Palestrina
Dizionario Opera

Palestrina (1917)

La genesi di Palestrina fu lunga e difficile, ma condusse il compositore a un risultato magistrale, a un’opera teatrale fra le più significative del primo Novecento.

Pfitzner aveva cominciato ad accarezzare il progetto di un lavoro imperniato sulla figura di Palestrina da quando aveva letto l’importante e monumentale Geschichte der Musik (Storia della musica, 1862-’82) di August Wilhelm Ambros, che le dedicava ampio spazio, soffermandosi in particolare sulla leggenda del ‘salvataggio’ della musica polifonica operato dall’artista rinascimentale.

Siegfried Lorenz, Peter Schreier, Otmar Suitner, Chor der Deutschen  Staatsoper Berlin - Palestrina - Amazon.com Music

Pfitzner studiò anche altre fonti, approfondì l’argomento, ma a tempo stesso si convinse del fondamento storico che aveva originato l’aneddoto della Missa Papae Marcelli . Deciso a incentrare su questo episodio storico-musicale la sua nuova fatica per il teatro, si rivolse a diversi amici e letterati per ottenere da loro un libretto adatto; ormai, però, aveva idee troppo precise sulla struttura da dare alla vicenda, e nessun intervento altrui poté più soddisfarlo.

Fu così che negli ultimi mesi del 1909 stilò i primi appunti, e proseguì nella stesura del testo fino all’agosto 1910, senza più ricorrere ad ausilii esterni. Quando, nel giugno 1915, fu ultimata anche la partitura, erano trascorsi circa quindici anni dai primi abbozzi del progetto, e ne sarebbero dovuti trascorrere altri due prima di vedere l’opera sulle scene, diretta da Bruno Walter.

Palestrina (opera) - Wikipedia

Atto primo . 1563: si stanno concludendo i lavori del Concilio di Trento. In casa di Palestrina, a Roma, il giovane Silla è ansioso di partire per Firenze, verso gli orizzonti inesplorati del canto solistico, e non si sente più attratto dalle antiche polifonie. Mentre fa ascoltare a Ighino una sua composizione, entra Palestrina con il cardinale Borromeo: quest’ultimo deplora le note lascive che disonorano la casa dell’anziano musicista.

Usciti i due giovani, supplica Palestrina di scrivere una messa, con cui testimoniare davanti ai padri conciliari la dignità artistica e spirituale del patrimonio polifonico, che molti di loro vorrebbero condannare alle fiamme. Palestrina però ricusa il contributo, con una fermezza che fa adirare Borromeo; rimasto solo, il compositore sfoga il suo dolore per la rottura dell’amicizia con il cardinale e deplora l’angosciosa solitudine cui l’uomo è condannato, l’inutile affannarsi che non produce alcun frutto.

Intorno a lui risplendono però nove apparizioni, anime di antichi polifonisti venute a sollecitargli la creazione di un capolavoro con cui possa adempiere alla sua missione terrena; un coro di angeli suggerisce al vecchio maestro l’idea per la messa richiesta, e quando Silla e Ighino entrano nella stanza il mattino dopo, trovano Palestrina addormentato e lo scrittoio cosparso di fogli ormai completati.

Atto secondo . Trento. I cardinali discutono animatamente, gli uni decisi a chiudere celermente i lavori del Concilio, gli altri (soprattutto gli spagnoli, più intransigenti) altrettanto irremovibili nell’esigere l’esame rigoroso di tutti gli articoli.

Morone apre la seduta, ma si vede ben presto costretto ad aggiornarla, visto l’inasprirsi dei contrasti fra i vari partiti; i servitori spagnoli si fanno incontro minacciosi a quelli italiani e tedeschi, per vendicare l’affronto patito dai loro padroni: nasce una rissa generale, drasticamente interrotta dall’arrivo del cardinale Madruscht, che ordina di sparare sui litiganti e di condurre i superstiti al patibolo.

Atto terzo . In casa di Palestrina. Il compositore è stato incarcerato da Borromeo, il giorno successivo il loro colloquio, per cercare di ottenere da lui, con la forza, ciò che non si era ottenuto con le preghiere. Mentre il maestro sonnecchia, i padri conciliari stanno ascoltando (così ci informa Ighino) la nuova creazione, da cui dipende il futuro della tradizione polifonica sacra; ben presto giungono i primi cantori a rendere omaggio al musicista, che si alza poi per ricevere il papa in persona, venuto a benedirlo.

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Piangendo, Borromeo invoca il perdono dell’amico ingiustamente angariato, ma questi lo abbraccia affettuosamente; l’opera si chiude sul quadretto di Palestrina seduto all’organo, immerso profondamente nei suoi pensieri, indifferente ai clamori osannanti che salgono dalla strada.

Nella figura di Palestrina Pfitzner adombra il proprio dramma personale, di artista testimone della frantumazione di un mondo prossimo a estinguersi; decadentismo e classicità si fondono nella filigrana simbolica della Missa Papae Marcelli , scrigno e usbergo della tradizione antica, ma anche suo estremo e affettuoso epitaffio.

Ostile alla ‘Neue Musik’, allarmato dai fermenti innovativi di stampo futuristico, non passatista, ma intimamente legato a un universo di valori estetici di cui non poteva che constatare l’inarrestabile declino, Pfitzner si sente custode del passato e, come tale, partecipe spiritualmente di un travaglio analogo a quello che immagina aver tormentato Palestrina, ultimo erede di un mondo rinascimentale sull’orlo del collasso, impotente a trattenere l’ascesa della nuova arte patrocinata dalla Camerata fiorentina dei Bardi.

Indubbiamente non viene trascurato l’aspetto doloroso del rapporto fra artista e società, individuo e massa; ma Pfitzner (che nei suoi scritti è prodigo di informazioni riguardo alla genesi e all’ermeneutica di Palestrina ) insistette nel ribadire che non risiede qui il significato nodale dell’opera. Fondamentale è piuttosto il contrasto fra eternità e transitorietà: Palestrina è un uomo stanco della vita e deluso dall’arte, con cui un tempo aveva sperato di innalzare un monumento aere perennius , che ora vede invece già roso dalla fuga del tempo e dalla mutevolezza dei costumi.

L’idea del suicidio, contemplata dal compositore dopo la sortita precipitosa del cardinale incollerito, non è che nostalgia di eternità; e il vero apice dell’opera coincide con il congedo finale (come spiegato da Pfitzner), quando Palestrina si riaccosta al suo organo, ripiegandosi pensosamente su se stesso, ormai dimentico del mondo esteriore e della sua gloria effimera.

Questo è il senso del messaggio dall’al di là che suggella il primo atto: non una generica immaginetta da ex voto, ma un barlume di infinito venuto a sostenere il creatore che tenta l’impossibile trapianto ‘dell’eterno nella temporalità’; accanto a questo sentimento di desolata impotenza, tuttavia, si rivendica anche, coraggiosamente, l’autonomia dell’artista, che non si lascia costringere da alcuna imposizione e non si piega di fronte agli obblighi imposti dalla committenza.

Il secondo atto abbandona, per così dire, il protagonista e inquadra una seduta del Concilio di Trento; già nel primo atto Pfitzner ha mostrato una mano duttilissima nel trattamento vocale, dalla canzone libera di Silla alla tenerezza liederistica di Ighino, fino all’austerità sofferta di Carlo Borromeo; ma il ritratto dei padri conciliari è veramente un capolavoro di sfumature, si direbbe quasi miniature, con cui ogni personaggio acquista in poche pennellate essenziali una fisionomia ben individuata.

Il cerimoniere Severolus è caratterizzato da una compunzione affettata, che si addice al suo ruolo; Madruscht è severo e accigliato, come il suo timbro di basso profondo; il vescovo di Budoja è una sagoma di burlone, che spicca nel rigore generale per le sue sortite impertinenti; il patriarca di Assiria è caratterizzato da volute esotiche, un poco incongrue alla sua vecchiaia cadente, ma molto pittoresche (e pittoresco è anche il personaggio, così avanti negli anni da addormentarsi mentre parla, e per giunta proprio nel momento in cui pronuncia il nome di Palestrina).

Pfitzner si era documentato con molta serietà sugli episodi trattati, studiandosi addirittura l’ Historia del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi; e la naturalezza con cui maneggia questo atto, ampio e denso di particolari, comprova l’immedesimazione raggiunta in una materia certo non facile da musicare. Nella partitura emergono armonie arcaiche, atte a ricreare l’atmosfera dell’epoca rinascimentale, ma in questo caso non si può parlare di neoclassicismo; o meglio, non si può limitare l’esegesi a questa formulazione riduttiva.

La base armonica infatti tende a un limbo di formazione aurorale, ancora sospeso fra modalità e tonalità, e spesso così intriso di durezze da apparire, paradossalmente, moderno. Pfitzner non scrive un’apologia del passato, ma affronta le lacerazioni del proprio tempo rileggendo in chiave simbolica la vicenda antica: quasi un vichiano ricorso storico. Il dramma dell’artista che vede la propria poetica crollare di fronte all’affermarsi di nuove tendenze non viene affrontato con il tono dimesso della rinuncia, né con la spavalda sicumera di chi non vuole riconoscere i limiti umani.

Lo sforzo generoso di autodominio con cui Palestrina accetta di scrivere la nuova messa non è certo un messaggio disfattista: anzi, sembra vincere un iniziale, latente decadentismo in favore di una virile malinconia, che riesce comunque a riacquistare la fede nei suoi antichi ideali.

Type:

Leggenda musicale in tre atti

Author:

Hans Pfitzner (1869-1949)

Subject:

libretto proprio

First:

Monaco, Prinzregententheater, 12 giugno 1917

Cast:

Pio IV, pontefice (B); Giovanni Morone (Bar) e Bernardo Novagerio (T), suoi legati cardinalizi; Christoph Madruscht, cardinale e principe-vescovo di Trento (B); Carlo Borromeo, cardinale romano (Bar); cardinale von Lothringen (B); Abdisu, patriarca di Ass

Signature:

e.f.

Conclusione: La genesi di Palestrina fu lunga e difficile, ma condusse il compositore a un risultato magistrale, a un’opera teatrale fra le più significative del primo Novecento.

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