le aziende che stanno sperimentando nella ricerca di materiali a base vegetale e agroalimentare, che possano offrire un’alternativa alla pelle. Dal micelio dei funghi viene ricavato il Mylo, pelle vegana utilizzata da Stella McCartney; dalle foglie dell’ananas nasce Piñatex, tessile brevettato da Carmen Hijosa e utilizzato da Hugo Boss e da H&M per la sua linea Conscious. La pelle vegana del brand Desserto ottenuta dai cactus del Messico, e Dementra di Gucci, materiale realizzato con le stesse competenze e processi impiegati per la concia, ma con una composizione quasi esclusivamente vegetale fatta di viscosa e cellulosa, provenienti da foreste gestite in modo sostenibile. E poi l’Ohoskin, realizzata da Adriana Santanocito con le pale di fico d’india e delle arance.

Sneakers Gucci in Demetra
Sneakers Gucci in Demetra

Insomma le sperimentazioni corrono, ma lo scoglio più difficile da superare è quello relativo alla durata nel tempo. Qualità che ha reso la pelle il materiale più utilizzato per la realizzazione di abiti e accessori di lusso, e sui cui grandi nomi del made in Italy hanno costruito la propria fortunata storia. Le pelli finte o anche dette vegane, hanno una durata più breve, sono facilmente soggette all’usura del tempo e non possono quindi nemmeno avere un futuro nel crescente mercato del secondhand. Così, più che parlare di alternativa alla vera pelle, sarebbe corretto parlare di nuovi materiali sperimentali e sostenibili.

Fur Free: la questione delle pellicce

Se negli anni Ottanta la pelliccia era strumento per esprimere uno status, con il passare del tempo è diventato quasi il capo della vergogna. Le crescenti pressioni mediatiche, le proteste degli animalisti e una nuova sensibilità verso il mondo animale, hanno portato diversi brand a rifiutare l’uso delle pellicce. Tra i primi Calvin Klein che già dal 1994 le ha bandite delle sue collezioni, seguito nella metà degli anni Duemila da Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Seguono poi Armani nel 2016, Versace, Gucci, Burberry, Micheal Kors, e Valentino che dal 2022 eliminerà le pellicce da tutte le sue collezioni. Oggi il concetto di lusso non passa più attraverso l’esclusività di un prodotto, ma oggi lusso è in primis sinonimo di responsabilità sociale e innovazione.

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Occorre tuttavia sottolineare che quando si realizza una fake fur, si sta realizzando un prodotto petrolchimico non biodegradabile, che rilascia ad ogni lavaggio microplastiche nell’ambiente. Anche qui la questione, se analizzata dal punto di vista della sostenibilità e non da quello dell’etica, non è così semplice e lineare. 

Fendi FW 2019

Ma allora qual è la soluzione? L’azione più sostenibile che si possa fare da consumatori di moda è comprare meno e comprare meglio. Dal punto di vista dei produttori, oltre le sperimentazioni, sarebbe opportuno impegnarsi in progetti per la conversione industriale e arrivare a una concia ad impatto zero.  Obbiettivo a cui punta il Distretto Veneto della Pelle, che con le sue 446 aziende, vuole guidare la filiera verso questo importante passo avanti e preservare così il futuro di un settore che ha reso il nostro Paese leader a livello mondiale. 

Di Michela Frau 

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