Salvador Allende: 51 anni fa il golpe militare
11 settembre 1973 i militari presero il potere destituendo il presidente democraticamente eletto, Salvador Allende. Venne instaurata una dittatura, che terminerà solo nel 1990, e che causò migliaia di morti, desaparecidos, incarcerati ed esiliati per ragioni politiche.
Salvador Allende
Nato a Santiago del Cile, Salvador Allende è stato fondatore del Partito Socialista, senatore, ministro e presidente del Senato.
Il suo sogno era quello di abbinare socialismo e democrazia. Medico, marxista convinto, Salvador Allende è ricordato per essere stato il presidente della Repubblica cilena democraticamente eletto e poi deposto, l’11 settembre del 1973, dal colpo di Stato militare guidato dal generale Augusto Pinochet, che subito dopo ha preso il potere instaurando una dittatura durata 17 anni.
Dai primi impegni politici alle cariche istituzionali
Salvador Allende nasce nel 1908 a Santiago del Cile. Si avvicina alla politica durante gli anni del liceo: all’inizio studia i teorici del pensiero anarchico, poi il marxismo. Il suo impegno prosegue anche dopo gli studi in medicina, quando comincia a fare il medico, tanto che, nel 1933, è tra i fondatori del Partito Socialista del Cile.
L’ascesa di Allende nella politica nazionale è veloce. Nel 1938 diventa ministro della Sanità e delle Politiche Sociali, carica che conserva fino al 1942 e con due differenti capi di governo. Nel 1952, Allende si candida per la prima volta alla carica di presidente della Repubblica con l’appoggio del Partito Socialista e del Partito Comunista, arrivando quarto su quattro candidati.
Nel 1958 corre di nuovo per palazzo de La Moneda ma, pur avendo triplicato i voti rispetto alla tornata precedente, viene sconfitto dal candidato conservatore, Jorge Alessandri Rodríguez. Stessa cosa avviene alle presidenziali del 1964, quando a conquistare la carica di presidente è Eduardo Frei Montalva, esponente del Partito Democratico Cristiano del Cile.
La vittoria del 1970
Dopo le disfatte elettorali nelle tre tornate precedenti, e dopo aver ricoperto la carica di presidente del Senato dal 1966 al 1969, Allende si presenta di nuovo alle elezioni presidenziali nel 1970. A sostenerlo, una coalizione di sinistra chiamata Unidad Popular. Ne fanno parte il Partito Socialista, il Partito Comunista, il Partito Radicale e i cristiani di sinistra dissidenti.
Le urne danno ad Allende la vittoria con poco più del 36% dei voti, senza la maggioranza assoluta. E per questo la sua investitura a presidente, in Parlamento, avviene grazie a un accordo tra le forze di sinistra e la Democrazia Cristiana, malgrado le pressioni americane della Cia sul partito centrista per non consegnare La Moneda a un politico apertamente marxista.
Gli Stati Uniti, infatti, temono che Allende possa trasformare il Paese in un alleato dell’Unione Sovietica: una cosa inconcepibile nella logica del mondo diviso in blocchi contrapposti della Guerra Fredda.
Henry Kissinger, segretario di Stato americano, uno tra i più attivi nel tentativo di impedire e, poi, di ostacolare la presidenza Allende, nei giorni in cui il Cile sceglie il proprio capo di Stato dice:
“Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo”.
Allende ed il suo programma socialista
Con Allende al palazzo de La Moneda viene inaugurata la cosiddetta “via cilena al socialismo”, soprannominata “rivoluzione con empanadas e vino rosso”, per sottolinearne con un’immagine il carattere non-violento. Nel Paese viene avviato un programma di nazionalizzazione delle principali industrie, tra cui le miniere di rame.
Nei primi anni di potere, Allende mette a punto anche la riforma agraria e la nazionalizzazione di banche e compagnie assicurative. Nel giro di poco, molte delle attività più importanti del Cile passano in mano allo Stato. Sul piano sociale, invece,
Allende introduce la garanzia di mezzo litro di latte al giorno per ogni bambino, incentivi all’alfabetizzazione, l’aumento dei salari, alcune tutele sociali, il prezzo fisso del pane, la riduzione degli affitti, la distribuzione gratuita di cibo agli indigenti e l’aumento delle pensioni minime.
A questo, si aggiunge l’introduzione del divorzio e l’annullamento dei finanziamenti pubblici alle scuole private. Provvedimenti, questi ultimi, che creano una forte opposizione da parte della chiesa locale.
Il golpe di Pinochet e la morte di Allende
Le riforme volute da Allende in materia economico-industriale portano il Paese a uno scontro civile molto aspro. Tanto che, alcune forze di opposizione, iniziano a invocare l’intervento delle forze armate per riportare l’ordine.
Nel Paese il clima incandescente si protrae fino all’11 settembre del 1973 quando, di primo mattino, inizia il golpe militare guidato dal generale Augusto Pinochet, che instaura la dittatura e porta alla morte di Allende che, come raccontato dal suo medico, Patricio Guijón, pur di non dimettersi come chiesto dai militari si suicida con un colpo di mitraglietta nel palazzo de La Moneda, sede della presidenza della Repubblica.
Nel Paese vengono subito sospese tutte le libertà: il Parlamento viene sciolto e i partiti e i sindacati dichiarati illegali. Contemporaneamente, viene avviata una dura repressione verso i sostenitori di Allende e i militanti dei partiti di sinistra.
Nel 1990, quando nel Paese tornerà la libertà e la democrazia, un’apposita commissione nazionale conterà ufficialmente oltre 40mila perseguitati del regime tra morti, desaparecidos, torturati, incarcerati ed esiliati per motivi politici. Numeri, questi, contestati ancora oggi dalle associazioni delle vittime e dalle organizzazioni dei diritti umani.
Negli anni Duemila, poi, un dossier della Commissione Valech – voluta dall’allora presidente della Repubblica, Ricardo Lagos, per far luce sulla prigionia politica e la violenza negli anni della dittatura militare – ha rivelato che tra i torturati dal regime ci sono stati anche bambini minori di 12 anni.
Il contesto alla vigilia del golpe militare
Il colpo di stato in Cile arrivato a meno di tre anni dall’elezione di Salvador Allende a presidente della Repubblica come candidato di Unidad Popular, una coalizione formata da socialisti, comunisti, radicali e cattolici di sinistra. Una volta al potere, Allende avvia una serie di riforme volte a trasformare il Cile in una nazione socialista, senza cedere alla deriva autoritaria.
Innanzitutto, il nuovo governo accelera sulla riforma agraria e su quella sanitaria. Poi vengono nazionalizzate le grandi industrie, tra cui quella del rame, le banche, le agenzie assicurative e la maggior parte delle attività centrali del Paese come la produzione e la distribuzione di energia elettrica, i trasporti ferroviari, aerei e marittimi, le comunicazioni, la siderurgia, l’industria del cemento, della cellulosa e della carta.
Viene anche introdotto il divorzio e vengono messe a punto misure volte a migliorare la condizione delle classi più svantaggiate del Paese. Questi provvedimenti, però, non piacciono agli industriali e al mondo della finanza. Di conseguenza, comincia uno scontro sociale molto aspro, aggravato ancor di più da una forte crisi economica con iperinflazione al 350%, crollo delle esportazioni, perdita di credibilità internazionale e un imponente calo del prodotto interno lordo.
Chi temeva Allende
A temere la politica di Allende, oltre agli Stati Uniti, è soprattutto la borghesia e la classe imprenditoriale. Al punto che già nel 1972 il Cile è attraversato da un’ondata di scioperi. A incrociare le braccia, tra gli altri, sono i camionisti e alcune sigle sindacali di professionisti, che per giorni paralizzano il Paese.
Inoltre, dopo le elezioni parlamentari di inizio 1973, vinte dai partiti di centrodestra, si viene a creare uno stallo tra la Camera e la presidenza. Una situazione che, di fatto, blocca il Paese. La crisi politica, economica e sociale del Cile è talmente grave che in Parlamento i partiti di centrodestra invocano l’intervento delle forze armate per ripristinare l’ordine e il rispetto della Costituzione.
Il golpe
L’intervento dell’esercito arriva la mattina dell’11 settembre del 1973, con un golpe che, nel giro di poco e senza trovare una feroce resistenza, spodesta Allende e dà il potere ai militari. Protagonisti del colpo di Stato sono l’esercito, la Marina, l’Aviazione e i carabineiros.
La sollevazione dei militari comincia alle 6 del mattino, quando la Marina occupa tutti i posti strategici nella città costiera di Valparaíso e arresta dirigenti politici e sindacali. Stessa cosa avviene nel resto del Paese. Ma il vero golpe prende corpo alle 7:30 a Santiago del Cile, la capitale.
Allende, saputo della sollevazione dei militari, si barrica nel palazzo presidenziale de La Moneda con un gruppo di fedelissimi. I vertici delle forze armate propongono da subito al presidente la resa incondizionata ma lui rifiuta e, con alcuni messaggi radiofonici, chiama il popolo cileno alla resistenza.
Nei suoi discorsi, Allende dice chiaramente che non intende arrendersi. Poco prima di mezzogiorno, parte un bombardamento aereo contro la sede della presidenza della Repubblica e una pioggia di razzi colpisce La Moneda. Parte degli ambienti, degli arredi, delle opere d’arte e degli archivi vanno in fumo. Contemporaneamente viene colpita anche la residenza di famiglia di Allende, sempre nella capitale.
I militari non vogliono trattative, il loro obiettivo è la resa incondizionata di Allende, a cui offrono un aereo con pilota per andarsene all’estero. Il capo di Stato rifiuta di nuovo. Poco dopo, i soldati cominciano a entrare nel palazzo presidenziale: la resistenza a La Moneda è debole e, nel giro di poco, tutti coloro che erano rimasti accanto ad Allende si arrendono consegnandosi all’esercito.
Meno il presidente che, nel suo ufficio, stando alla testimonianza del suo medico, Patricio Guijón, rimastogli fedele, si spara sotto il mento con il mitragliatore AK-47 che, sembra, gli era stato regalato da Fidel Castro.
Le conseguenze e la fine del golpe
Dopo il colpo di Stato, il potere viene preso da una giunta formata dai quattro capi militari insorti: Augusto Pinochet dell’esercito, Gustavo Leigh Guzmán dell’Aviazione, José Toribio Merino Castro della Marina e César Mendoza Durán dei carabineiros. Poco dopo, però, a diventare caudillo è Pinochet, che si fa presto nominare presidente della Repubblica e tiene saldamente il potere nelle sue mani fino al 1990.
Un anno prima, infatti, erano state indette le prime elezioni democratiche dal ’73 che furono vinte da Patricio Aylwin. La Costituzione emanata dalla dittatura rimase invariata e ci fu un’amnistia che copriva i crimini dei 17 anni precedenti. Pinochet mantenne la carica di comandante supremo delle forze armate fino al 1998 e divenne poi senatore a vita, ma fu arrestato a Londra dove rimase ai domiciliari fino al 2000 quando gli fu concesso di tornare in Cile, dove morì nel 2006.
I crimini della dittatura
I 17 anni di dittatura sono segnati da una dura fase di repressione degli oppositori politici. Lo stadio di Santiago viene trasformato in un grande campo di concentramento al cui interno, per mesi, avvengono torture e interrogatori violenti.
Molte militanti vengono stuprate, tanti oppositori scompaiono nel nulla e non saranno mai più ritrovati: i cosiddetti desaparecidos. Si calcola che circa 130mila persone siano state arrestate dal regime nei suoi primi tre anni di vita. Inoltre, due giorni dopo il golpe, i partiti che si oppongono alla svolta autoritaria del Paese vengono messi fuorilegge e, poco dopo, il Parlamento sciolto. La democrazia aveva lasciato il posto al regime. In Cile era iniziata la dittatura.
Conclusione: 11 settembre 1973 i militari presero il potere destituendo il presidente democraticamente eletto, Salvador Allende.
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