nuovo patto migranti
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Nuovo patto migranti. Accordo Ue sui migranti

Il Consiglio per gli Affari Interni Europei è riuscito a raggiungere un’intesa di massima per le modifiche che produrranno il «nuovo patto migranti».

Nuovo patto migranti. Accordo Ue sui migranti

Al Consiglio di ieri l’Italia è stata rappresentata dal ministro Piantedosi, che rivendica qualche successo. Non sul fronte principale tuttavia, ovvero quella della ‘linea ricollocamenti’ con il governo Meloni che spingeva per il meccanismo dei ricollocamenti obbligatori. Invece, la dottrina europea rimane quella della “solidarietà obbligatoria”, due concetti molto differenti.

Le novità in materia comunque ci sono e sono numerose, ma la riunione è stata condotta principalmente dall’asse franco-tedesco che ha reso chiaro a tutti del fatto che si trattava dell’ultima occasione per mettere mano alle proposte avanzate dalla Commissione ben 7 anni or sono. Un’ultimatum, dunque, sottolineato addirittura dalla baldanza tedesca che minacciava di chiudere lo spazio Schengen, con quali vantaggi non è dato sapersi.

Alla fine, l’italica resistenza è stata piegata, o convinta, nel corso di numerosi colloqui riservati che hanno scandito la maratona negoziale di 12 ore che ha tenuto corso in Lussemburgo. Con un risvolto significativo: si spezza, infatti, il consorzio Meloni-Orban, con l’Italia che si defila dall’opposizione di Ungheria e Polonia, unici due Stati a votare contro la risoluzione (astenuti Malta, Lussemburgo, Bulgaria e Lituania).

Votazione che sarebbe passata anche senza il consenso dell’Italia in quanto era sufficiente una maggioranza dei due terzi e rende quindi più significativa ancora l’approvazione delle misure.

Il mandato negoziale raggiunto sotto la presidenza di turno svedese e definito «storico» dalla commissaria Ylva Johansson dovrà ora arrivare all’organo legislativo europeo, ovvero il Parlamento, ma si tratta già di un passo in avanti notevole. L’accordo rivisita i due principali regolamenti del Patto per le migrazioni e l’asilo, ovvero la revisione delle procedura d’asilo (Apr) e la gestione dell’asilo e della migrazione (Ammr).

Le novità sono numerose. Si comincerà con la definizione di «una procedura comune in tutta l’Ue per concedere o revocare la protezione internazionale e per stabilire rapidamente alle frontiere chi può avere l’asilo e chi no» [LaRepubblica]. In secondo luogo è fondamentale snellire l’iter burocratico che spesso viene utilizzato come fortezza difensiva: le domande di asilo dovranno dunque essere vagliate entro 3 mesi (12 settimane).

Dovrà essere introdotta una quota annuale di ripartizioni in ogni Stato Membro sulla base di una formula che tenga conto di Pil e numero della popolazione. Nell’ottica di un superamento dei regolamenti di Dublino–che restano comunque in vigore– in favore dei Paesi di “primo ingresso” verrà messo a punto un dispositivo per alleviare lo sforzo in caso di boom di arrivi, consentendo al Paese interessato di applicare misure eccezionali.

Quest’ultimo è stato uno dei passaggi più ardui della trattativa, in particolare nel confronto italo-germanico: non sul merito del funzionamento bensì nella sua definizione. Il meccanismo infatti prevede la possibilità di espellere, rimpatriando, i migranti in paesi terzi diversi da quelli di origine, purché essi abbiano una connessione di qualche tipo con la persona interessata.

Come riporta SkyTg24: «Per poter rimpatriare un migrante in un Paese di transito, o comunque non in quello di origine, lo Stato “deve rispondere a tutti i criteri di ‘Paese terzo sicuro’ e ci deve essere una connessione tra la persona e questo Paese”, ha detto anche la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson. “In alternativa, serve il consenso della persona” al trasferimento. “Saranno gli Stati membri a stabilire se esiste una connessione, ma deve esserci. Il testo cita esempi: se la persona ha vissuto o ha membri della famiglia nel Paese. Ma possono esserci altre possibilità”».

Un’ulteriore cantiere aperto di lavoro riguarda il funzionamento delle famigerate SAR, le zone search and rescue: d’ora in avanti la responsabilità del Paese “salvatore” passerà da 24 a 12 mesi.

Infine, si è deciso di apportare un catino di 30mila ricollocamenti l’anno con la possibilità per i Paesi che non vogliono farsi carico della ricollocazione di esimersi dall’obbligo a fronte di un pagamento di 20.000 euro per ciascun individuo rifiutato.

I fondi, specifica, il Ministro Piantedosi al Corriere della Sera, andranno ad alimentare un fondo «appositamente istituito e gestito dalla Commissione Ue per realizzare progetti di quella cosiddetta dimensione esterna che per la prima volta viene concretizzata in atti dell’Ue e su cui ha sempre fatto pressione il governo Meloni da quando si è insediato in tutte le sedi possibili».

 

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