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Fashion,  Moda

Maria Grazia Chiuri: un altro futuro per la moda

Maria Grazia Chiuri, Direttrice Creativa delle collezioni donna di Dior, ha partecipato negli scorsi giorni al progetto Tempi sostenibili, organizzato dall’IUAV di Venezia e da Manteco e inserito fra le iniziative del Festival dello Sviluppo Sostenibile.

Nel dialogo che ha intessuto con Karishma Swali, Presidente della Chanakya School of Craft di Mumbai, ha riflettuto sul rapporto fra la storica casa di moda francese e la neonata realtà indiana e, più in generale, sul ruolo che la moda può avere in uno sviluppo umanamente sostenibile.

La scuola di ricamo in India

Maria Grazia Chiuri ha iniziato a lavorare con Karishma Swali negli anni ’90, con coraggio, dal momento che il ricamo, all’epoca, veniva percepito come qualcosa di passato e inattualizzabile e rimaneva confinato a poche realtà francesi che collaboravano con i nomi dell’alta moda.

La stilista, che ha ricordato il legame della sua terra natale, la Puglia, con l’arte del ricamo, ha anche confessato di aver sempre desiderato di poter riscattare questa arte, che negli anni della sua formazione veniva sempre stigmatizzato in maniera fortemente negativa. Lei, invece, è convinta che abbia un enorme valore:

Il ricamo fa parte della storia dell’umanità. Rappresenta una cultura condivisa che fa parte della vita delle donne nella storia. Ha un valore molto più politico di quanto la moda abbia mai pensato. Poi ha un significato identitario. Nella zona in India che abbiamo visitato c’è un riconoscimento da parte della comunità del valore di quanto si fa coi ricami.

A farle eco è la Swali, che ora gestisce la Chanakya, fondata dal padre nel 1982 con l’intento di diffondere nel mondo i ricami realizzati a mano in India: partita con 22 artigiani, fra cui anche il signor Swali, oggi ne conta più di 3000 e, dal 2016, comprende anche una scuola di formazione.

Questa ha permesso una trasmissione generale del sapere, all’interno di un sistema culturale in cui questo avviene tradizionalmente soltanto all’interno delle famiglie, con il rischio concreto – di cui gli Swali si sono resi conto – di perdere detti saperi. La collaborazione con la Chiuri è stata molto importante per garantire anche alle donne l’accesso alla pratica del ricamo, ricorda Karishma:

Quando Maria Grazia è venuta nella nostra fabbrica in India è stata lei a dire «Ma qui lavorano solo uomini!», perciò insieme abbiamo deciso di fondare la scuola, poi nata nel 2016. All’inizio credevano che creare un centro che puntasse ad essere un’eccellenza mondiale e a far lavorare donne fino a quel momento escluse dalla manifattura fosse entusiasmante.

Invece nei primi sei mesi non veniva nessuno, per colpa di resistenze culturali. A quel punto anche noi abbiamo cominciato a proporci, andando a spiegare negli slum locali le potenzialità del progetto. Dopo alcuni mesi sono venute 30 donne, accompagnate da marito e/o suocera, per capire se valesse la pena di partecipare al progetto.

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La sfilata 2023 di Dior a Mumbai.

La Chanakya, nel tempo, è quindi diventata un’azienda di portata internazionale, che ha saputo mantenere intatta la tradizione artigianale del ricamo e l’importanza che questo riveste nella cultura indiana, integrandola però con tecnologia all’avanguardia per lo sviluppo dell’impresa, che le hanno permesso di collaborare con grandi marchi.

La dimensione locale di Maria Grazia Chiuri

Il viaggio della stilista a Mumbai è stato visto dai dirigenti di Dior come qualcosa di molto strano, in quanto – dice lei – l’India viene considerata un posto dove produrre a basso costo e non se ne conoscono le realtà di eccellenza. 

Ad ogni modo, questa non è stata l’unica esperienza di Maria Grazia Chiuri con le comunità locali di paesi meno considerati all’interno del sistema produttivo della moda occidentale. Il suo approccio innovativo è sostenuto dall’ufficio culturale di Dior, che stabilisce contatti con persone che conoscono bene il territorio, all’interno di un processo d’indagine che dura mesi.

Tuttavia il processo d’indagine, che dura mesi, non si conclude mai senza un sopralluogo della stilista stessa, che ha così modo di verificare come siano gestiti i laboratori artigianali e quali siano le realtà locali con cui poter collaborare meglio. Per questa attenzione sviluppata per l’instaurazione di un rapporto diretto, la Chiuri si sente debitrice degli anni passati all’ufficio stile di Fendi:

La signora Fendi prendeva il trenino personalmente e andava a visitare le aziende che realizzavano le borse del suo marchio. Quando sono andata via da Fendi, c’erano 26 realtà che collaboravano con l’azienda solo per le borse, quindi senza contare i laboratori di ricamo, quelli che producevano gli elementi in metallo degli accessori, e così via.

In tempi come quelli di allora, quasi ‘magici’, non c’era la distanza di oggi, bensì un rapporto personale. Erano tutte aziende familiari e si creava un contatto umano continuo.

Si tratta indubbiamente di un approccio diverso dal solito, che mira a rendere il savoir faire un elemento di unione, ma che ha incontrato anche resistenze locali: le realtà produttive, infatti, spesso danno per scontato ciò che sanno fare e non riescono a vederlo con gli occhi degli altri e, quindi, a coglierne appieno il valore e le possibilità di sviluppo.

Conclusioni: la moda è politica

Maria Grazia Chiuri immagina che il sistema della moda possa avere un futuro diverso – anche se nessuno ci ha mai pensato -, un futuro in cui ci si renda conto che non c’è una soluzione che vada bene a priori, indipendentemente dal contesto geografico, che il risultato finale dipende sempre dalla collaborazione di tutti e che solo da questa collaborazione può derivare un’evoluzione culturale.

Infine, dice la Chiuri, la moda ha indubbiamente una componente politica, di cui qualche decennio fa non si capiva la portata, per la mancanza delle necessarie basi culturali. Sulla base di questo assunto, la stilista si sente di immaginare un sistema differente per il futuro:

L’uomo è l’unico animale che si veste, perciò il desiderio di vestirci per impersonare ciò che vogliano essere nel mondo è tipicamente umano. Ciò che io certo di fare, e che tutti dovremmo fare, secondo me, è mettere il sistema moda al servizio di una comunità più larga, utilizzarlo in modo collettivo per condividere il benessere che può creare.

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