la sfilata di balenciaga ai 22 23
Moda

La sfilata di Balenciaga AI 22/23: il diritto di (r)esistere della moda

Un Iphone rotto e la lettera di Demna Gvasalia: la sfilata di Balenciaga come resistenza alla guerra

C’è un Iphone 6 rotto e una lettera di pace da parte del direttore creativo Demna Gvasalia. Ancor prima dello show, aleggia una sensazione di stordimento, di confusione. Cosa c’entra un cellulare rotto? Che senso ha sfilare durante una guerra? Cosa c’entra la moda con la guerra? E gli Iphone?

 

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La lettera di Demna Gvasalia: il diritto di (r)esistere della moda

Quando Gvasalia aveva iniziato a pensare alla AI 22/23 non si sarebbe mai immaginato di dover sfilare in un simile contesto di guerra. Lui, che dalla guerra è scappato anni fa, scrive:

La guerra in Ucraina ha scatenato il dolore di un trauma passato che mi porto dietro dal 1993, quando la stessa cosa stava succedendo nel mio Paese d’origine e, da quel momento, sono diventato un rifugiato per sempre. Per sempre, perché quello che succede resta dentro di te. La paura, la disperazione, il realizzare che nessuno ti vuole. Ma ho anche realizzato che quello che conta veramente nella vita, le cose più importanti, sono la vita stessa, l’amore e la compassione.

Questo è il motivo per il quale lavorare allo show questa settimana è stato molto difficile per me. Perché in periodi come questi, la moda perde la sua rilevanza e il suo diritto di esistere. La fashion week appare come un’assurdità. Ho pensato per un momento di cancellare lo show per il quale io e il mio team abbiamo lavorato così duramente. Ma poi ho realizzato che cancellare lo show sarebbe significato cedere, arrendersi al male che mi ha già ferito così tanto in questi trent’anni. Ho deciso che non sacrificherò più parti di me per questa guerra di ego senza senso e senza cuore.

Questo show non ha bisogno di spiegazioni. È un omaggio al coraggio, alla resistenza e alla vittoria dell’amore e della pace.

Demna Gvasalia è uno stilista georgiano e la Georgia è un territorio storicamente conteso dalla ex URSS. Durante la guerra abcaso-georgiana, Gvasalia e la sua famiglia sono stati costretti a scappare in Germania. Qui, vive in un campo profughi prima di iniziare la sua vita nella moda. Gvasalia è uno che la guerra l’ha vissuta in prima persona e che con la condizione di profugo ha imparato a conviverci, per questo alcuni elementi dissonanti della sfilata, acquisiscono subito senso, vengono legittimati. La credibilità del racconto messo in atto resta anche se come invito alla sfilata arrivano degli Iphone rotti e anche se Kim Kardashian arriva alla sfilata interamente ricoperta di scotch giallo logato Balengiaga.

Ad accompagnare l’Iphone rotto, un biglietto con su scritto: “Questo è un vero manufatto dell’anno 2022. Non è funzionante e deve essere utilizzato solo a scopo di visualizzazione. Questo documento certifica che questo dispositivo,  non è fabbricato artificialmente ma è frutto di anni di utilizzo e, successivamente, di negligenza”. È una una critica all’obsolescenza programmata? Un’accusa al capitalismo da chi lo alimenta? Una metafora di ciò che siamo? Un esemplificazione delle conseguenze delle azioni dell’uomo sulle cose?

Tutta o nessuna le interpretazioni potrebbero essere valide. Il messaggio è aperto, ma una cosa è certa: Gvasalia ci induce a riflettere e ad interrogarci sull’esistenza delle cose. Per questo, rinominando la sfilata “360° show” intende far “ruotare la testa” delle persone, per notare la realtà nella sua totalità, andare oltre.

Con la sfilata di Balenciaga, Gvasalia legittima la realtà, ce la mostra così com’è in tutta la sua assurdità.  Senza ipocrisie ci racconta la moda dell’essenziale -di ispirazione ortodossa- e l’assurdità del capitalismo. L’uno non esclude l’altro. D’altronde, ce lo dice senza troppi giri di parole: fare moda, in periodi bui, è sinonimo di resistenza. È fare spazio alla luce e alla vita, che poi sono anche le uniche cosa che contano.

La sfilata di Balenciaga AI 22/23

I modelli sfilano in una gigantesca cupola che separa la passerella dal pubblico. Sfilano nel bel mezzo di una tempesta di neve sulle note di pianoforte di Laurent Dury e successivamente al suo di musica elettronica. La tempesta rende difficoltosa la camminata e anche la visuale. Si fa fatica a distinguere bene le forme, i dettagli e i tessuti degli abiti. La verità è che in questa sfilata di Balenciaga, gli abiti passano quasi in secondo piano, quello che conta è porre l’attenzione sulla condizione umana. Non sull’involucro, dunque, ma sulla sostanza.

Gli ospiti, aldilà di una barricata in plexiglass trasparente li guardano sfilare, li studiano come se fossero esperimenti da laboratorio. Avvolti in abiti neri e con indosso scuri occhiali da sole, i modelli sembrano degli insetti che si dimenano a fatica su un terreno scosceso. È un richiamo nudo e crudo al cammino dei profughi e alla caducità dell’essere umano dinnanzi alla natura. Non a caso, le uniche borse viste in passerella ricordano dei sacchi dell’immondizia. Niente it-bag o mini clutch, Demna dona nuova dignità a quel contenitore che per i profughi spesso rappresenta tutto ciò che hanno.

I modelli si muovono goffamente su una passerella circolare interamente ricoperta di neve. Compiono movimenti sgraziati nel tentativo di camminare con tacchi a spillo sul manto innevato. Demna Gvasalia vuole mette in ridicolo l’essere umano e lo fa per una causa nobile. Gvasalia mortifica l’essere umano, ma il cammino di Balenciaga è il contrappasso su cui egli vuole lasciare aperto un punto di domanda. Ci obbliga a guardare, a non girarci dall’altra parte.

Chiudono la sfilata due abiti: uno giallo e uno azzurro in omaggio all’Ucraina.

 

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di Flavia Iride

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