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Morte di Michele Merlo: dopo sei mesi è emerso a Vicenza il primo indagato per omicidio colposo

Il primo indagato per la morte di Michele Merlo: l’accusa è quella di omicidio colposo

A distanza di sei mesi dalla triste morte di Michele Merlo, cantautore bassanese ed ex-concorrente di Amici, è emerso il primo nome di un indagato. Il 28enne si era spento a causa di un’ischemia cerebrale derivata da una leucemia fulminante lo scorso 6 giugno.

Il fascicolo giudiziario, aperto dalla procura di Bologna e poi approdato a Vicenza, contiene un’accusa di reato per omicidio colposo in merito a condotte mediche. Il pm a cui è stato assegnato il caso è Barbara De Munari.

Michele Merlo poteva essere salvato?

Sulla copertina del fascicolo, secondo quanto trapelato, sarebbe riportato almeno un nome. E non è nemmeno difficile ipotizzare di chi si tratti. Infatti, stando a quanto emerso dall’intervento del pm emiliano Elena Caruso, e dall’autopsia sul corpo di Michele, non è stata attribuita nessuna responsabilità ai medici bolognesi che lo hanno avuto in cura fino alla morte del 6 giugno.

Secondo gli inquirenti le eventuali responsabilità sono da cercare nelle condotte del medico di famiglia di Michele del suo paese Rosà e in quelle del Pronto soccorso di Cittadella (Padova). Proprio lì il cantante si era rivolto per il mal di testa e i grossi ematomi che gli erano comparsi sul corpo.

Michele, oltre ad aver chiamato il suo medico, aveva mandato delle mail al servizio sanitario locale allegando anche le foto dei lividi. Il 26 maggio venne visitato al Pronto soccorso ma gli fu assegnato un codice bianco, quindi da situazione poco grave.

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La famiglia di Michele Merlo chiede verità

La leucemia, quindi, non è mai stata diagnosticata per tempo. Ciò che è necessario capire è se Michele potesse essere salvato. Infatti, secondo la perizia, un semplice esame del sangue avrebbe permesso di far emergere l’emopatia acuta che stava colpendo il giovane e avrebbe garantito un intervento di cura immediato.

Subito dopo il decesso, la famiglia di Michele aveva presentato un esposto. Infatti, il giorno precedente al ricovero d’urgenza, il ragazzo era stato visitato all’Ospedale di Vergato da cui era stato poi dimesso.

«Vogliamo la verità su quanto successo a Cittadella – ha detto Domenico, papà di Michele – e a Vergato. Bastava un emocromo per capire cosa avesse, ma nessuno ha pensato di farlo. La perizia del medico legale dice che Michele si poteva e si doveva salvare».

Ha anche aggiunto che la sua famiglia non cerca vendetta o soldi, ma solo la verità: «Se qualcuno ha sbagliato dovrà pagare e noi andremo fino in fondo, è tutto il sistema sanitario che è sbagliato e questo va condannato».

 

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Editor: Susanna Bosio

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