Dizionario Arte

POP ART

Pop art

La Popart è un movimento che si basa sull’immaginario del consumismo e della cultura popolare. Parte dai tardi anni Cinquanta ai primi diffondendosi fino agli anni Settanta del XX secolo, principalmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Lawrence Alloway coniò il termine nel 1955. Fumetti, pubblicità, imballaggi e immagini tratte dalla televisione e dal cinema erano tutti parte dell’iconografia del movimento. La caratteristica della pop art sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna è quella di rifiutare ogni distinzione tra buon gusto e cattivo gusto.

La Pop art negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti la popart si considerava inizialmente come la reazione all’ espressionismo astratto. I suoi esponenti infatti si rifacevano a un immaginario figurativo e utilizzando le tecniche dell’ hard-edge. Si ritenne una derivazione del movimento dada (iper questo chiamata anche neodada) perché prendeva in giro la seriosità del mondo dell’arte e abbracciava l’uso o la riproduzione di oggetti quotidiani (strisce di fumetti, barattoli di minestra, segnali autostradali) con una metodologia che aveva delle affinità con i ready-made di Duchamp.
L’ispirazione più immediata, comunque, erano le opere di Jasper Johns e Robert Rauschenberg, che iniziarono entrambi a esercitare un impatto sulla scena artistica di New York verso la metà degli anni Cinquanta. Essi aprirono la via a una nuova e ampia gamma di soggetti: Johns con i suoi dipinti di bandiere, bersagli e numeri e le sue sculture di oggetti quali lattine di birra; Rauschenberg con i collage e i combine painting che incorporavano nell’opera bottiglie di Coca-Cola, uccelli impagliati e fotografie tratte da riviste e quotidiani.

Gli artisti pop preferivano generalmente tecniche commerciali

Mentre utilizzavano spesso soggetti simili, gli artisti pop preferivano generalmente tecniche commerciali rispetto ai metodi pittorici di Johns e Rauschenberg. Ne sono un esempio le stampe seriali di Andy Warhol, che raffigurano barattoli di minestra e altri prodotti. I dipinti di Roy Lichtenstein nello stile delle strisce di fumetti e le esuberanti pin-up di Mel Ramos. Claes Oldenburg, i cui soggetti includono coni di gelato e hamburger, fu il maggiore scultore pop. John Wilmerding (Pittura americana, 1976) scrive che la pop art “non può essere separata dall’apogeo di benessere e prosperità raggiunto nel periodo del secondo dopoguerra. L’America era diventata una vorace società consumistica che impacchettava l’arte così come gli altri prodotti, indulgendo nella manipolazione commerciale e celebrando l’esibizionismo, la promozione di sé e il successo immediato… L’orientamento mass-mediatico della pop art può essere ulteriormente legato al crescente conformismo in molti aspetti della vita della nazione, dai ristoranti ai dialetti regionali. Condivise da tutti gli americani erano le principali preoccupazioni della pop art -il sesso, l’automobile e il cibo”.

Anche in Gran Bretagna la pop art

Anche in Gran Bretagna la pop art trovò un terreno congeniale nell’appariscente prosperità che seguì l’austerità degli anni del dopoguerra. L’ Independent Group segnò la popart inglese. L’opera che spesso si cita come prima immagine pienamente pop si realizzò sotto i suoi auspici – il collage di Richard Hamilton “Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?” (1956, Kunsthalle, Tübingen). Tuttavia la pop art inglese produsse il primo forte impatto in occasione della mostra Young Contemporaries del 1961 (all’incirca lo stesso periodo in cui la pop americana diveniva una potenza). Tra gli artisti che presero parte a questa esposizione c’erano Derek Boshier, David Hockney, Allen Jones, R.B. Kitaj e Peter Phillips, che erano stati tutti studenti del Royal College of Art. Nello stesso anno la BBC proiettò il film di Ken Russell Pop Goes the Easel, in cui Peter Blake era uno degli artisti coinvolti.

Pop-art inglese vs. americana

Anche se sono presenti eccezioni (in particolare le sculture erotiche di Allen Jones), la pop art inglese fu meno esuberante di quella americana. Espresse una visione più romantica nella scelta dei soggetti, in un modo che oggi colpisce come una nota nostalgica. Gran parte dell’immaginario, d’altro canto, veniva direttamente dal mondo americano dei flipper e delle pin-up.
Richard Hamilton definì la pop art come “popolare, effimera, consumabile, a basso costo, prodotto di massa, giovane, spiritosa, sexy, ammiccante, affascinante e Big Business”. Costituì certamente un successo sul piano materiale, penetrando nel pubblico con la forza che pochi movimenti moderni possono vantare e attirando molti ricchi collezionisti. Molti critici la disprezzarono. Harold Rosenberg, per esempio, descrisse la pop “come un scherzo non divertente, ripetuto a oltranza finché non inizia a suonare come una minaccia… Arte pubblicitaria che pubblicizza se stessa come arte che odia la pubblicità”.

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