Perché alcuni marchi di moda sono rimasti aperti in Russia
Non solo dipartite, i negozi di alcuni marchi di moda restano aperti in Russia. Tutela della popolazione o interessi economici?
Allo scoppiare della guerra, si è innescato uno strano effetto domino di chiusura dei negozi nel territorio russo. Dal lusso al fast fashion, dalla moda al settore alimentare, pare che un modo per mettere in ginocchio l’economia russa sia quello di imporre sanzioni e impedire il commercio.
Hermès, Nike, Dior, Prada, H&M, Uniqlo, Zara ma anche Ikea e McDonalds sono solo alcuni dei centinaia di marchi che hanno deciso di chiudere i loro punti vendita in Russia. Anche il settore delle vendite online mette in ginocchio l’economia del Paese con il blocco delle spedizioni. Battuta di arresto anche per import ed export. In particolare, il mercato russo incide sulla moda italiana per poco più del 2%. In un’intervista rilasciata a Mam-e, il presidente della Camera Nazionale della Moda, Carlo Capasa, si è mostrato maggiormente preoccupato per la situazione umanitaria, piuttosto che di quella economica ma ha ricordato che:
La Russia pesa circa un miliardo e mezzo, tra merce che spediamo e merce acquista da noi. L’Ucraina, invece, pesa per altri 250/300 milioni. Quindi un 1.8 miliardi di fatturato su circa 100 miliardi che fa la moda. Non è il peso del 2% la preoccupazione maggiore. Ci sono altri aspetti che incideranno. Cosa succederà con il rincaro dell’energia? E la logistica? Sono aspetti che andranno ad incidere sul costo dei prodotti, non si sa di quanto ma sicuramente incideranno. C’è poi il problema di aiutare quelle piccole-medie aziende che producono solo per la Russia. Occorre, come Stato Italiano, trovare dei fondi per sostenere questa realtà.
Una preoccupazione dunque, che riguarda maggiormente le piccole realtà artigianali, grande prestigio della moda italiana. In merito, Sergio Tamborini, presidente del Sistema Moda Italia, ha dichiarato che ci sono alcune aree geografiche e alcuni settori più esposti alla crisi e sono soprattutto il Veneto, la regione con più export verso la Russia, e le Marche, regione nota per l’altissima qualità manifatturiera delle calzature. Per le Marche, Tamborini ha dichiarato che più del 50% del fatturato delle aziende del territorio arriva proprio dal mercato russo. Il rincaro della materie prima e il blocco dei canali di vendita, poi, può inasprire solamente di più le condizioni di queste realtà. Ciò che appare evidente è che, anche se in termini di fatturato complessivo il mercato della moda italiana non sembra particolarmente a rischio, le conseguenze effettive di queste misure restrittive le vedremo a medio-lungo termine.
I marchi di moda che hanno scelto di non chiudere in Russia
Per attenuare “l’effetto farfalla” di questi provvedimenti e per evitare un ulteriore oblio economico, alcune aziende hanno invece deciso porsi in controtendenza e rimanere nel territorio. Sono numerose, infatti, le aziende italiane che, pur avendo bloccato i nuovi investimenti, continuano a operare in Russia. Talvolta, la scelta è stata motivata dalla volontà di tutelare i lavoratori locali e garantire servizi essenziali. Tra questi: Renault, Leroy Merlin, Pirelli e Auchan.
Nella moda, restano Essilor Luxottica, Ermanno Scervino, Salvatore Ferragamo, Calzedonia e Geox. Il colosso degli occhiali, Luxottica, ha ridotto le attività ma garantisce tutte le attività legate alle forniture mediche essenziali per la vista. Per Geox, che ha inaugurato all’inizio di marzo un nuovo punto vendita nel centro commerciale Vegas Crocus City di Mosca, la scelta di continuare ad operare in Russia è stata dettata strettamente da esigenze economiche. L’azienda italiana di calzature, dichiara che il 70% di introiti arrivi proprio dalle esportazioni. In più, Geox e Brunello Cucinelli sono i marchi italiani con maggiore dipendenza dal mercato russo, rispettivamente per l’8% e per il 5%.
Aperti i negozi anche di Salvatore Ferragamo anche se il CFO di Ferragamo, Alessandro Corsi, ha dichiarato che la Russia incide nel fatturato del marchio per meno dell’1%, mentre i clienti russi nei negozi europei valgono il 2,8% degli acquisti. Nella scelta di Ferragamo c’entrano le licenze dei negozi in franchising che godono di una certa autonomia. Monnalisa, il brand per bambini di Arezzo, segue la stessa logica. L’ AD del marchio, Christian Simoni spiega che mantenere i negozi aperti, è stata una scelta difficile su cui si sono trovati costretti a confrontarsi dopo i due anni di blocco della pandemia. Per Monnalisa, il business si è bloccato solo per l’online.
di Flavia Iride
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