Parsifal
Dizionario Opera

Parsifal (1882)

Parsifal: L’ultimo dramma musicale di Richard Wagner assume il valore di un’opera davvero summatica, per la ricchezza di simboli e l’intreccio di elementi filosofici, letterari e religiosi di cui si compone, e grazie ai quali si è posto come formidabile monumento per la cultura del decadentismo europeo.

Infatti con Parsifal si consuma definitivamente la spinta eroica e volontaristica del romanticismo germanico e si aprono per contro significative contaminazioni di elementi sensuali e perfino morbosi con l’attrazione fatale per il misticismo e l’ascesi, in una tensione spiritualistica che allude a un complesso di situazioni e figure che sembrano persino anticipare più d’un tema dell’imminente scuola psicoanalitica.

Alla base dell’imponente lavoro di Wagner sulle fonti letterarie, rimane il ruolo centrale del mito nella sua concezione estrema del Gesamtkunstwerk : l’assunzione di una simbologia mitica è lo strumento irrinunciabile per l’analisi psicologica di cui si fa portatore il modello di teatro wagneriano.

Stando a quanto egli stesso racconta nel Mein Leben , il primo accostamento del musicista alle leggende del Graal (la coppa miracolosa con cui Cristo avrebbe celebrato l’ultima cena e che poi avrebbe raccolto e conservato il suo sangue dalla croce) avvenne nell’estate del 1845, quando lesse il poema di Wolfram von Eschenbach in una versione in tedesco moderno, nonché l’epopea di Lohengrin curata dal Görres (ma già due anni prima, nel lavoro sinfonico-corale Das Liebesmahl der Apostel, L’agàpe degli apostoli, s’incontrano notevoli anticipazioni del Parsifal ).

Il primo frutto di quell’interessamento ai poemi cavallereschi medioevali si realizzò proprio nella composizione di Lohengrin , nato cinque anni dopo, nel 1850. Come vedremo, innumerevoli materiali musicali e poetici di questa, che è l’ultima ‘opera lirica’ nel senso tradizionale del termine scritta da Wagner, confluiranno e si svilupperanno nell’estremo Parsifal . Infatti, così com’era accaduto per il ciclo dei Nibelunghi, iniziato dalla cellula del Siegfrieds Tod e quindi ripercorso a ritroso fino a quella sorta di ‘prologo in cielo’ che è il Rheingold, anche Parsifal è in un certo senso l’antefatto del Lohengrin : il cavaliere del cigno altri non è che il figlio dell’eroe del Graal, del «reine Tor», del «puro folle».

Quando, alla fine dell’opera, Lohengrin palesa a tutti il suo nome, la sua stirpe e la sua provenienza, dà una descrizione del misterioso castello di Monsalvat, residenza dei cavalieri del Graal, e descrive la potenza mistica della santa coppa, indicando in Parsifal, suo padre, il custode regale di quel tesoro: «Dal Graal fui io dunque presso di voi mandato: Parsifal mio padre ne porta la corona, e suo cavaliere io sono – chiamato Lohengrin».

Parzival , il poema di circa 25.000 versi, fu scritto da Wolfram von Eschenbach verso il 1210 in medio-alto tedesco; si basa a sua volta sul Perceval di Chrétien de Troyes, del quale risulta tuttavia una versione più spirituale e cristiana. Nel 1854, durante la stesura del poema di Tristan und Isolde , il personaggio di Wolfram si riaffacciò nei progetti di Wagner, che meditò persino di far intervenire il cavaliere del Graal come salvatore nell’ultimo atto del dramma, a conforto di Tristano mortalmente ferito; è d’altronde evidente il rapporto di somiglianza fra la ferita di quest’ultimo e la piaga di Amfortas.

L’idea di scrivere un poema drammatico sull’eroe di Wolfram sarebbe maturata infine nel 1857, ed esattamente il giorno del venerdì santo, sempre se si presta fede all’autobiografia (che è in molti casi agiografia) del musicista. L’abbozzo fu completato nel 1865, e la stesura definitiva dei versi dovette però aspettare la realizzazione dell’ Anello del nibelungo , rappresentato nel 1876; l’anno successivo, in aprile, la poesia di Parsifal era terminata, e in dicembre veniva pubblicata dall’editore Schott.

Quanto alla musica, Wagner iniziò la composizione nell’agosto del 1877, e portò a termine la partitura nel gennaio 1882. La prima rappresentazione al Festival di Bayreuth fu diretta da Hermann Levi, e così le quindici repliche successive: è noto che, nel corso dell’ultima recita, Wagner salì sul podio del golfo mistico e, strappata la bacchetta a Levi, diresse personalmente il terzo atto del suo dramma.

Per molti anni Bayreuth mantenne l’esclusiva assoluta del Parsifal , riproponendo sempre l’allestimento originale del 1882. Quando infine la partitura, dal 1914, poté circolare anche negli altri teatri di tutto il mondo, iniziarono anche le prime riletture registiche, e si moltiplicarono le interpretazioni musicali a opera dei maggiori direttori d’orchestra. Dopo le storiche esecuzioni di Richard Strauss, Toscanini, Furtw&aulm;ngler, Walter, il secondo dopoguerra ha visto a Bayreuth per molti anni in Hans Knappertsbusch il sacerdote per eccellenza dei riti del Graal, dal 1951 al 1962.

Una vera e propria rivoluzione interpretativa rispetto alla grande tradizione è giunta con la lettura analitica e novecentesca di Pierre Boulez, ma certo l’edizione di riferimento di questi due ultimi decenni è legata al nome di Herbert von Karajan e ai suoi allestimenti salisburghesi.

Atto primo . Il lungo tema in lente sincopi del preludio, che apre la partitura (motivo ‘della cena’ o ‘dell’agàpe’), contiene a sua volta tre elementi melodici, la chiave tematica dell’intero dramma: sono i motivi dell’amore, della ferita e della lancia, legati l’uno all’altro senza soluzione di continuità.

Altri due motivi completano la presentazione tematica: dapprima il solenne corale del Graal (che è poi l’Amen di Dresda di Lutero, già utilizzato da Mendelssohn nella Sinfonia ‘La Riforma’) e successivamente il motivo della fede, sul quale si sviluppa tutta la parte centrale dell’introduzione sinfonica. Presentando al re Luigi II di Baviera il preludio del Parsifal, Wagner stese una traccia contenutistica che succintamente riportiamo: «Amore – Fede – Speranza? Primo tema: Amore . ‘Prendete il mio corpo, prendete il mio sangue’.

Secondo tema: Fede. Promessa di redenzione per Fede. Salda e risoluta la Fede si manifesta, esaltata, incrollabile anche nella sofferenza. (…) Ma ancora una volta, dall’impaurita solitudine, palpita il lamento della pietà d’amore: il corpo si fa esangue, il sangue sgorga e risplende con celeste benedizione nel Calice, riversando la grazia della redenzione su tutto ciò che vive e soffre. Siamo preparati ad Amfortas, il peccatore custode della santa reliquia, che torturato dal pentimento trema dinanzi al divino castigo che la vista del Graal risplendente porta con sé: potrà trovar redenzione l’angoscia che gli divora l’animo? Ancora una volta udiamo la promessa; e – speriamo !».

La grande pagina rappresenta insomma i contrafforti della religione, Fede-Speranza-Carità (Amore), le tre virtù teologali intorno alle quali si muove la vicenda simbolica e mistica di Parsifal.

Nel dominio del Graal, in una foresta di fronte a un lago, sul far del giorno Gurnemanz, anziano cavaliere del Graal, desta due scudieri e li invita alla preghiera del mattino. Si attende il re Amfortas che, malato per una ferita insanabile, deve essere portato al bagno ristoratore in una lettiga. Irrompe selvaggia Kundry, misteriosa creatura che espia nella sua doppia natura di peccatrice e penitente l’antica colpa di aver deriso il Cristo.

Ella reca un balsamo d’Arabia per lenire le sofferenze di Amfortas, re del Graal, che viene introdotto da un corteo di cavalieri: Amfortas aspetta l’unico che lo potrà salvare, colui che «è sapiente per compassione», il «puro folle» (“Durch Mitleid wissend der reine Tor”); il re ringrazia Kundry per il dono e si fa condurre al lago. Gli scudieri diffidano di Kundry, che credono una maga; Gurnemanz la difende, perché ha sempre servito fedelmente i cavalieri. Il vecchio custode del Graal le chiede dove si fosse allontanata, quel giorno in cui Amfortas tornò al castello senza la sacra lancia dell’ordine e ferito in modo insanabile.

Interrogato dai giovani scudieri, Gurnemanz racconta le vicende del Graal (“Titurel, der fromme Held”): Titurel, padre di Amfortas, ricevette in custodia dagli angeli le sacre reliquie della Passione, la coppa della cena e la lancia con cui Longino aveva trapassato il costato del Salvatore. Per conservare i preziosi oggetti, il re costruì un santuario, il castello di Monsalvat. Una schiera di puri si pose al servizio del Graal, ricevendo forza dalla sacra coppa per «auguste opere di salvezza». Escluso dall’ordine dei cavalieri, il mago Klingsor cercò di espiare i propri peccati estirpandone la radice ed evirandosi.

Dal folle gesto nacque per incantesimo demoniaco il suo giardino delle delizie, luogo popolato da seducenti creature femminili, che hanno il compito di piegare al peccato la purezza dei cavalieri e portare alla perdizione l’ordine del Graal. Già molti cavalieri si sono macchiati di colpe carnali nel giardino di Klingsor, e fra questi lo stesso erede di Titurel, Amfortas, che proprio cedendo alle lusinghe delle seduttrici ha perduto la sacra lancia: finita in mano a Klingsor, essa ha prodotto sul costato di Amfortas la ferita che mai si rimargina.

Da allora è segnata la decadenza del Graal, il cui potere Klingsor s’appresta a distruggere. In preghiera di fronte alla coppa della salvezza, Amfortas ha però ricevuto una profezia: la lancia sarà recuperata da un puro folle, sapiente per la cognizione del dolore altrui. Si odono grida provenienti dal lago: uno dei sacri cigni è stato mortalmente colpito da una freccia, e il colpevole del gesto sacrilego è un ragazzo, Parsifal, del tutto sprovveduto. Gurnemanz rimprovera lo sconosciuto giovane e cerca d’ispirargli pietà per il povero animale.

Interrogato, Parsifal risponde di non sapere nulla, d’ignorare chi sia suo padre e persino il proprio nome; sa solo che sua madre si chiama Herzeleide (‘Dolor di cuore’) e d’aver sempre abitato nella selva. Kundry sa invece molte cose di quel misterioso ragazzo: egli è figlio di Gamuret, ed è cresciuto in una folle solitudine, che però l’ha fortificato. Dice poi a Parsifal che sua madre è morta e, colto da un raptus di violenza, il ragazzo afferra Kundry per la gola, ma viene immediatamente fermato da Gurnemanz.

Kundry fugge nella foresta, e il vecchio cavaliere decide di portare con sé Parsifal al castello: se è puro, il Graal lo nutrirà nello spirito. «Cos’è il Graal?», chiede allora Parsifal, e Gurnemanz gli risponde che lo potrà scoprire da solo, confidando che questo ragazzo sperduto possa essere il «puro folle» dell’oracolo. S’incamminano, e Gurnemanz avverte Parsifal che «spazio qui diventa il tempo» (“zum Raum hier wird die Zeit”).

Segue un interludio sinfonico, durante il quale la scena si trasferisce nell’interno del santuario, una grande sala con cupola da cui penetra la luce, inondata dal suono di campane. Giunto col ragazzo nel luogo dell’agàpe fraterna, Gurnemanz lo invita a osservare: il corteo dei cavalieri e i cori mistici dei fanciulli introducono al rito dello scoprimento del Graal (coro dei cavalieri “Zum letzten Liebesmahle”); Amfortas viene portato sulla lettiga, e la voce del vecchio re Titurel, quasi proveniente dalla tomba, invita il figlio a procedere al rito.

Con straziante riluttanza, Amfortas cerca di sottrarsi al compito: la ferita insanabile gli ricorda la sua condizione d’impuro, tragicamente costretto a essere ministro del più sacro fra gli uffici (lamento di Amfortas: “Wehvolles Erbe, dem ich verfallen”). Il coro di fanciulli e adolescenti ricorda le parole dell’oracolo di salvezza, e il rito finalmente procede con lo scoprimento del Graal, sul canto estatico delle parole dell’ultima cena (coro “Nehmet hin meinen Leib”).

Terminata l’agàpe, i cavalieri si ritirano e Parsifal, colpito dalle sofferenze di Amfortas, si porta la mano al cuore, restando immobile e come stralunato. Gurnemanz si adira col ragazzo, per la sua apparente imperturbabilità di fronte al miracolo del Graal, e lo caccia dal santuario: «Lascia i cigni in pace, e cercati, papero, la tua oca!». Ma una voce dall’alto ricorda ancora una volta le parole della salvezza: «Per compassione sapiente, il puro folle!».

Atto secondo . Nel suo castello incantato, il mago Klingsor attende l’arrivo di Parsifal e ne prepara l’annientamento (“Die Zeit ist da”); a questo fine evoca Kundry, primordiale creatura d’inferno, che già a suo tempo sedusse e portò alla rovina Amfortas. La donna recalcitra all’idea di mettersi ancora a servizio delle opere malvagie di Klingsor, ma poi cede e s’appresta a una nuova opera di dannazione.

La torre del mago scompare e al suo posto si materializza il giardino delle delizie, ricco di fiori esotici. Entra Parsifal, stupito, e subito è circondato dalle fanciulle-fiore, che iniziano a sedurlo con mosse e parole lubriche. Nasce una gara fra le fanciulle per accaparrarsi le grazie del ragazzo («Komm! komm! holder Knabe!»), interrotta dall’apparizione improvvisa di Kundry, che per la prima volta chiama Parsifal col suo nome. A quel suono, il ragazzo ricorda d’essersi sentito chiamare in quel medesimo modo dalla madre.

Le fanciulle lasciano il campo, e Kundry spiega l’origine di quel nome (secondo una discutibile etimologia indiana, che Wagner fa propria): parsi equivale a ‘puro’, fal a ‘folle’; così lo chiamò suo padre Gamuret. Rievoca poi l’infanzia di Parsifal, l’amore della madre Herzeleide e la sua morte prematura, con strazio del ragazzo.

Subdolamente, la donna gli offre il suo amore al posto di quello della madre, e lo bacia sulla bocca; con un sobbalzo, Parsifal si divincola da quella stretta sensuale e sente bruciare sul proprio corpo la ferita di Amfortas, provocata da una seduzione simile.

In lui rivive il dolore del re, la scena del suo tormento di fronte alla sacra coppa: la forza demoniaca del bacio di Kundry gli ha aperto finalmente gli occhi e la mente, e attraverso la compassione egli è divenuto sapiente (“Amfortas! Die Wunde! die Wunde!”). S’inginocchia e invoca il Redentore, assumendo su di sé la colpa di Amfortas. Così rivive la caduta del re, la sua seduzione, e trova la forza di respingere Kundry, la corruttrice, che cerca di giustificarsi con lui narrandogli la propria maledizione, iniziata nel tempo lontano in cui osò deridere Cristo mentre saliva al calvario.

Ma la repulsione di Parsifal nei suoi confronti è irremovibile: Kundry invoca l’aiuto di Klingsor, che sopraggiunge per colpire Parsifal con la sacra lancia. Miracolosamente, l’arma si ferma a mezz’aria sopra la testa del ragazzo, divenuto uomo: Parsifal la brandisce e traccia nell’aria un segno di croce. A quel gesto il giardino inaridisce, il castello di Klingsor crolla e Kundry s’abbatte al suolo con un grido. Prima di abbandonare la scena, Parsifal si volge a lei e le dice: «Tu sai dove potrai ritrovarmi».

Atto terzo . Nel dominio del Graal, presso una fonte su un ameno prato fiorito, il vecchio Gurnemanz ode un sordo lamento e scopre Kundry, irrigidita, seminascosta nella macchia: le uniche parole che è in grado di pronunciare sono «servire… servire».

Gurnemanz la conforta e poi si meraviglia nel veder giungere, in completo assetto d’armi, un cavaliere, il cui volto è celato dall’elmo. Salutato dal vecchio, Parsifal non risponde e pianta in terra la lancia, inginocchiandosi in preghiera di fronte a essa; s’è tolto elmo e scudo, e Gurnemanz finalmente lo riconosce, così come riconosce la sacra lancia del Graal. Parsifal gli racconta del suo pellegrinaggio e del suo dolore, e Gurnemanz lo aggiorna sull’irrimediabile decadenza dell’ordine dei cavalieri.

L’eroe si accusa di quelle sofferenze, e Kundry gli lava i piedi alla fonte, asciugandoli coi propri capelli, come la Maddalena fece con Cristo. Quindi Gurnemanz unge Parsifal re del Graal: il suo primo gesto è quello di battezzare Kundry, mentre la natura sembra rispondere in tutto il suo splendore ai miracoli di quel giorno, il venerdì santo (‘Incantesimo del venerdì santo’).

L’uomo, redento dal sangue di Cristo, trova nella natura uno specchio alla sua rigenerazione. Gurnemanz conduce quindi Parsifal nel santuario: in quel giorno, Amfortas celebrerà per l’ultima volta il rito, in occasione del funerale di Titurel; egli si accusa della morte del padre, e anela disperatamente alla morte, pregando i suoi cavalieri di trafiggerlo con le loro spade.

È invece Parsifal che, non visto, s’appressa a lui e lo tocca con la sacra lancia: la ferita si rimargina, fra lo sbigottimento generale, e Parsifal, nella sua nuova veste di re, ordina che si proceda allo scoprimento della coppa, finalmente liberata da ogni impuro sortilegio. Di fronte al raggiante splendore del Graal, e al giungere dall’alto d’una bianca colomba che s’arresta sul capo di Parsifal, tutti ringraziano e proclamano «Erlösung dem Erlöser!» (‘Redenzione al Redentore!’). Il simbolo della redenzione, la sacra coppa del sangue di Cristo, è stato finalmente redento.

Nel Parsifal si compie la sintesi suprema del concetto wagneriano di dramma musicale, e di tutte le figurazioni mitiche apparse e sviluppate nei lavori precedenti. Come Tannh&aulm;user, anche il redentore del Graal è posto di fronte alla scelta fra amor sacro e amor profano, ma a differenza di quello sceglie, evangelicamente, la parte migliore. Come Tristano, Amfortas si fa interprete d’un cupio dissolvi simboleggiato dalla ferita che non si rimargina, ovvero da un rapporto di negazione nei confronti del mondo e delle sue lusinghe false.

Il rifiuto del reale e del materiale, che a Wagner perviene dalla lettura del Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, trova nei significati dell’ultimo dramma la sua manifestazione artistica più lucida e chiara.

Infatti, se l’ Anello del nibelungo si chiudeva con un olocausto purificatore del mondo attaverso la forza dell’amore (il tema della redenzione d’amore è l’unico a sopravvivere in orchestra alle battute conclusive della Götterd&aulm;mmerung ), il Parsifal trasforma quella forza umana e pagana d’amore in evangelica charitas : l’amore vero, l’unica salvezza del genere umano e l’unica autentica forza redentrice è l’amore per il prossimo attraverso la compassione, cioè l’assunzione delle colpe e delle sofferenze altrui su se stessi.

La fuga dal mondo si compie quindi nella luce della fede e dell’ascesi, secondo una scelta finale che tiene però anche conto dell’interesse di Wagner per la spiritualità buddhista: un progetto mai realizzato di dramma, dal titolo I vincitori , avrebbe dovuto ispirarsi proprio a Siddharta, ed è innegabile che più d’un elemento di quella filosofia sia infine confluito nella materia altamente simbolica di Parsifal .

La scelta religiosa di Wagner fu, com’è noto, avversata e satireggiata dal suo ex sodale Friedrich Nietzsche, che vide nella «sacra rappresentazione» un tradimento degli ideali wagneriani autentici, da lui identificati nel virile e superomistico paganesimo nibelungico: «È tutto ciò ancora tedesco?», scrisse Nietzsche, «perché ciò che ascoltate è Roma, la fede di Roma».

La verità è che il personaggio di Parsifal altro non è che il superamento e la perfetta spiritualizzazione del suo predecessore Siegfried: il ‘puro folle’ è un ingenuo come il nordico eroe, ma quell’inconsapevolezza un po’ stolida e animalesca trova finalmente il suo superamento nella cognizione del dolore, e quindi in una dimensione d’umanità infinitamente superiore.

Peraltro, la ricchezza musicale del Parsifal è di natura squisitamente germanica: come già era accaduto in larga parte nei Meistersinger , la principale fonte d’ispirazione per Wagner sembra esser stato l’immenso patrimonio della musica luterana, e in particolare l’elaborazione del corale secondo l’eredità di Bach. L’estremo capolavoro racchiude anzi in sé un intero secolo di riscoperta dei grandi maestri barocchi tedeschi, quella linea di progressiva autocoscienza della nazione musicale germanica che dagli oratorî di Haydn porta al Fidelio e alla Nona Sinfonia di Beethoven, agli oratorî di Mendelssohn (ai quali, soprattutto, è debitore il Parsifal ), alle Faust-Szenen di Schumann, al Christus di Liszt e al Deutsches Requiem di Brahms.

Tuttavia, l’alleggerimento del cromatismo (che in Tristan era pervenuto a una vera esasperazione armonica) in favore di modalismi, di arcaismi e di una maggior trasparenza di scrittura, è da porre in relazione anche con le avvisaglie del movimento ceciliano in Germania, e in particolare con la riscoperta di Palestrina, il cui Stabat Mater era stato uno dei principali oggetti di studio per Wagner negli anni precedenti Parsifal .

Per contro il secondo atto, con le sue contorsioni drammatiche e la sua opulenza sensuale, fa da geniale contrasto alla materia statica e contemplativa dei due che l’incorniciano, e apre la strada alla sterminata diffusione del gusto floreale dei decenni tra Ottocento e Novecento. Grazie soprattutto alla sua ricchezza di simboli e alle meraviglie di un’orchestrazione incomparabilmente opulenta e dotata di sfumature, Parsifal fu un’ineludibile pietra miliare per tutti i musicisti vissuti alla fine del secolo scorso e al principio di questo.

Senza il simbolismo dell’ultimo dramma wagneriano sarebbe stato impossibile giungere al teatro del mistero di Pelléas et Mélisande , così come senza Kundry difficilmente si potrebbe immaginare Salome. Come ebbe a scrivere Debussy, «il Parsifal è uno dei più bei monumenti sonori che siano stati elevati alla gloria imperturbabile della musica».

Type:

Dramma sacro in tre atti

Author:

Richard Wagner (1813-1883)

Subject:

libretto proprio, da Parzival di Wolfram von Eschenbach

First:

Bayreuth, Festspielhaus, 26 luglio 1882

Cast:

Amfortas (Bar), Titurel (B), Gurnemanz (B), Parsifal (T), Klingsor (B), Kundry (S); cavalieri del Graal e scudieri, fanciulle incantatrici di Klingsor

Signature:

a.b.

Conclusione: Parsifal si consuma definitivamente la spinta eroica e volontaristica del romanticismo germanico e di elementi sensuali e perfino morbosi

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