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Arte,  Mostra

L’opera rising di Marina Abramovic a Venezia

Non tra gli eventi ufficiali della Biennale, ma sicuramente una delle più interessanti presenti a Venezia ora

Un’opera impegnata, quella della Abramović a Venezia: si chiama Rising ed è esposta presso la galleria privata dalla Phi Foundation for Contemporary Art di Montreal. Tanti, nonostante l’estraneità formale alla Biennale, i temi in comune. In primis, quelli riguardanti i peggioramenti climatici che affliggono il pianeta.

Rising, di Marina Abramović, viene prodotto negli studi di Acute art nel 2017, attraverso l’utilizzo della realtà virtuale. È presentato la prima volta alla Brilliant Minds di Stoccolma e poi ad Art Basel Hong Kong 2018 e da subito colpisce per l’utilizzo della virtual reality.

A Venezia, in una prima sala sono esposti i momenti di backstage delle riprese. Si espone e si esemplifica il metodo di lavoro utilizzato per realizzare l’opera. In una stanza successiva si chiede agli spettatori di indossare una cuffia e un accessorio visuale munito di joystick. In questo modo lo spettatore potrà calarsi in prima persona nel mondo virtuale creato nell’opera dell’Abramović.

Nella realtà immaginata dall’artista, la disgregazione di un iceberg fa crescere sempre di più il livello di acqua intorno a noi. Qui si instaura il concetto di rapporto causa-conseguenza che provoca all’interno dello spettatore/giocatore delle reazioni molto simili a quelle che avrebbe nella “vera realtà”.

Rising, vista da “fuori”

Non solo l’opera della Abramović a Venezia

Non c’è solo l’opera della Abramović però. A completare la mostra anche uno spazio dedicato all’opera dell’artista Renata Morales: Invasor.

Quest’opera è realizzata presso il Phi di Montreal, istituzione fondata e diretta da Phoebe Greenberg. Lo spazio espositivo si apre su una sala dove regna il caos. Qui giacciono a terra diversi pneumatici variopinti in diversi colori, intorno ai quali sono disposti dinosauri e strani animali in ceramica colorata. Alle pareti, invece, ci sono dei pannelli riflettenti che immergono lo spettatore nell’ambiente.

Nel secondo spazio è offerta allo spettatore la visuale esclusiva su un laboratorio di ceramica.

Un ambiente sicuramente più monocromatico rispetto al primo, ma non meno interessante.

Il pubblico può analizzare personalmente gli elementi e gli strumenti necessari per creare delle ceramiche.

Gli oggetti provengono direttamente dallo studio dell’artista José Noé Suro, dove la Morales ha lavorato negli ultimi due anni.

Questo primo spazio, guida progressivamente verso il secondo e ultimo della mostra. Qui, dopo il laboratorio, si presentano le opere dell’artista.

Oggetti antropomorfi, corpi umani, forse divini, dal corpo nero e bagnati a tratti nell’oro.

In contrapposizione, dall’altro lato sono esposti fantocci di carta insignificanti. Questo è il mondo delirante e caotico di Renata Morales, un mondo di contraddizioni e deliri mistici.

Invasor, Renata Morales

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