Piramo e Tisbe
Dizionario Opera

Piramo e Tisbe (1768)

Nelle intenzioni del compositore, Piramo e Tisbe avrebbe dovuto coronare la sua straordinaria carriera operistica, come Hasse stesso confidò a un amico riferendogli del grande successo riscosso dal suo intermezzo tragico (e del proprio orgoglio di artista ben consapevole del valore di questa opera da camera).

Piramo e Tisbe - Wikipedia

Il lavoro prese origine da un’occasione minore: a 69 anni il compositore intonò a uso di tre interpreti dilettanti un pezzo di dimensioni contenute, scritto da uno degli stessi cantanti e commissionato da una seconda interprete. In verità, il librettista Marco Coltellini, poeta di un certo rilievo, concepì una forma drammatica singolare, assimilabile agli intermezzi comici per le proporzioni ridotte, ma di contenuto tragico.

Come soggetto venne scelta la favola ovidiana che Shakespeare aveva introdotto quale inserto metateatrale nel Midsummer Night’s Dream e che Parini avrebbe trattato nell’ Ode XVII (pubblicata nel 1791, l’ode narra l’epilogo funesto della vicenda). Solo in occasione di questo testo Hasse derogò alla consuetudine con la poesia di Metastasio, nel segno della quale avrebbe dato effettivamente l’addio al teatro, col ? Ruggiero , nel 1771.

Atto primo . L’amore tra Piramo e Tisbe è osteggiato per rancori familiari dal padre della ragazza, che le ingiunge di sposare un altro uomo. Ai due amanti non resta che la fuga.

Atto secondo . I fuggiaschi si sono dati appuntamento di notte, in un bosco. Mentre Tisbe attende l’amato, compare un feroce leone. Terrorizzata, la ragazza abbandona, scappando, un velo, che il leone imbratta con del sangue. Giunge finalmente Piramo, che trova la scena deserta.

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Riconosciuto il velo di Tisbe, teme che l’amata sia stata sbranata da una belva: disperato, si trafigge con un pugnale. Assicuratasi della partenza del leone, Tisbe ritorna sul posto, ma troppo tardi. Di fronte all’irreparabilità del suicidio dell’amato, anche la ragazza si toglie la vita. Da ultimo «entra il padre infuriato con seguito di gente armata»: sconvolto dalla tragedia, di cui indirettamente è il responsabile, «si uccide, e casca fra’ suoi».

Il commovente episodio ovidiano (che prelude con altrettanta efficacia tragica alle analoghe vicissitudini di Romeo e Giulietta) viene esaltato nella versione di Coltellini/Hasse da un meccanismo teatrale di grande coerenza.

La vicenda si sviluppa compatta attraverso una serie di simmetrie che ne potenziano il contenuto drammatico: il primo atto è riservato al contrasto irriducibile tra gli amanti e il padre di Tisbe (causa remota della tragedia) e si conclude con la decisione di fuggire. Il secondo atto, interamente ambientato nel bosco fatale, è scandito dall’entrata successiva dei diversi personaggi, attraverso una progressione inarrestabile del clima tragico.

L’evoluzione della vicenda è articolata attraverso una serie di pezzi chiusi anch’essa simmetrica ed egualmente distribuita nei due atti: quattro arie e tre duetti per gli amanti, oltre a due arie per il padre di Tisbe, che chiude l’opera con una grande scena di disperazione.

L’anziano compositore reagisce con fantasia inesausta alle sollecitazioni del testo, utilizzando con estrema raffinatezza tutti i dispositivi in suo potere. L’intermezzo è aperto da una sinfonia tripartita, il cui Molto allegro iniziale è introdotto però da un movimento Più tosto grave e maestoso: la dilatazione della consueta fanfara iniziale amplifica il ruolo di quell’aura di quieta, profonda grandezza winckelmanniana che spira egualmente nel Più tosto grave introduttivo (quasi un’anticipazione della marcia dei sacerdoti nella Zauberflöte mozartiana) e nel sereno, disteso Andantino seguente.

Questo tono sentimentale, congeniale al dono melodico di Hasse, si propaga dai movimenti lenti della sinfonia all’intero primo atto dell’intermezzo, associato a una scelta ben precisa di tempi (Larghetto, Andantino, Andante), di tonalità (mi bemolle, sol, la maggiore) e di strumentazione (talvolta assai raffinata, come quando corni, flauti, fagotti e ‘sordini’ sono impiegati per impreziosire l’‘arredo’ sonoro del duetto “Che mai temer potrei?”).

Se da un lato la vicenda viene dunque interpretata alla luce di questo polo amoroso/sentimentale (con un linguaggio che ricorda gli amanti dell’ Olimpiade metastasiana: il duetto di separazione con cui l’atto si chiude evoca alla memoria un luogo celebre di quel dramma, l’addio tra Megacle e Aristea “Ne’ giorni tuoi felici”, posto anch’esso in chiusura d’atto), d’altra parte, segnatamente nel secondo atto, la musica attinge a un livello tragico inaudito nella produzione di Hasse.

La fatale «notte con luna», ambientata in una preromantica «antica selva di cipressi con sepolcro di Nino e vasca di marmo bianco in cui si getta un fonte», carica di premonizioni, viene esperita dai protagonisti attraverso l’atmosfera sinistra creata da un’inconsueta, fitta trama di tonalità minori (do, sol, fa: sequenza resa ancora più spettrale dall’inatteso, lacerato duetto finale degli amanti, in si maggiore).

Il terrore che di volta in volta si impadronisce dei diversi personaggi viene potenziato da una scrittura orchestrale di grande suggestione (spesso con corni, flauti e oboi) e reso altamente drammatico dall’originalissima disposizione delle forme musicali.

L’intero secondo atto è agevolmente interpretabile come una sequenza fondamentalmente unitaria, in cui recitativi accompagnati, arie, pagine strumentali, un duetto e numerosi, rilevanti eventi scenici (il passaggio di un leone, una fuga e tre suicidi!) si succedono senza soluzione di continuità, dimostrando la straordinaria disponibilità del compositore verso un progetto drammaturgico moderno.

Ad esempio la prima scena, che vede Tisbe terrorizzata e sola, presenta nell’ordine un recitativo accompagnato, un’aria (in do minore), un secondo accompagnato, una seconda aria (in sol minore), un nuovo accompagnato che prepara l’arrivo della bestia feroce e da ultimo la «Sinfonia per la comparsa del leone» (in uno squillante re maggiore), finché l’arioso di Piramo “Che puro ciel”, una citazione gluckiana dall’ Orfeo , non segna l’ingresso, ancora senza soluzione di continuità, nella seconda scena.

Ciascuna delle arie citate è scritta nella forma grande col da capo , le cui sezioni interne vengono differenziate da Hasse anche attraverso indicazioni di tempo contrastanti, un espediente di intensificazione drammatica già impiegato con efficacia durante i recitativi accompagnati come quello di Piramo (“Ma le lucide gemme”).

Piramo e Tisbe - Wikipedia

Type:

Intermezzo tragico in due atti

Author:

Johann Adolph Hasse (1699-1783)

Subject:

libretto di Marco Coltellini, dalle Metamorfosi di Ovidio

First:

Vienna, (?), autunno 1768 (seconda versione: Vienna, palazzo Laxenburg, settembre 1770)

Cast:

Tisbe (S); Piramo, suo amato (S); il padre di Tisbe (T)

Signature:

r.m.

Conclusione: Nelle intenzioni del compositore, Piramo e Tisbe avrebbe dovuto coronare la sua straordinaria carriera operistica, come Hasse stesso confidò a un amico

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