protesi artificiale SoftHand
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Maria Fossati: nel team SoftHand crea la sua protesi artificiale

Maria Rosanna Fossati lavora nel team che ha progettato la sua protesi artificiale

Maria Rosanna Fossati  è una designer e ricercatrice all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Recentemente ha collaborato nel team SoftHand Pro finalizzato alla creazione di una protesi artificiale che lei stessa sta testando in prima persona, essendo dalla nascita priva dell’avambraccio sinistro. Il risultato è una vera e propria mano bionica.

«La mia mano è una protesi artificiale sperimentale che usa principi delle neuroscienze e metodi della soft robotics. È molto robusta, ma anche eccezionalmente capace di adattarsi agli oggetti che afferra perché il suo funzionamento si basa sui principi della soft robotics, ovvero sull’importanza di una struttura non rigida, ma cedevole nelle interazioni con l’ambiente circostante. Infatti può realizzare con massima semplicità il 90% circa delle prese fatte dalla mano umana».

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La protesi artificiale SoftHand Pro

Ad oggi, nel mondo, ci sono più di 30 persone coinvolte in progetti e ricerche in centri di sperimentazione che fruiscono di questa protesi robotica. L’obiettivo è quello di migliorarne tutte le funzionalità, comprendendo le necessità delle singole persone che la utilizzano e adattandole il più possibile.

«Il nostro è un lavoro di ricerca che non si ferma mai, guardando al miglioramento e alla possibilità di sondare diversi percorsi. Riusciamo in questo intento anche grazie ai feedback che ci vengono restituiti direttamente dalle persone che indossano la protesi SoftHand Pro nel mondo. Questo non è solo prezioso ma anche un’ispirazione per il nostro lavoro».

protesi artificiale SoftHand
Team SoftHand Pro, dell’Istituto Italiano di Tecnologia

L’importante componente psicologica e inclusiva delle protesi artificiali

Non meno importante è anche il design della protesi artificiale. Questa, una volta indossata, oltre alla funzionalità motoria, comporta soprattutto una componente psicologica importantissima e determinante per la riuscita dell’intero progetto. Chi porta una protesi artificiale può essere una persona priva di un arto dalla nascita e di conseguenza che convive con questa condizione da sempre. Ma in molti altri casi, l’approccio psicologico deve tenere conto dell’aspetto indescrivibilmente traumatico di chi ha perso, a causa di una malattia o di un incidente, un arto che era parte di sé e che ha lasciato un vuoto incolmabile. Qui interviene quella che oggi chiamiamo scienza artificiale, volta a tentare di restituire alle persone quello che hanno perso, anche se in forma e materia diverse. Questa si sta spingendo al di là della progettazione degli arti, dirigendosi verso un perfezionamento di esoscheletri e occhi bionici sperimentali. A questo proposito è molto rilevante l’affermazione di Maria Rosanna Fossati:

«Credo sia fondamentale lavorare culturalmente sull’inclusività

Nel 2021 viviamo in una società dominata dalla tecnologia che è parte della vita di tutti noi in ogni suo aspetto. Dovremmo quindi, a maggior ragione, essere preparati ad accogliere le protesi artificiali non come qualcosa di diverso e strano ma per quello che sono: un progresso rivoluzionario e straordinario in grado di ridare vita a parti del corpo che mancano dalla nascita o che non ci sono più, ma soprattutto in grado di ridare speranza alle persone che credevano di aver perso tutto.

 

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