Il sant'alessio
Dizionario Opera

Sant’Alessio, Il (1631)

Il Sant’Alessio: «Poca voglia di far bene,/ viver lieto, andar a spasso,/ fresco e grasso mi mantiene»: ottima morale, specie se in un dramma di argomento sacro, rappresentato alla corte del papa. Sono versi cantati da due paggi, Marzio e Curzio, che possiamo considerare i primi personaggi comici introdotti in un’opera.

Il Sant’Alessio

Sant'Alessio (opera) - Wikipedia

Non è questo però l’unico motivo di interesse del Sant’Alessio di Stefano Landi. Anche se non è la prima opera di soggetto umano e psicologico, poiché lo precedono alcuni testi per musica a carattere agiografico (fra i quali La regina Sant’Orsola di Andrea Salvadori, scritta forse nel 1620 e musicata da Marco da Gagliano nel 1624, per Firenze, e il Sant’Eustachio musicato da Sigismondo d’India su testo di Lodovico d’Aglié, rappresentato a Roma probabilmente nel 1625).

Il Sant’Alessio è importante poiché inaugura una serie di spettacoli di storia sacra che ebbero notevole successo nella Roma dei Barberini, e poiché costituisce la prima iniziativa teatrale promossa dai tre nipoti del papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), i cardinali Francesco e Antonio e Don Taddeo, prefetto della città.

Nelle opere barberiniane, la cura degli allestimenti e la produzione dei testi erano affidate a un grande intellettuale toscano, Giulio Rospigliosi (il futuro papa Clemente IX). Dopo il Sant’Alessio , le attività teatrali nate sotto l’egida dei Barberini, fondamentali per gli sviluppi della successiva fortuna operistica veneziana, continuarono fino al 1643, anno della partenza di Rospigliosi per la Spagna.

Nessun documento attesta la prima rappresentazione, eccetto quanto si legge negli Avvisi di Roma, in data 8 marzo 1631, un anno sfortunato a causa della guerra, della carestia, della peste: «[Don Taddeo Barberino] questa sera nel suo Palazzo fa rappresentare in musica la vita del glorioso Santo Alessio romano». Probabilmente il palazzo citato è quello ai Giubbonari, vicino a Campo dei Fiori.

Durante il ricchissimo carnevale dell’anno successivo, a Roma si offrirono commedie dell’arte, balli in maschera, commedie classiche come i Menaechmi di Plauto, intermedi in stile recitativo, rappresentazioni in musica. Anche la famiglia dei Barberini partecipò alla ‘politica dello spettacolo’ cittadina e nel Palazzo ai Giubbonari si recitò un dramma sulla storia biblica di Esther , mentre nel nuovo palazzo vicino alle Quattro Fontane si replicava, in onore del principe Hans Ulrich von Eggenberg, «la rappresentatione di S. Alessio (…) tutta recitata in musica, sendo riuscita una delle più belle fattesi da un tempo in qua».

Probabilmente la rappresentazione ebbe luogo in una sala del palazzo, come ricaviamo dal diario del francese Jean Jacques Bouchard, e non in un teatro appositamente costruito. Non conosciamo con sicurezza il nome di tutti gli interpreti. Forse il castrato Angelo Ferrotti, pupillo di Stefano Landi, interpretò Alessio, mentre come sposa viene ricordato, sempre nel diario di Bouchard, Marc’Antonio «Malagigi», cioè il diciottenne Marc’Antonio Pasqualini (a Roma, ma anche in altre corti, le parti femminili erano cantate da castrati).

Francesco Bianchi cantò come Eufemiano, Bartolomeo Nicolini potrebbe aver interpretato il Demonio: noti per aver cantato a Firenze e Parma, oltre che a Roma, erano entrambi cantori della cappella papale.

Nel 1634 l’opera fu rappresentata in onore di Alexander Charles Wasa, principe di Polonia, e replicata più volte sempre nel nuovo Palazzo Barberini; in questa occasione venne curata la stampa della partitura, arricchita da illustrazioni che testimoniano lo sfarzo delle recite.

Nella lettera scritta «da un uomo litteratissimo», che precede la partitura, si legge un elogio dell’apparato scenico: «la prima introduzione di Roma nuova, il volo dell’Angelo tra le nuvole, l’apparimento della Religione in aria, opere furono d’ingegno e di machina, ma gareggianti con la natura. La scena artifitiosissima, le apparenze del Cielo e dell’Inferno, meravigliose; le mutationi de’ lati e della Prospettiva sempre più belle; ma l’ultima della sfuggita e del cupo illuminato di quel portico, con l’apparenza lontanissima del giardino, incomparabile».

Non conosciamo il nome dello scenografo del 1634 (certo non Bernini, come è stato invece scritto), ma è sicuro che per il 1632 un contributo venne fornito da Pietro da Cortona. La versione del 1634 presenta alcune modifiche rispetto alla precedente: scene aggiunte, nuovi personaggi come la Religione e Curzio, e nuovi effetti scenografici come il volo della Religione, che «passa per l’aria sopra un carro cinto di nuvole», esemplato sull’altrettanto spettacolare volo della maga Armida nell’ Erminia sul Giordano di Michelangelo Rossi, rappresentata un anno prima.

Seguiamo la versione del 1634 per raccontare la vicenda, che si basa sulla leggenda orientale diffusasi in Occidente nel X secolo in una redazione prosastica latina, parafrasata in versi nella Vie de saint Alexis francese dell’ XI secolo; la leggenda ebbe molta fortuna in Italia, alimentò prose, versi e canti popolari (ricordiamo il Ritmo di Sant’Alessio , fine XII secolo-inizio XIII). Dopo il 1634 l’opera fu ripresa a Reggio Emilia (1645) e Bologna (1647).

In epoca moderna è stata rappresentata a Salisburgo (1977), in una ricostruzione ampiamente rielaborata da Hans Ludwig Hirsch (direttore Maag, scenografo Ponnelle, fra gli interpreti Eric Tappy, Edita Gruberova, Claudio Desderi e Raffaele Ariè); al Teatro dell’Opera di Roma e al Landestheater di Innsbruck (1981) e a Los Angeles (E. Nakamichi Baroque Festival, 1988).

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Prologo . Una sinfonia, che presenta studiati effetti di alternanza piano e forte , introduce il prologo, in cui Roma, circondata da un coro di schiavi (a sei voci), rende omaggio al principe di Polonia dedicandogli la rappresentazione.

Atto primo . L’antefatto è raccontato dal padre di Alessio, il senatore Eufemiano, al cavaliere Adrasto, un tempo compagno del figlio: Alessio è scomparso la sera delle nozze e di lui non si hanno più notizie. In realtà Alessio è a Roma e vive in incognito nella casa paterna, come mendicante.

Nel suo primo monologo egli contempla la vanità dei mortali e canta un arietta in tre strofe, che esprime il desiderio di lasciare il mondo terreno (“Se l’ore volano”). Cantando la canzonetta citata sopra entrano in scena due paggi di Eufemiano, Marzio e Curzio, che si prendono gioco del mendicante. Si spalanca l’inferno: «nella lontananza si rappresentano le pene dei dannati».

Il Demonio, dopo un coro di diavoli (“Si disserrino”, a tre voci), proclama di voler cercare di ‘rammollire’ la rigorosa tempra ascetica di Alessio, tentandolo sotto mentito aspetto. Nella scena seguente assistiamo ai lamenti della sposa e della madre di Alessio, consolate dalla nutrice. Dopo un coro di domestici a sei voci, come intermezzo è inserito un ballo di Rustici, chiamati da Curzio per far sì che il mendicante da «pazzo afflitto ed egro» qual è, «diventi un pazzo allegro».

Atto secondo . Dopo il lamento di Eufemiano, nella seconda scena compare nuovamente il Demonio, che racconta di aver convinto la sposa a partire in cerca di Alessio, con lo scopo di spingere il santo a rivelarsi. La sposa, vestita da pellegrina, è raggiunta dalla madre, che vuole accompagnarla nel viaggio. Il finto mendicante tenta di dissuaderle, e lo svenimento della sposa lo lascia agitato e confuso.

Nella scena centrale del dramma, il Demonio si presenta ad Alessio «in forma di eremita» e cerca di indurlo a scoprirsi ai parenti. Alessio è confortato dall’apparizione di un angelo, il quale lo informa della sua prossima morte, al che egli esulta (“O morte gradita”). Una scena comica vede protagonisti Marzio e il Demonio: il paggio vorrebbe burlare il finto eremita, che a sua volta si burla di lui trasformandosi in un orso.

Dopo la comparsa della Religione, che loda Alessio ed esorta i mortali a seguire il suo esempio, Eufemiano è consolato dalla notizia che nel «tempio maggiore» si è udita una voce celeste. Un coro di Romani chiude l’atto.

Atto terzo . Il Demonio precipita scornato nell’inferno; quindi, le circostanze prodigiose della morte di Alessio sono raccontate da un nunzio ad Adrasto, accorso alla casa di Eufemiano. I parenti piangono la morte del santo, viene letta una lettera da lui scritta prima di morire, ma gli angeli esortano tutti a gioire insieme alla Religione, che proclama l’elogio finale di Alessio dedicandogli una chiesa. L’opera termina con il coro degli angeli e il balletto delle virtù, mentre si assiste all’apoteosi del santo.

Sempre nella lettera che precede la partitura, si legge che l’«elocuzione» del libretto non è mai «affettata, o vile, ma o grande o mezana o infima, come la richiedeva il soggetto o la persona che favellava».

Infatti il testo di Rospigliosi si allontana dall’aura di serena e rarefatta classicità della maggior parte dei precedenti libretti mitologico-pastorali, e assume la commistione di stili propria del teatro sacro (ad esempio il teatro educativo gesuita), o in generale della letteratura cristiana.

Ai lamenti patetici, ai racconti, ai cori sentenziosi, che definiscono il livello alto e sublime, si affiancano le facezie dei paggi e i cori infernali, come livello umile, grottesco, e le effusioni liriche di Alessio come livello medio. Proprio grazie alla tradizione del pluristilismo cristiano risulta verosimile che anche un personaggio nobile come il protagonista intoni un’arietta di carattere gnomico (“Se l’ore volano”) simile a quelle di solito riservate ai personaggi inferiori, o alle entità sovraumane.

Per una funzione di contrasto (nelle scene dichiaratamente comiche) o di contrappunto ironico anche nei momenti di maggior drammaticità, sono introdotti i personaggi di rango inferiore: al paggio Marzio si era aggiunto Curzio, nella versione del 1634, segno del successo riscosso da quello.

Anche il Demonio si concede una scena comica, ma sono i due paggi a poter essere considerati a pieno titolo i primi personaggi buffi in un libretto d’opera. Ricordiamo però che canzonette leggere e quotidianità di espressione in bocca a personaggi di rango inferiore si trovavano già nella ? Morte d’Orfeo e in pochi altri testi precedenti. Le ariette solistiche sono molto rare nel Sant’Alessio , dominato dal tessuto di un recitativo che, nella veste musicale di Landi, è sempre duttile ed espressivo.

Tradizionalmente estroversa è la parte del Demonio, che si muove spesso per ampi salti, con un’estensione di due ottave e mezza. Di gran lusso è la parte corale, infarcita di ritornelli strumentali ed episodi solistici. Oltre alla sinfonia iniziale, due sinfonie particolarmente accurate nella scrittura introducono il secondo atto e il terzo. Sontuosa è l’organizzazione della scena finale, con il coro di angeli (prima a quattro, poi a otto voci) intercalato dai ritornelli funzionali al ballo delle virtù.

File:Landi sant alessio.jpg - Wikipedia

Type:

Dramma musicale in tre atti

Author:

Stefano Landi (1587-1639)

Subject:

libretto di Giulio Rospigliosi

First:

Roma, Palazzo ai Giubbonari, 8 marzo 1631 (?)

Cast:

Roma (S), Eufemiano (T), Adrasto (A), Alessio (S), la sua sposa (S), sua madre (S), la nutrice (S), Marzio (S), Curzio (S), l’angelo (S), la Religione (S), il Demonio (B), il nunzio (A); schiavi, domestici di Eufemiano, angeli, demoni, contadini, giovani

Signature:

m.e.

Conclusione: Il Sant’Alessio di Stefano Landi non è la prima opera di soggetto umano e psicologico, poiché lo precedono alcuni testi do musica a carattere agiografico

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