Munch. Il grido interiore. Da oggi 13 settembre a Palazzo Reale
A Palazzo Reale da oggi al 26 gennaio ‘Munch. Il grido interiore’, 100 opere tra cui la litografia del celebre ‘L’Urlo’. Una ‘mostra gioiello”, come l’ha definita l’Assessore Tommaso Sacchi in conferenza stampa.
Munch. Il grido interiore
Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, Edvard Munch viene celebrato con una grande retrospettiva allestita a Palazzo Reale, un percorso di 100 opere dal forte impatto emotivo. Dal 14 settembre al 26 gennaio 2025.
Una mostra forte che prende allo stomaco e costringe a scavare nei recessi dell’anima, risvegliando domande sulla vita, sulla sua tragicità e limitatezza, mentre davanti allo sguardo scorrono immagini legate al dolore e alla disperazione ma anche all’amore e al mistero della vita.
Ripercorrendo gli oltre sei decenni della carriera del pittore norvegese, dai suoi esordi di stampo prettamente naturalista, risalenti alla fine del XIX secolo, fino agli ultimi lavori, la mostra ripercorre i principali temi indagati da Edvard Munch attraverso le sue opere. Noto per la sua capacità di sondare le profondità psicologiche dell’animo umano, l’artista norvegese ha realizzato opere di inusuale intensità, proponendosi come traghettatore dell’arte tra due secoli e tra numerosi movimenti, dal Simbolismo all’Espressionismo .
Edvard Munch
«Ho ereditato due dei più spaventosi nemici dell’umanità: il patrimonio della consunzione e la follia».
Così ripeteva Edvard Munch (Løten, Norvegia, 1863-Oslo, 1944), che per l’intera vita dovette fare i conti con l’incubo della tubercolosi e della depressione, flagelli della sua famiglia.
Cresciuto e vissuto nel lutto («Nella mia casa d’infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infelicità di allora») a causa della scomparsa prematura, per tisi, della madre e della sorella prediletta, della malattia mentale di un’altra sorella, della tragica morte del padre, cui si aggiunse la tossica relazione con Tulla Larsen, Munch, pur fra mille difficoltà personali (come l’alcolismo e il lungo ricovero in una clinica per malattie nervose, che lo salvò dal «precipizio») seppe trasformare questo tragico bagaglio nel nutrimento di una pittura che sin dall’ultimo ’800 incarna l’angoscia dell’età moderna.
Diventando poi, con il celeberrimo «L’Urlo» (soggetto da lui replicato più volte, in tecniche diverse, tra il 1893 e il 1910) uno degli artisti più conosciuti e riconosciuti del mondo. A confermarlo, i due furti di quel dipinto, poi sempre ritrovato: invendibile eppure rubato, come fosse un feticcio.
La sua necessità di comunicare dolori indicibili e umane angosce sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali e Munch uno degli artisti più iconici del Novecento.
Munch. Il grido interiore a Palazzo Reale
Promossa da Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia con il Museo Munch di Oslo, la retrospettiva riunisce opere-pilastro del percorso di questo grande pittore simbolista e precursore dell’Espressionismo (le «scandalose» mostre di Berlino dove, dopo Parigi, soggiornò lungamente sin dagli anni ’90 dell’800, segnarono in profondità gli artisti non solo tedeschi).
Nel percorso figurano «Malinconia» (1900-01), ritratto della sorella malata, e «Danza sulla spiaggia» (1904), «La morte di Marat» (1907), in cui evoca la sua relazione con Tulla Larsen, ma anche paesaggi fatati come «Notte stellata» (1922-24) e «Le ragazze sul ponte», qui nella versione del 1927: uno dei suoi capolavori, già a detta della critica di quegli anni.
Non potevano mancare «L’urlo», presente in una versione litografica del 1895, e «Madonna», altra sua opera famosissima, un nudo femminile incorniciato da una ghirlanda di spermatozoi con un feto, anch’essa in una versione litografica (1895-1902). Queste solo alcune delle 100 opere in mostra.
A corredo, un programma di eventi diffusi nelle maggiori istituzioni culturali della città.
Conclusione. La mostra Munch. Il grido interiore propone un viaggio affascinante tra le mille sfaccettature, artistiche ed emotive, di un grande autore del Novecento le cui opere invitano a riflettere sulla vulnerabilità e sulle speranze dell’essere umano anche a distanza di ottant’anni dalla sua scomparsa.
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