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Lucianone e Lucianino – Ligabue racconta Pavarotti

Ligabue racconta Pavarotti.Il rocker di Correggio racconta il suo incontro con il grande tenore
Il mattino dopo l’esibizione di Mick Taylor, squilla il telefono.
Da una controllata alla sveglia risultano le 8 e io, a letto da tre ore, impreco e non cago.
Alla quinta o sesta serie di squilli mi sembra di percepire al viva voce un Maio implorante.
Alzo la cornetta e lui si affretta a chiedermi scusa prima di essere coperto d’insulti: “Ha chiamato Pavarotti, ti vorrebbe al Pavarotti International e gli serve
una risposta subito: ha la conferenza di presentazione fra un paio d’ore”.
Prima di realizzare qualsiasi cosa dico: “Si!” sradico lo spinotto e risvengo.

Sono sul palco.
Mi sono appena complimentato con Joan Osborne
per l’album che ha fatto e con Eric Clapton per tutto.
Certe notti comincia come sempre con l’arpeggio di
Fede e quindi l’ingresso mio, di Rigo e di Robby.
Sulla seconda strofa, quella in cui entra Mel, parte anche l’orchestra.
Ma è un cambiamento che mi sembra nella norma.

Ligabue racconta Pavarotti

E’ quando arriva il refrain, quando entra Big Luciano,
che scoppia la rivoluzione.
La foga e la potenza con cui canta non le aveva mai usate in prova.
E’ qui che si “impossessa” davvero della canzone.
I monitor da cui esce la sua voce sembrano scoppiare e io, cantando sotto mi sento minuscolo anzi, a dir la verità, non mi sento affatto.
Le parole del ritornello, attraverso di lui, sembrano passare dal corsivo al grassetto sottolineato.
Anche orchestra e gruppo sembrano in difficoltà di volume rispetto a lui.
Come in una famosa gag di Jerry Lewis, ecco, capisco che se mi avvicino un altro po’, Pavarotti mi spettina.
Ma non basta.
Ultimo refrain.
…Ci vediamo da Mario prima o pOOOOOOOOOOOOOOOOIIIIIIII!
Quel pOOOOOOIIII è un La in cui Pava, a suo agio, si può esprimere come vuole.

E allora va…

E allora va…
giù in platea:
le gonne svolazzano,
le braci delle sigarette si ravvivano,
le acconciature si sfasciano,
i fermacravatte si appannano,
le sciarpe di seta sbandierano,
i gioielli scrosciano,
i vestiti griffati si attaccano a tette, stomaci e genitali,
le giarrettiere vibrano,
alcune mutandine si bagnano,
nelle primissime file si attaccano ai braccioli,
e poi:
le maree cambiano,
i satelliti si spengono,
stormi di folaghe si spennano,
alcune montagne si assestano,
branchi di squali si convertono al plancton,
molte teorie ballano,
parrucchini salutano,
marirossi si separano,
i pecorini maturano,
torridipisa raddrizzano,
i sismografi si ribaltano,
le amanti dicono “grazie al cielo”,
gli ufo si spaventano e tornano a casa.
Quindi lui, l’orchestra e noi finiamo di colpo.
C’è l’attimo in cui il mondo si risistema.
E poi la gente che dimostra di avere molto apprezzato.
E io che ci metto qualche anno a smaltire la pelle d’oca.

Tratto da Fuori e dentro il borgo di Luciano Ligabue (Baldini Castoldi Dalai editore) – Tutti i diritti riservati

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