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Prima le persone, poi i numeri: Carlo Capasa sulla guerra e la moda italiana

La moda è un ponte tra nazioni e culture: l’intervista a Carlo Capasa sulle conseguenze della guerra sull’industria della moda

 

Concluso il Fashion Month, abbiamo intervistato Carlo Capasa, presidente della Camera della moda, per capire le posizioni del sistema moda italiano e l’impatto che inevitabilmente subirà a causa della guerra in Ucraina.

COME VEDE IL FUTURO DELLA MODA? 

Prima della guerra eravamo messi molto bene. Recuperati due terzi del fatturato perso nel 2021, le nostre proiezioni vedevano il 2022 come il 2019, se non con qualcosina in più. Dei 24 milioni persi, 16 erano stati recuperati. Questa guerra ha portato problemi che impatteranno inevitabilmente il settore, ma davanti a una tragedia di tali dimensioni, che sconvolge la vita di tante persone, i numeri sono l’ultima cosa che conta. Questo deve essere chiaro. L’industria affronterò si dei problemi, ma tutto viene dopo. La cosa principale sono le persone, ed occorre capire cosa fare. Per questo abbiamo lanciato una bellissima iniziativa con l’agenzia dei rifugiati Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees) grazie alla quale abbiamo già raccolto oltre 4 milioni di donazioni. Questo è il primo aspetto che conta, stiamo infatti lavorando ad altre iniziative. Già prima della guerra, attraverso un altro progetto, abbiamo formato e trovato lavoro a quindici rifugiati di guerra.

Quanto pesa la Russia nell’economia dell’industria della moda italiana? 

Per quanto riguarda il business, la Russia pesa circa un miliardo e mezzo, tra merce che spediamo e merce acquista da noi. L’ucraina pesa per altri 250/300 milioni, quindi un miliardo e otto di fatturato su circa cento miliardi che fa la moda. Non è il peso del 2% la preoccupazione maggiore. Ci sono altri aspetti che incideranno. Cosa succederà con il rincaro dell’energia? E la logistica? Sono aspetti che andranno ad incidere sul costo dei prodotti, non si sa di quanto ma sicuramente incideranno.

C’è poi il problema di aiutare quelle piccole/medie aziende che producono solo per la Russia. Occorre, come Stato Italiano, trovare dei fondi per sostenere questa realtà.

E PER QUANTO RIGUARDA LA DISTRIBUZIONE? QUAL É LA POSIZIONE DELLA MODA ITALIANA?  

Quasi tutti i brand che gestiscono la distribuzione direttamente hanno chiuso i negozi in Russia, per quelli che la gestiscono in maniera indiretta le cose cambiano. La soluzione adottata è quella di non vendere le collezioni per la prossima stagione, visto che non sarà possibile ricevere i pagamenti. La moda, nonostante non ci fosse nessuna prescrizione sul tessile, sull’abbigliamento e sugli accessori, ha gestito il proprio embargo.

E LA FRANCIA, COME SI MUOVE?

Siamo in contatto continuo con la Francia, che è allineata perfettamente alle nostre posizioni, tanto che dopo la nostra iniziativa con le Nazioni Unite anche loro hanno fatto la stessa cosa.

PARLIAMO INVECE DELLA MILANO FASHION WEEK, COME É STATA? 

È stata una settima straordinaria. Buyer e giornalisti sono arrivati da tutto il mondo, un pò meno da Giappone e Cina. Anche dalla Russia, ma lo scoppio della guerra ha costretto i russi a tornare nel loro Paese. Giorni prima nessuno si aspettava che scoppiasse la guerra. E quella che da sempre è una settimana emblema di ponte tra culture e nazioni, è stata ferita da questo tragico avvenimento.

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