Paradise city: l'architettura si piega a MVRDV
Architettura,  Arte

Paradise city: l’architettura si piega a Mvrdv

Come disse Axl Rose nell’omonimo brano-icona della band hard rock Guns ‘n Roses:

“I’m a hard case that’s tough to beat.”-“Sono un caso difficile, duro da risolvere.” È proprio così quando si vuole trattare di Paradise City dello studio MVRDV, il quale non senza rischi ha voluto ideare quello che forse è uno degli edifici più iconici ed emblematici del XXI secolo.

Paradise City – MVRDV

La struttura ha visto il suo completarsi proprio nel corso di quest’anno ed è sorta nei pressi dell’aeroporto di Incheon, a meno di un chilometro dalla metropoli di Seoul. In realtà tutto il distretto si dispiega in 6 edifici in totale, di cui quello in questione è denominato The Imprint. Il nome rimanda alle modalità con cui la facciata è stata realizzata: abbiamo infatti un diffuso utilizzo della tecnica di stampa 3D, impiegata per la realizzazione di tutti i 3.869 pannelli, alcuni pezzi unici appositamente disegnati.

Arte, architettura, entrambe?

“Due mesi fa, quando la maggior parte del rivestimento era già stata eseguita, il cliente ha detto: questa è un’opera d’arte. La cosa interessante di questo progetto è che l’intrattenimento può trasformarsi in arte e l’edificio può diventare esso stesso arte. Qual è allora la differenza tra architettura e arte? Il progetto gioca proprio su questa dualità.”

Queste le parole di Winy Maas, uno dei fondatori di MVRDV. Osservando la fluidità di The Imprint, viene quasi spontaneo rifugiarsi nell’altrettanto rivoluzionaria immagine degli orologi di Salvador Dalì, dove appunto un oggetto comunemente solido viene snaturato e trasposto a consistenza liquida. Paragone altrettanto coerente è quello che ci suggerisce lo stesso Maas, che identifica un’analogia tra la fissità metafisica delle città dipinte da De Chirico e l’apparente surrealtà di Paradise City. La vena di spettacolarità è quindi molto presente e porta a pensare che si possa trattare più di una “scultura visitabile”, che di una mera opera architettonica. Per Paradise City riproponiamo quindi la fatidica domanda: Qual è il confine tra arte e architettura? È un quesito complessissimo (non solo in ambito architettonico) da risolvere, di cui ognuno di noi probabilmente coglierà mille diverse interpretazioni. Lasciamo quindi a voi, oltre che alla domanda, la risposta.

Analisi del progetto

Il complesso offre una serie di servizi d’intrattenimento e alloggio, nello specifico questo si divide in due anime: un nightclub e un “theme park” interno alla struttura, collegati da una corte interna. La sfida probabilmente più grande è stata la precisa richiesta progettuale di realizzare un edificio che non presentasse finestre, sorge quindi spontanea un’altra domanda: È possibile ideare una facciata espressiva e in dialogo con ciò che la circonda, sebbene questa sia priva di finestre? È così che vediamo comparire quelle che potremmo definire delle increspature, delle sorte di sipari che permettono ai più curiosi di “sbirciare” e vedere cosa c’è dall’altra parte, stabilendo così una relazione tra le categorie semantiche e spaziali dentro-fuori, aperto-chiuso, accessibile-inaccessibile. In generale, l’andamento di tutto il sistema è una sorta di compenetrazione tra presenze monolitiche e ondivaghe, a ribadire anche il senso di mistero che avvolge l’osservatore che ci si trovi di fronte.

Rapporto forma-funzione, colore

Non c’è dubbio che Louis Sullivan non sbagliò quando affermò che in architettura “La forma segue la funzione”. Il precetto non sembra essere più vero che in un contesto come quello in analisi. Specialmente per quanto riguarda l’area dedicata al nightclub, si può dedurre che la sinuosità delle fogge e l’impermeabilità visiva della facciata rimandi, appunto, alla sua reale funzione.

Il nightclub è per definizione un locale notturno, all’interno del quale la luce è soffusa, gli sguardi intensi e la musica inebriante. Qui, infatti, gli sguardi esterni e/o indesiderati sono resi ciechi e il bagliore viene relegato all’esterno. Non a caso a quest’angolo è stato assegnato il colore oro, il quale proietta la luce all’esterno e per antonomasia è il più spettacolare, seducente e totalizzante tra i colori, una sorta d’invito a dare il via allo show.

Aspetti tecnici: materiali

La materialità del progetto non è trascurabile, poiché anche qui si nota una profonda ricerca ai fini della riuscita dell’opera. Sono stati usati infatti pannelli in cemento armato in fibra di vetro, verniciati e stampati in 3D, come detto in precedenza. Inoltre gli ingressi presentano soffitti a specchio e pavimenti in vetro.

Paradise city: l'architettura si piega a MVRDV
Lo studio di architettura MVRD progetta uno degli edifici più significativi del nostro tempo: Paradise City

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