Arte

MAGRITTE IL PUBBLICITARIO

Al Centre Pompidou di Parigi una retrospettiva sull’arte enigmantica del pittore belga Magritte. Oltre ai capolavori dipinti, i primi poster realizzati per sbarcare il lunario

Un genio della banalità, René Magritte (1898-1967), un tipo alla Georges Simenon, il grande giallista con cui condivideva, oltre alle origini nordiche, il bisogno di creare universi fantastici colmi di enigmi e di misteri. Da dove nascono le celeberrime pitture-nature giocate sul non-senso, e quel linguaggio indecifrabile più complicato di un rebus che ha fatto del grigio signore vallone l’alfiere del Surrealismo e il portavoce della pittura belga nel mondo? Ecco, proprio al mistero Magritte è dedicata la mostra al Centre Pompidou di Parigi (dal 10 febbraio al 5 giugno si trasferirà alla Schirn Kunsthalle di Francoforte) con dipinti, tempere e disegni che documentano tutti gli incantesimi delle sirene magrittiane, compresi i poster pubblicitari e politici realizzati negli anni Trenta, per necessità.

 

Era uomo tranquillo, quasi noioso, riservatissimo. Nemmeno il trasferimento a Parigi dalle brume della natia Vallonia aveva cambiato le polverose abitudini di monsieur Magritte. La mattina il passeggio col cane Loulou, il pomeriggio le partite a scacchi nei bar del Quartiere Latino. A casa, nel piccolo appartamento decorato con ordinata “belgitudine”, l’aspettava la moglie e musa Georgette. Il mistero Magritte è spesso scandagliato attraverso il rapporto dell’artista con la natura. Una natura illusoria, debitamente alterata, che si ispira agli inquietanti paradisi terrestri di Bosch, Breughel, Ensor e al genere pittorico del trompe-l’oeil, rivisitati in chiave metafisica e poi ancora complicati in linguaggio concettuale.

 

L’incontro con Giorgio de Chirico fu fatale. Davanti alla riproduzione del filosofico “Le chant d’amour”, il belga si arrese: “I miei occhi hanno visto il pensiero per la prima volta”. Da quel momento Magritte decide di nobilitare la pittura (trovava insopportabile quella fauve, in voga verso la fine degli anni ’40, che definiva brutalmente “peinture vache”) assegnandole un ruolo mentale. Il cambio di prospettiva è nel celebre dipinto con un occhio spalancato sul cielo (o è il cielo che si specchia nell’occhio?). Ogni opera, un capolavoro d’ambiguità. Il compito del pittore è spiazzare chi guarda, trasformando la rappresentazione della natura in un accostamento di oggetti che violano le leggi della logica rimandando continuamente a qualcos’altro. Ceci n’est pas une pipe, è scritto in uno dei più noti dipinti: La trahison des images (1928-29), il tradimento delle immagini (da cui il titolo della mostra). Cosa vorrà dire quella scritta sotto la grande pipa riprodotta nel dipinto?

 

La vera conoscenza “è inseparabile dal suo mistero”, confidava Magritte al suo diario, rompendo la consueta riservatezza. L’invito a guardare oltre la certezza delle cose, sbucciando la grande mela della natura fino ad arrivare, forse, alla sua vera essenza, è il filo conduttore di questa mostra che invita alla riflessione. Anche il giorno e la notte si presentano confusi insieme. E’ l’alba o il tramonto nel paesaggio lunare che si apre nella sagoma dell’autoritratto dell’artista intitolato L’heureux donateur del 1966? E che senso ha quella finestra suddivisa in quattro riquadri (La clef des songes, 1935) che ritraggono una valigia, un cavallo, un orologio e una brocca? A conti fatti, saperlo è poco importante.

 

Magritte. La trahison des images

Parigi, Centre Pompidou Fino al 23 gennaio 2017

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