Martina Guandalini
Design,  Interviste

Martina Guandalini, designer di 5VIE. L’intervista per MAM-e.it

Martina Guandalini si racconta a MAM-e.it

Martina Guandalini designer per 5VIE si racconta a MAM-e.it. Ci racconta la sua visione della vita e dell’arte. Nata a Carpi, Martina Guandalini si è laureata al Politecnico di Milano e la sua tesi è stata presentata alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2012. Dopo la laurea si è trasferita a New York e ha iniziato a lavorare presso lo Studio Sergio Mannino, dove si occupa di interior design.

L’intervista a Martina Guandalini

Martina Guandalini
Martina Guandalini nel suo studio di New York

Fin dalla laurea hai avuto successi e riconoscimenti e hai raggiunto obiettivi importanti. Quanto questo può essere stimolante per una giovane donna? E quanto è da stimolo per fare sempre meglio?

È assolutamente fondamentale seguire sé stesse e sé stessi. Lo stimolo lo troviamo dentro di noi, è sicuramente importante ascoltare gli altri e circondarci di persone che ci danno fiducia, ma alla fine bisogna seguire il nostro istinto. Le scelte giuste vengono quando si segue il cuore. Sembra banale da dire, ma è la verità. Nel momento in cui sei leale con te stesso e segui quello che vuoi le cose arrivano. 

Ci parli del progetto Lady be good design? 

È nato ovviamente nell’era dei social media. Io studiavo al Politecnico. Era arrivato il momento di trovare un modo che mi definisse. Io sono sempre stata dalla parte delle donne. Vengo anche dalla musica, io sono un po’ duplice, lo vedrete anche nelle mie opere.

Mi sono sempre districata tra la musica e il design. Nella musica avevamo creato un movimento che si chiamava Rock with mascara, quindi c’era sempre questa cosa delle donne che tornava fuori. Lady be good era un nome che usavo per definirmi, aveva all’interno Lady, quindi donna, una cosa un po’ altolocata, e be good era per dire do what you want. Poi ho iniziato a fare cose mie, miei prodotti.

In realtà le prime cose le ho lanciate l’anno scorso durante la pandemia. Quando sono arrivata a New York ho iniziato a lavorare subito per Sergio Mannino Studio, col quale facciamo interior design, ma ovviamente usciamo con la firma Sergio Mannino. I primi pezzi che ho lanciato sono quelli dell’anno scorso, anche con le 5VIE, cioè i Soulmate. 

Martina Guandalini
Martina Guandalini, Soulmate

Tra le altre cose promuovi e indaghi sui movimenti e i talenti femminili. Quanto è importante assumere una posizione riguardo a determinate tematiche? E come questo si riflette nei tuoi progetti? 

Credo sia fondamentale. Negli ultimi anni, soprattutto in America, le cose sono cambiate moltissimo, è vero che il me too ha cambiato tantissimo le cose.

In Italia si fa ancora un po’ fatica. Ed è bello vedere come sempre più le donne abbraccino questa condizione, la voglia anche di interagire e di fare squadra. Ma è facile seguire il trend, è molto più difficile rompere gli schemi ed essere portatrici di messaggi nuovi, insomma fare da apripista.

Per noi attraverso la musica è stato fondamentale fare sorellanza. Quando mi dicevano che le donne non fanno squadra mi si creava un fervore dentro e sentivo la necessità di dimostrare che non era così. A New York faccio parte del Femele Design Council, quindi ci sono designer, architetti, giornaliste. Non necessariamente nascono delle collaborazioni, ma a volte nascono amicizie o si va a bere un drink la sera. A volte avere supporto femminile è fondamentale. Comunque una discriminazione c’è, quindi per me è necessario fare questo. 

Possiamo definirti un’artista a 360° gradi. Infatti tra i tuoi interessi, oltre al design, c’è anche la musica. In che modo il design influenza la tua musica e viceversa?

Mi chiedo spesso se c’è davvero un collegamento. Tutto quello che muove me stessa è l’istinto, quindi forse è questo il fil rouge. Quando si tratta di interiore design io mi occupo soprattutto di spazi commerciali, quindi negozi, e sei sempre tu e la tua visione, ma veicolata da quello che il cliente vuole.

Invece quando creo mobili lo faccio in totale libertà. Probabilmente è lo stesso istinto di quando scrivo una canzone. Quindi l’aspetto simile è quello istintivo. Poi i colori, la sinestesia. Ovviamente il colore è una cosa che si vede e per me è molto importante, viene fuori nei miei oggetti e per me le canzoni hanno sempre un colore. Quindi forse il colore è un elemento che torna. 

Influenze passate? 

Tantissime. Una tra tante Patti Smith, cantautrice, poetessa, spirito libero, ma anche una femminilità molto androgina, molto diversa, se vogliamo ha rotto tutti i canoni di bellezza. Un’altra delle mie grandi icone è Elsa Schiaparelli, quindi moda, surrealista. Quando avevo 17-18 anni ho letto la sua biografia.

Molto austera, ma riusciva a esprimersi in maniera non convenzionale, che è quello che piace a me. Io non ho mai voluto assomigliare o fare cose che fanno gli altri, ovviamente nella nostra era è difficilissimo. Nella danza anche Martha Graham, un’altra che ha rotto i grandi schemi. Parlando di uomini e di design Carlo Mollino, per me è stato veramente importantissimo. Due anni fa sono andata a vedere la sua casa a Torino. Un’esperienza meravigliosa, un viaggio all’interno del suo linguaggio. 

Ci hai parlato di personaggi che ti hanno ispirato. Cosa invece nel tuo percorso, non soltanto artistico, ti ha segnato e ti ha lasciato più di altro? 

Sicuramente l’arrivo a Milano. Io sono nata a Carpi, in provincia di Modena. Sono molto fiera delle mie radici provinciali, dico sempre che se ce la fai in provincia ce la fai ovunque, perché è molto genuina, non ci sono molte prospettive. L’arrivo a Milano è stato fondamentale, perché mi ha dato gli amici che ancora mi porto dietro, mentalità più aperta, la mia indipendenza, il design, perché per me Milano è il design. Milano è anche questo aspetto un po’ borghese, ma è anche la sua bellezza.

Poi l’arrivo a New York. New York è libertà pura, è una droga, perché quasi dipendi dall’energia che ti dà questa città. Mi ha aperto la testa ancora di più. Probabilmente sono questi i momenti più importanti, perché rappresentano anche i momenti in cui sono riuscita a evolvermi di più come persona. Quando si è da soli davanti a nuove realtà è il momento in cui si tirano fuori grinta e unghie. 

Dici spesso che i contrasti possano far arrivare all’equilibrio. Lo si vede nella collezione Soulmate ad esempio, in cui vengono utilizzati materiali diversi tra loro come il finto marmo e la resina. Perché la ricerca dell’equilibrio è così importante per te? Come riesci a raggiungerla nel design?

Martina Guandalini
Martina Guandalini, Soulmate

Questa continua duplicità tornerà anche in questi nuovi pezzi di settembre. Sono completamente diversi. In questo caso ci sarà sempre la resina e il marmo, ma vero e non finto. Se i Soulmate erano opere molto concrete, molto solide, in questo caso l’input è stato l’opposto, quello di creare un’immagine più leggera, più eterea, anche più meditativa. Questi due anni hanno completamente sbaragliato le nostre sicurezze, quindi avevo voglia di ricongiungermi con un aspetto molto più sperimentale, meno terreno.

Secondo me nel momento in cui riusciamo ad abbracciare le nostre vulnerabilità, le nostre insicurezze e a lasciarci andare si aprono infinite possibilità. Lo fai proprio mentre accetti i contrasti. Sicurezza-insicurezza, paura-forza. Quando ti lasci andare a questo aspetto meno terreno e riesci a riconnetterti con una parte più profonda, data anche dai contrasti. Noi siamo anche questo, non siamo sempre solo nero o solo bianco. È sempre una ricerca costante di armonia e di bilanciamento.

Quindi solo in questo modo noi possiamo trovare una forza che ci fa andare avanti anche quando perdiamo tutte le nostre insicurezze. Il tavolo che ho creato per settembre si chiama Infinity table, riparto dall’idea dell’infinito. Sono delle strutture modulari e che quindi potrebbero anche essere ripetute all’infinito.

È un invito a ricordarci che non sempre deve esserci un inizio e una fine, ma è importante che ascoltiamo questa forza motivante che abbiamo dentro e che ci spinge ad andare avanti e ad aprirci alle infinite possibilità che possiamo avere. Per me dare ascolto ai contrasti significa far sì che alla fine troviamo il nostro vero equilibrio, perché lo accettiamo. 

In relazione al periodo che stiamo vivendo, tu che hai vissuto sia a New York che in Italia, che cambiamenti noti? Qual è la percezione dell’arte e del design? 

Sicuramente tanta voglia ora, vedo la voglia di continuare, soprattutto nelle generazioni più giovani. Vedo la spinta a continuare a fare. Io vivo nella parte bassa di Manhattan, ci sono tanti negozietti e piccolissime gallerie d’arte. C’è molto fermento, ogni giorno vedi che ha aperto un nuovo negozio.

Quindi secondo me c’è voglia di fare anche con meno, perché si spende meno, si sta più sul pratico, proprio perché veniamo da un momento di crisi, ma questo non ci ferma. Ho definito New York resiliente durante il lockdown perché si è trasformata, quindi magari ci sono ristoranti che sono diventati boutique che vendono vino, si sono tutti reinventati, ovviamente chi poteva.

Si è vista anche grande crisi, c’erano tutti questi negozi giganti vuoti. Credo sia un messaggio, cioè trovare il modo di evolversi quando c’è meno. L’importante è che si faccia e che si crei. Questi anni comunque li racconteremo. 

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