Lucia di Lammermoor Donizetti Fiaba Gotica
Teatro

Lucia di Lammermoor: la fiaba gotica di Donizetti

Ritorna al San Carlo di Napoli la Lucia di Lammermoor diretta dal cineasta Gianni Amelio. La storia, gli aneddoti e l’analisi dell’opera donizzetiana secondo Mam-e

Si è preso una pausa dal cinema, Gianni Amelio, dopo il buon film biografico dedicato al poeta tra i poeti italiani: Giacomo Leopardi. Prima di tornare alla macchina da presa, il regista calabrese ha scelto di tornare a una sua altra vecchia passione: la lirica.

Nello specifico, alle brume tragiche e romantiche della ‘Lucia di Lammermoor’, la più nota opera seria di Gaetano Donizetti, che verrà rappresentata a partire dal stasera al teatro San Carlo di Napoli (dopo fa ritorno dopo l’esordio del 2012).

Torna con un cast d’eccezione: Lucia interpretata corpo e voce dal soprano napoletano Maria Grazia Schiavo, Edgardo dal tenore albanese Saimir Pirgu e Lord Ashton dall’esperto baritono pugliese Claudio Sgura.

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‘Lucia di Lammermoor’ è un dramma tragico in tre atti, tratto dal libretto di Salvatore Cammarano e dal romanzo dell’autore di Ivanhoe, Walter Scott.

Prima rappresentazione: Napoli, teatro San Carlo, 26 settembre 1835. Personaggi: Lord Enrico Ashton; Lucia, sua sorella; Sir Edgardo di Ravenswood, Lord Arturo Bucklaw; Raimondo Bibebend, edcuatore e confidente di Lucia; Alisa, damigella di Lucia; Normanno, capo degli armigeri di Ravenswood.

Prima che il 26 settembre 1835 andasse in scena al San Carlo di Napoli la Lucia di Lammermoor, il trentottenne Gaetano Donizetti aveva composto, in diciassette anni di attività, 43 opere.

Aveva esordito al Teatro San Luca di Venezia, il 14 ottobre 1818 con Enrico di Borgogna, opera ‘semiseria’, secondo una minuziosa classificazione di allora, perché includeva un personaggio comico.

Anche Torquato Tasso fu per la stessa ragione definito semiserio, malgrado la morte di Eleonora d’Este e i deliri del protagonista. Opere buffe furono invece ‘Elisir d’amore’ (1832) e Don Pasquale (1843), ma esistevano anche le farse come ‘Le convenienze e le inconvenienze teatrali (1827) o ‘Il campanello’ (1836) nel repertorio donizettiano.

Lucia di Lammermoor non fu il primo grande successo di Donizetti nel genere ‘serio’: già ‘Anna Bolena’ (1830) e ‘Lucrezia Borgia’ (1833) erano state opere vincenti.

Ai romanzi di Walter Scott si ispirarono, prima di Donizetti Michele Carafa (‘Le nozze di Lammermoor’, Parigi 1829) Luigi Riesk e Ivar Bredal, e Alberto Mazzuccato (‘La fidanzata di Lammermoor’). Donizetti iniziò la composizione alla fine del maggio 1835, la terminò il 6 luglio. Scott, riferendosi alle lotte fra i seguaci di Guglielmo III d’Orange e i fedeli del detronizzato Giacomo II, aveva collocato il suo romanzo nella Scozia del 1689, mentre Cammarano retrodatò ‘Lucia’ alla fine del Cinquecento.

Lucia di Lammermoor fu la risposta di Donizetti al Pirata di Bellini, espressione dell’allora nascente melodramma romantico italiano. Anche nel Pirata Gualtiero (tenore) è vittima delle trame di Ernesto (baritono) che gli ha sottratto Imogene (soprano) costringendola a sposarlo.

Il Pirata aveva così coniato quattro personaggi principali: il giovane eroe oprresso dalla tristezza e dal rancore perché ha subito lutti e usurpazioni (Gualtiero), l’antagonista usurpatore (Ernesto); la donna angelicata e Goffredo, che tenterà invano di evitare la tragedia.

Bellini e Donizetti presero ad accostarsi a un linguaggio per l’epoca realistico, sopprimendo o riducendo le fioriture e l’ornamentazione nel canto delle voci maschili e, a volte, anche in quello delle voci femminili.

Il secondo passo furono melodie che partivano dall’accentazione delle parole per svilupparsi in un motivo semplice, tenero, malinconico. Così nacquero le arie, definite ‘nenie’ o ‘cantilene’, che furono la sigla e di Bellini e Donizetti.

Nella Lucia, Donizetti raggiunge lo struggimento e l’incisività: in una melodia come Verranno a te sull’aure l’accentuazione della parola è messa in rilievo dall’introduzione di ampi intervalli.

Il languore della voce, che sale o scende per gradi contigui, trova nel salto d’ottava iniziale di “Verranno” un impulso che imprime sul periodo musicale ampiezza e incisività.

Anche gli spunti veementi e iracondi, come nel larghetto ‘Cruda, funesta smania’, nascono dall’immediata trasfigurazione melodica della accentazione delle parole.

Lucia prova certamente slanci d’amore fervidi, appassionati, ma Donizetti le inibisce il canto sillabico e ‘spianato’ perché non allegorico, non idealizzato. Così Verdi nel primo atto del Trovatore: canto semplice, quasi ‘spianato nella descrizione che Leonora fa dell’incontro con Manrico (“Tacea la notte placida”), ma un repentino getto di trilli e di agilità nel successivo “Di tale amor“.

Notevoli in Lucia i recitativi, anche per la loro varietà. Se Donizetti usa il recitativo ‘monofonico’ – articolato, imitando il ‘parlato’, sulla ripetizione di una stessa nota – lo ravviva facendo salire gradualmente di tono ogni frase. Adotta il ‘parlante-misto’, dove il recitativo è affine al canto, ma il motivo conduttore è in orchestra (nel dialogo di Enrico e Arturo prima della scena delle nozze).

Sono presenti anche il ‘declamato’ (Edgardo, prima della ‘maledizione’) e il recitativo arioso che sfiora il cantabile (Edgardo in “Tombe degli avi miei”).

La strumentazione è abilmente correlata al mutare degli eventi scenici, anche attraverso interventi solistici. Nell’atmosfera notturna del parco, nel quale Lucia compare per la prima volta, è l’arpa ad annunciarla, con suoni liliali e sognanti; quando è convocata da Enrico, piagata dalla lunga assenza di Edgardo, è il lamento dell’oboe che la introduce; mentre nella scena della pazzia l’accompagna il suono ‘bianco’ e scarno del flauto.

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