Arte

MARIO DONDERO, FOTOGRAFO IN MOVIMENTO

Era legato ai Giamaicani, Mario Dondero, ovvero quel gruppo di intellettuali che si univa al Bar Giamaica al numero 32 di via Brera a Milano. Era uno dei più grandi fotoreporter italiani, lui che ci ha lasciati ieri, il 13 dicembre, a 87 anni nella sua casa di Fermo nelle Marche.

Aveva deciso di stabilirsi lì, per “colpa” di un gruppo di ferrovieri che gli avevano proposto di organizzare una mostra fotografica che mai fu allestita. Non era la sua patria, Dondero era un cittadino del mondo. Non aveva una fissa dimora: a lui interessava raccontare con i suoi scatti ciò che accadeva.

Immagini in bianco e nero «il colore distrae. Fotografare una guerra a colori mi pare immorale», amava ricordare. Lui che nella sua vita aveva vissuto la Rive Gauche, le piazze, le lezioni di Marcuse, le riunioni a Le Monde  e la primavera parigina. Visto il conflitto tra Marocco e Algeria, e quello in Guinea. Gli anni sessanta a Roma, le mondine e i cortei operai. E molto altro.

Non si è mai arreso al Selfi, al digitale, ha sempre avuto con sé la sua Leica. Compagna di viaggio dei suoi spostamenti per realizzare i reportage ispirati a Robert Capa e Henri Cartier-Bresson. Immagini vere, senza nessuna pretesa estetica, seppur quell’estetica ce l’avevano. Erano vere. Come vero è il ritratto agli scrittori del Nouveau Roman davanti all’Éditions de Minuit a Saint-Germain-de-Prés il 16 ottobre del 1959. Uno dei suoi scatti più famosi. Di Dondero simbolo di umanità, libertà e impegno, come tutto il suo repertorio.

 

 

 

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